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He got game
Anno: 1998
Regista: Spike Lee;
Autore Recensione: Marcello Testi
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 09-11-1998


He Got Game
di Spike Lee

In quanto appassionato di Basket, sono entrato nel cinema speranzoso di poterne poi scrivere meraviglie.
All'uscita devo considerare tra i non troppi meriti di Spike Lee (in questa occasione) proprio quello di avermi "deluso" e di avere accuratamente evitato di solleticare il palato di chi era convinto di godere su grande schermo e in maniera ultimativa quello spettacolo che durante la stagione NBA si può apprezzare ogni settimana in TV, ad un livello più alto di concentrazione e con un montaggio più codificato e coinvolgente.
Lee evita tutto questo, concentra in due sole sequenze l'estetizzazione doverosa di un gioco in cui di un giocatore (e solo dopo, per estensione, dello sport intero) si è potuto dire che era "poesia in movimento" (e Julius Erving era proprio questo!), mentre per tutto il resto del film il basket si fa simbolo, indice di un'ennesima lezione sulla storia e sul presente afroamericani. Non so se questa fosse ormai indispensabile (alcuni indizi, frasi catturate fuori dal cinema, mi fanno supporre che lo fosse più di quanto pensassi), di certo, però, poteva essere pensata in modo un po' meno retorico e con un minimo di coraggio visivo in più.

Si salva soprattutto il gioco collettivo al massacro, un circo vizioso in cui il denaro e il potere (quello di decidere del proprio futuro) non risparmiano nessuno da una certa dose di meschinità. Ne viene fuori una vicenda senza eroi e scentrata, sbilanciata sull'occhio dell'autore e incapace quasi sempre di coinvolgerci appieno, tranne che nel finale, in cui il sogno di un palazzo dello sport che sconfina dentro i muri del carcere introduce uno scarto importante, il momento in cui il processo di apprendimento si manifesta a generazioni invertite: il padre ricorda e assimila il gesto del rifiuto, l'importanza di trovare e riconoscere un ostacolo oltre il quale gettare la palla. Se vogliamo, questo è anche più retorico di tutto il resto, ma va in una direzione nuova e speriamo fautrice di nuovi necessari orizzonti per i prossimi film di Lee.