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I briganti di Zabut
Anno: 1997
Regista: Pasquale Scimeca;
Autore Recensione: Marcello Testi
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 26-01-1998


Con molte riserve, promuoviamo questa opera importante che, come molte altre quest'anno a Taormina, fa i conti con la memoria. Il ricordo è quello delle lotte contadine della Sicilia, così come si sono trascinate fino al nostro dopoguerra ultimo "come se il tempo non fosse passato". E' una storia semplice e brusca di mafia e potentati agricoli, di soprusi di uno stato che si muove e colpisce allo stesso modo dei briganti. Una storia importante perché è un altro squarcio nel silenzio che la storia ha sempre riservato a questa parte di terra e perché le parole che rompono questo silenzio sono proprio quelle di un protagonista dei fatti narrati.
Le riserve riguardano alcuni punti oscuri della messa in scena (intesa, globalmente, come messa in forma filmica): se da una parte il gruppo degli attori è felicemente incitato a NON recitare e riesce a conferire fisico naturalismo al progredire degli eventi, stona di molto la presenza della voce narrante femminile, la moglie di uno dei briganti, visibilmente e volontariamente una voce sopra le righe uno sguardo fisso indesiderabile che anticipa, sì, il finale rovesciamento della finzione, ma finisce inesorabilmente fuori registro nel corso della rappresentazione.. Così come fuori registro risulta essere l'urlo finale, il canto che irrompe dopo la sentenza di condanna. E d'altra parte proprio gli elementi di "colore" risultano essere i più gratuiti, i meno essenziali, quelli che provocano più danno alla laboriosa costruzione di un'epica non così facile e immediata, non così romantica come altre rappresentazioni dello stesso fenomeno hanno voluto mostrare.
E non si capisce, dunque perché un rigore di storico (quale è Scimeca) debba essere sciolto nei cliché Per fortuna (ma è un giudizio, per quanto mi riguarda, ancora sospeso) sono il vero volto del protagonista, le sue disarmate parole a riportare la memoria ai suoi affioramenti più spontanei; ma è un'apparizione pericolosa che può attirare su di sé il giudizio di opportunismo. Sentiremo e (ri)vedremo.