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L'allievo - Apt Pupil
Anno: 1998
Regista: Bryan Singer;
Autore Recensione: Andrea Caramanna
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 18-11-1998


 

Le ossessioni di Singer continuano in Apt pupil. Si tratta di angosce potenti.

Si tratta del Male, della sua potenza, della sua forza inspiegabile.

Perché uccidere procura tanto piacere? "Quali sono state le tue sensazioni?" chiede Todd Bowden (Brad Renfre) a Kurt Dussander (Ian McKellen).

Perché dopo tanti anni per ritrovare quei piaceri della morte atroce di altri uomini, davanti agli occhi, hai bisogno di bruciare vivo un gatto nel forno?

Perché a sedici anni hai già il cuore impuro e sei schiavo delle tue perversioni?

Perché nell'ultimo film di Haneke si uccide per gioco o per noia?

L'allievo è una riflessione sui rapporti di forza. I più forti eliminano i più deboli. Forse è questa la legge di natura che alimenta l'indole violenta. Il più debole non serve. Liberiamocene. Facciamo piazza pulita. Rendiamo le nostre vite più belle. La nostra forza è il segno più bello della nostra vitalità. Ecco pronta un'ideologia, da adorare.

 

La violenza, la brutalità scattano all'improvviso. Un raptus come quello che colpisce l'ex(?) nazista McKellen, mentre è costretto dal ragazzo a marciare indossando la vecchia uniforme militare.

Alla fine non c'è scampo perché come ci mostra Singer nella bellissima sequenza finale dove alterna la morte di McKellen al primo trionfo di Renfro, il male non si distrugge, si trasferisce da una parte all'altra. Molto o poco simbolicamente dal vecchio "esperto" al giovane allievo, di generazione in generazione, come un'eredità nefasta, come un fardello di cui si intuisce la potenza, ma anche il dolore, la sofferenza nel condurlo sempre seco come un peso inesorabile, una indicibile schiavitù dei sensi.

In questo senso Singer mi fa pensare al Pasolini di Salò, al meccanicismo delle perversioni, alla catena di montaggio, che gasa gli uomini, li brucia, poi li ammucchia in cumuli osceni.