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Lola corre - Lola rennt
Anno: 1998
Regista: Tom Twyker;
Autore Recensione: luca aimeri
Provenienza: Germania;
Data inserimento nel database: 09-11-1998


Tit. or.: Lola rennt; regia: Tom Tykwer; sceneggiatura: Tom Tykwer; prodotto da: Stefan Arndt, Maria Köpf; musica: Reinhold Heil, Johnny Klimek, Franka Potente, Tom Tykwer; fotografia: Frank Griebe; costumi: Monika Jacobs; scenografia: Alexander Manasse; montaggio: Mathilde Bonnefoy; cast: Franka Potente (Lola), Moritz Bleibtreu (Manni), Herbert Knaup (Lola's Father), Joachim Król (Nortbert von Au), Armin Rohde (Mr. Schuster), Ludger Pistor (Herr Meier), Nina Petri (Jutta Hansen), Heino Ferch (Ronnie), Lars Rudolph (Kassierer Kruse), Sebastian Schipper (Mike), Suzanne von Borsody (Frau Jäger), Hans Paetsch (Narrator); produzione: Westdeutscher Rundfunk, X-Filme Creative Pool, Filmstiftung NRW, BMI, FFA Filmboard Berlin-Brandenburg, FFF Bayern, German Independents, Arte, Bavaria Film; effetti speciali: Das Werk; Germania, 1998; durata: 1h e 21'.

Presentato all’ultima edizione del Festival di Venezia, "Lola corre" vorrebbe costituire la prova più evidente della "rinascita tedesca": grande successo di critica e di pubblico in Germania (sull’Internet Movie Database un fan tedesco lo definisce il più bel film d’azione tedesco mai realizzato; altrove il lavoro è stato affiancato a Trainspotting - probabilmente per la carica anarchica che lo sottende, ma che certo è più corriva rispetto al modello, piuttosto che analogamente corrosiva); ritmi mozzafiato e crime-comedy metropolitana su una struttura narrativa basata su tre possibili sviluppi di una premessa drammatica data; sperimentalismo formale pop che mescola pellicola-video-animazione-computergrafica-clip-ecc. centrifugandoli e frammentandoli, tra accelerazioni e rallentamenti, in un montaggio che segue i ritmi di una colonna sonora musicale techno parimenti à la mode… Il fesso criminalotto Manni si è fatto rubare centomila marchi che doveva consegnare a uno spietato malavitoso per cui lavora; e chiede aiuto alla sua energica compagna dai capelli rossi, Lola: ha venti minuti per racimolare la somma e salvargli la vita. Ogni storia si basa su un "banchetto di possibilità", e non è altro che un sentiero che si articola per bivi: "Lola corre", dopo un lungo prologo, batte tre dei possibili percorsi (secondo formula post-modern), e su ciascuno grava il medesimo timelock, il limite di tempo entro cui il personaggio deve raggiungere la meta (in questo caso, venti minuti). Lola corre (letteralmente) per tutto il film per raggiungere due epiloghi fittizi e tragici, ed uno reale e consolatorio. Sono tre corse ad ostacoli, incubiche, surreali, fatte di differenti combinazioni d’intersezione dei medesimi elementi ed in cui, secondo i meccanismi della commedia nera, il Caso fa il suo mestiere egregiamente, ovvero complica la vita dei personaggi all’inverosimile; il tutto condito in un’acida salsa neo-punk-chic in cui dovrebbe risiedere il senso profondo della storia: la necessità di scegliere/decidere/muoversi/ribellarsi per evitare che il treno dell’immobilità/passività/inerzia/omologazione ti travolga ingabbiandoti nel grigiore della sopravvivenza. In fondo si tratta solo di un gioco. E questo concetto "Lola corre" lo illustra fin troppo bene, tanto da rimanervi invischiato in una dimensione intellettualistica quanto sterile: rendendo inoffensiva tutta l’energia che innerva il film; trasformando la volontà di graffiare in una carezza innocua, appena fastidiosa (perché noiosa); evidenziando la furbizia dell’operazione; ritagliandosi lo spazio cult che cerca con tenacia ma limitandolo ad una stretta fetta di pubblico adolescenziale che, con molte probabilità, col passare del tempo, si rivolgerà ancora al Mark Renton di "Trainspotting" (sempre che l’accostamento sia valido) e non più a Lola per avere una lezione di antagonismo (il conclusivo "fottere la società -secondo le sue regole- per esservi accolto", e non il fraintendimento del protagonista stesso del "bucarsi", ben inteso).

Prologo & Titoli di testa

"Non finiremo mai di esplorare, e dopo tanto esplorare ci troveremo al punto di partenza e scopriremo di nuovo tutto come la prima volta": con questi versi di T.S. Eliot e l’ondeggiare di un pendolo, così si aprono gli ottanta minuti di "maratona" di Lola. Stabilendo lo spazio e il tempo. Lo spazio, cioè una "O", un cerchio, un percorso circolare: l’unica pista in cui si possa ritornare al punto di partenza; il tempo: l’immagine dell’ondeggiare incessante e regolare di un pendolo, il movimento dello scorrere del tempo. Poi, la macchina da presa risale alla cassa dell’orologio, questo si svela come un orrorifico cucù che, allo scoccare dell’ora, apre lo sportello da cui non fuoriesce nessun uccellino garrulo: resta un buco nero in cui l’occhio si intrufola, si perde nell’oscurità per poi approdare in una grigia e sfocata terra di nessuno popolata di anime in pena, di figure/non-ancora-personaggi che girano a vuoto… ne vengono individuate alcune, come istantanee scattate nella folla: durante la narrazione riconosceremo quei volti come quelli dei personaggi secondari della storia. Tra di essi solo uno si risveglia dal torpore del sonnanbulismo: un uomo in divisa, una guardia giurata; guarda in macchina e senza troppa fantasia ci dice che in fondo ogni esistenza è simile a una partita di pallone, novanta minuti a correre dietro a una sfera di per sé insignificante… e dà il via al match: calcia il pallone che vola per aria (come il punto di ripresa), e da lassù quella moltitudine confusa di figure anonime si miniaturizza fino ad apparire come un termitaio, immagine del caos che a poco a poco inizia ad assumere un ordine, una forma, a schierarsi sul campo, sino a comporre la scritta "Lola Rennt" (Lola corre). Inizia la corsa dell’alter ego cartoon di Lola in una sequenza di animazione: una corsa senza sosta in un tunnel-videogame in cui appaiono i titoli di testa che il personaggio dai capelli rossi acchiappa come per accaparrarsi punti; il percorso si fa sempre più insidioso fino a sbucare in una nuova "stanza" del gioco, una spirale in cui Lola-cartoon viene risucchiata; segue la schedatura (ancora la trasposizione del modello poliziesco all’interno della logica/estetica del gioco-video/visivo) dei personaggi/interpreti principali… la chiusura dei titoli di testa ci scaraventa sulla Terra (con tanto di mappature) dal "lassù" in cui la macchina da presa ci aveva trasportati: uno suardo/meteora in caduta libera fin dentro la stanza della Lola vera (non più a fumetti)… ed eccoci dentro il film.

Il lungo prologo dispone didascalicamente gli elementi necessari all’ingresso nel mondo della storia, alle premesse e all’apertura della narrazione, come in una sorta di catalogazione rispettosa dei dettami manualistici relativi al "buon"incipit del racconto, e a questo piega gli stessi titoli di testa: esporre il tema della storia, evidenziare gli esistenti che popoleranno l’arena e condurranno la partita/avventura. La didascalia/citazione di T.S. Eliot ci preannuncia l’asse portante dell’operazione, la ciclicità-circolarità, la natura labirintica dell’esistenza. Il pendolo introduce l’elemento temporale, ma non solo: nell’ondeggiare (avanti-indietro, lungo il medesimo percorso, senza sosta) è ribadito visivamente il concetto dell’impossibilità di sfuggire al meccanismo dell’eterno ritorno; nell’orrorifica cassa dell’orologio (e nel pendolo stesso costituito da una maschera dal ghigno poco rassicurante) è sottolineata la natura deformata, mostruosa e grottesca, del gioco (la circolarità che informa la struttura narrativa rimanda alla tradizione del racconto gotico); la mancata apparizione del cucù all’apertura dello sportellino, e lo svelarsi al suo posto di un tunnel d’oscurità segna lo scarto rispetto alla prevedibilità di ciò che è familiare (in questo scarto non risiede l’inizio di ogni racconto?). Come in un gioco di scatole cinesi, la macchina da presa ci porta in un’altra dimensione ulteriormente simbolica: un limbo in cui si muove una moltitudine anonima; una folla nella quale solo il narratore individua e ci indica/evidenzia coloro i quali entreranno a far parte del racconto (gli altri restano personaggi/uomini in cerca di…); corpi che, in una più esplicita rappresentazione visiva del passaggio di Eliot, girano in tondo e su se stessi, con il capo chino verso terra come se stessero cercando qualcosa (il senso del proprio movimento/ricerca). All’uomo in divisa (che si rivelerà il portiere/cerbero della "caverna più recondita" che la protagonista dovrà raggiungere, l’ufficio/fortezza del padre che le potrà fornire la chiave risolutrice dell’impasse che ha scatenato la sua corsa contro il tempo)… all’uomo in divisa è affidato il ruolo di mentore (non a caso, per tutto il film parlerà in rima, ammantando le ovvietà di un’aura fiabesca di saggezza: una specie di grillo-parlante ma svelato per quello che è veramente, cioè una figura insopportabile): è lui che ci illustra le regole del gioco e i tempi della partita, dopodichè fischia l’inizio e mette in moto il meccanismo (siamo "dentro" l’orologio); a questo suo gesto la realtà fino ad ora rappresentata si organizza, la folla si distribuisce in squadre-lettere che compongono la lapidaria formula che è il titolo, "Lola corre". Inizia la sequenza d’animazione che illustra pari-pari quest’ultimo concetto: non vediamo che la protagonista-cartoon correre in un tunnel, affrontando ostacoli, titoli di testa e lame, per poi raggiungere il cuore del baraccone, quella spirale che la inghiotte scaraventandola nel mondo delle immagini reali, nella sua città-casa-stanza, posizionandola ai blocchi in attesa dello sparo d’inizio – il telefono rosso che trilla. Come detto, fin dall’inizio la concatenazione delle sequenze e degli spazi si configura a "scatole cinesi", labirintica: il tunnel in cui sfreccia il cartoon pare un packman reso nella sua semplificazione più estrema, ovvero linearizzato (qualcuno che corre, visto di spalle, evidentemente spinto da qualcosa, fosse solo la paura di chi gli sta dietro, osservandolo, seduto in poltrona – lo spettatore); la "videata" a spirale introduce l’elemento visivo che ricorrerà ossessivamente nell’arco dell’intero film, come leit-motv visivo, in quanto rappresentazione grafica del concetto di labirinto, di continua ripetizione-con-varianti della medesima forma-movimento-traccia-percorso (ancora il tema del film: "Non finiremo mai di esplorare e dopo tanto esplorare ci troveremo al punto di partenza e scopriremo di nuovo tutto come la prima volta"). La schedatura dei personaggi principali, grazie a una soluzione visiva utilizzata esclusivamente per loro, crea una sequenza che non può che incasellarli in uno schieramento a parte, eleggerli a protagonisti; riprende infatti gli stilemi dei video-giochi (ancora), quel passaggio in cui, prima dell’inizio della partita, si devono selezionare le identità dei giocatori.

Tutto il prologo dichiara immediatamente la natura ludica e meta-narrativa dell’operazione; ed è impostato su uno schema rigidamente coerente, basato sulla ripetizione e soprattutto sulla reiterazione dell’adempimento della stessa funzione narrativa (introduzione degli elementi strutturali e tematici della storia). Una griglia cui non sfugge il commento musicale: che non casualmente (al di là della "tendenza") è techno (dunque, campionamento, ripetizione/rielaborazione; un ulteriore ponte concettuale verso l’universo della "macchina" e del videogame); più specificamente, un drum’n’bass (ritmo puro, velocità) di sapore chemical (quindi l’evoluzione tecnologica della neopsichedelia: e la spirale non è forse un ricorrente motivo dell’iconografia lisergica? E a un secondo livello, se il pensiero psichedelico era improntato alla "ricerca", all’esplorazione, non potremmo leggere in questa direzione il "campionamento" di Eliot? "Non finiremo mai di esplorare… e ci troveremo al punto di partenza": non si prospetta che un percorso a spirale, labirintico).

Il richiamo dell’avventura: il Vortice

E’ un vero e proprio richiamo, un trillo, un segnale audio: il telefono rosso che squilla, e Lola risponde. All’altro capo del filo c’è Manni che illustra alla sua ragazza e al pubblico la premessa drammatica e l’evento dinamico che darà il via alla concatenazione di eventi che si articoleranno nei tre capitoli-sviluppi: le voci dei due protagonisti si trasformano in voci over di commento alle rapide sequenze a montaggio in cui vengono visualizzati gli eventi che hanno portato allo stallo attuale; viene stabilito il timelock, dopodichè scatta il momento della decisione. Il personaggio Lola si trova dunque solo davanti al "banchetto di possibilità", nel mezzo del vortice, della spirale di conseguenze che è ogni plot; e il regista lo rende visivamente: la macchina da presa ruota attorno al personaggio che al contempo gira su se stesso nel senso opposto; le volute accentuano l’effetto vorticoso innalzando progressivamente il punto di ripresa, e in alternato scorrono le visualizzazioni dei volti cui Lola pensa di ricorrere per risolvere il debito (un processo di esclusione di possibilità che termina sul ghigno poco convinto del padre). Lo sguardo sul personaggio, la messa in scena del suo panico, riproduce il crearsi di una spirale; e la spirale, come detto, costituirà il leit-motiv visivo principale del film: il Cafè Spirale sarà il punto d’incontro stabilito e la spirale che ne costituisce l’insegna meccanica si crea-dissolve infinitamente alle spalle del giovane al telefono; le scale della sequenza di animazione che Lola percorre per scendere in strada e gettarsi nel traffico affrontando la sua maratona non sono altro che una colorata ed espressionisticamente deformata spirale di scalini che sembra senza fine (e pare condurre dritta nel nulla, meglio agli inferi: d’altra parte il film è organizzato letteralmente "a gironi"); ancora, spirali stilizzate sono stampate sui guanciali dei due giovani amanti; eccetera ecc.; non ultima, e decisiva, la spirale che compie la pallina della roulette prima di andarsi a depositare nella casella vincente. La storia stessa, infine, altro non è che un nastro di futuro che si srotola e si riavvolge: due di quei possibili futuri si riveleranno fittizi, produzione della caotica fantasia del personaggio che ha origine proprio da quel vortice creatosi attorno a Lola, nella sua stanza, generato dal trillo del richiamo dell’avventura.

Soluzioni

Al di là delle perplessità e della noia che può provocare lo svelamento del meccanismo del gioco dopo la prima tranche (in seguito alla quale tutto ricomincia, ripetendosi senza più segreti), "Lola corre" resta un film ingegnoso in quanto tutto, dalla storia alla strutturazione del racconto alle modalità del discorso filmico, viene piegato alle possibilità di un budget evidentemente ridotto: essendo la reiterazione la regola base della partita e il suo tema, gli autori possono permettersi di ridurre il girato riproponendo per ben tre volte (l’eterno ritorno, il labirinto/spirale) molte inquadrature e microsequenze; il cartoon, già di per sé più economico della pellicola, è costruito in modo tale che dalla sua essenzialità deriva la sua efficacia e la sua forza espressiva; i segmenti dedicati al dramma-da-camera vissuto dal padre sono girati in video (e poi "telecinemati") ed anche questa formula, oltre ad azzerare i costi di porzioni consistenti di narrazione, conferisce un tasso di impietosa verità alla sequenza che la porta a coincidere (probabilmente) coi momenti di più riuscita drammaticità e ironia. Un’ultima soluzione degna di nota è quella dedicata ai personaggi secondari, a quelle figure che Lola incontra/scontra/sfiora lungo il suo cammino: sequenze fotografiche (anche qui la "necessità" di rimanere nei margini del budget si fa "virtù") sintetizzano i (possibili) futuri delle comparse, aprendo dei tunnel di preveggenza che sono dei vortici-nel-vortice dell’avventura, e creano in qualche modo uno sfondo (una terza dimensione) alla storia che altrimenti rimarrebbe eccessivamente appiattita nel suo primo piano di plot portante e scheletrico. Ma anche in questo caso la volontà di scardinare un’opzione del racconto denunciandola attraverso la manipolazione e l’evidenziazione pare prevalere, contribuendo alla comunicazione di una patina di asetticità che in un film come questo è letale.

Un film intelligente, ma, nonostante la sua pretesa di significazione ulteriore (Eliot primo fra tutti), senza anima.