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Salvate il soldato Ryan - Saving Private Ryan
Anno: 1998
Regista: Steven Spielberg;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 17-11-1998


Saving Private Ryan

Frastornato e affascinato dalla cura nella realizzazione, assordato e inorridito; il cervello è sottoposto al violento massaggio dello sbarco in Normandia, e annichilito, meno fiero per una volta della mia narcisistica scelta rivoluzionaria e antimilitarista di obiezione di coscienza divento più consapevole del rifiuto cromosomico per quell'orrore, che essa ha realmente rappresentato. Il mio ribellismo fu solo una componente che entrò in gioco per sottrarmi alle gerarchie militari. Ovviamente rimane una porzione di razionalità che spiega l'odio per i guerrafondai di tutte le nazionalità con l'oppressione del potere e del sistema di fanatismo capitalistico o integralista, ma quello che Spielberg, scavando sotto la scorza del vecchio rifiuto della ragione per i mostri nati dal suo sonno, riesce a fare emergere è la paura panica che fa dire a mia madre: "Pös nén veddi film 'd guera: am fan sté mal" (trad.it.: non riesco a vedere film bellici: mi fanno star male), a lei che ragazzina rimase senza casa dopo i primi bombardamenti su Torino, da sfollata visse la barbarie tedesca nelle campagne ed infine i cecchini dell'aprile '45 pervicacemente disposti a terrorizzare, ancora: attraverso quel suo odio per ogni divisa succhiato col latte capisco visceralmente che quelle altre viscere esibite in Saving Private Ryan sul campo di battaglia del maggio '44 sono parte dello stesso peso che avverto sul mio ventre ogniqualvolta un qualunque criminale decide di scatenare una guerra più o meno santa (senza poter più sventolare senza vergogna bandiere di alcun tipo dopo il Vietnam e gli embarghi da macellai di bambini).

E Spielberg è sempre lì, pronto maieuticamente ad estrarmi questo rifiuto che risale ancora più indietro nell'elenco di carne da cannone che le classi meno abbienti hanno sempre rappresentato: la morte di un giovane prozio mai conosciuto, perché mai tornato da Caporetto (spero disertore e vagheggio fucilato dagli assassini di Cadorna, ma dopo questo film non importa la causa). La maieutica è la pratica cinematografica di Spielberg da sempre: anche in ET, come in Schindler's List, in Duel come in Amistad non fa altro che analizzare la componente umana di cui ognuno non può non essere dotato e poi la estrae, la fa partorire a ciascuno di noi e da ultimo, come una levatrice, ce l'appoggia in grembo perché possiamo conoscerla, accarezzarla, renderci responsabili e avviare una catarsi collettiva nel buio della sala.

Contemporaneamente crea lo spettacolo pirotecnico per il cinefilo, ma anche questo è parte di quel lavoro morale: riconoscere le foto di Robet Capa, con quella documentazione "da vicino" che esse rappresentano o l'immaginario anarchico e cinico di Samuel Fuller non fanno altro che accentuare l'orrore di avere tutti i sensi e anche l'immaginario occupati a resistere a quel bombardamento insostenibile e allo stesso tempo trovare una motivazione valida per l'immoralità, la furia e finanche la sopravvivenza. E per noi dura soltanto 2 ore e quaranta minuti di splendidi movimenti calibrati: un balletto, una danza macabra.