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Vampire$
Anno: 1997
Regista: John Carpenter;
Autore Recensione: luca aimeri
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 13-10-1998


John Carpenter, vampiri e b-movies
VAMPIRE$

Tit. or.: id.; regia: John Carpenter; sceneggiatura: John Carpenter, Don Jakoby, Dan Mazur; dal romanzo: Vampire$, di John Steakley; prodotto da: Don Jakoby, Sandy King; musica: John Carpenter; fotografia: Gary B. Kibbe; costumi: Robin Michel Bush; scenografia: Thomas A. Walsh; montaggio: Edward A. Warschilka; cast: James Woods (Jack Crow), Daniel Baldwin (Tony Montoya), Sheryl Lee (Katrina), Thomas Ian Griffith (Valek), Tim Guinee (Father Adam Guiteau), Maximilian Schell (Cardinal Alba), Cary-Hiroyuki Tagawa (Deyo), Mark Boone Jr., Thomas Rosales, Frank Darabont; produzione: Storm King Productions, Film Office, Largo Entertainment; Usa, 1998.

John Carpenter, vampiri e b-movies

"Amo i western e i miei film sono spesso western travestiti." (citato in F.Liberti, John Carpenter, Il Castoro, Milano 1997, p.7) Se l’affermazione pare essere valida per quasi tutta la produzione carpenteriana, lo è indubbiamente per Vampires: la contaminazione di horror e western è probabilmente il tratto più evidente di questo sua ultima realizzazione. Western perché l’azione si situa geograficamente nel West degli States, e sfrutta le location che gli sono proprie: deserti rossicci spazzati da venti messicani, praterie aride, fattorie isolate, cittadine fantasma, saloon, l’orizzonte deserto… siamo in piena wilderness, ed esploriamo un territorio di confine che non è solo metaforico (le realtà parallele classiche di Carpenter si orizzontalizzano e si distribuiscono geograficamente, concretizzandosi). Western perché i protagonisti, il "mucchio selvaggio di ammazzavampiri" capitanati da Jack Crow/James Woods, riproducono in tutto e per tutto una posse di cacciatori di taglie, sia nei modi che nelle motivazioni che nell’iconografia. Western per il respiro epico della storia; per la statura eroica degli eroi, per l’amicizia virile che li lega; per il senso dell’onore e della missione del cavaliere che si fa sempre più solitario (western post-peckinpah, verrebbe da dire, perché, come in tutti gli altri film di Carpenter, non arrivano mai "i nostri": la suddivisione manichea tra buoni e cattivi è venuta meno da un bel pezzo, i Nostri non ci sono più, e l’uno-contro-tutti è la regola di ogni suo finale). Western perché se ne rispettano gli snodi, le situazioni drammatiche, le prove del viaggio dell’eroe: la caccia all’uomo, le sparatorie, il gioco concentrico dell’assedio, il duello, l’epilogo come partenza verso una nuova avventura, la chiusura come apertura ritardata ("qualche giorno di vantaggio") di una nuova battuta di caccia…

L’operazione non può che richiamare, ad un primo sguardo, altre due pellicole che si erano mosse con successo in questa direzione: Near Dark (Il buio si avvicina, 1986) di Kathryn Bigelow, e From Dusk Till Dawn (Dal tramonto all’alba, 1997) di Robert Rodriguez (su sceneggiatura di Quentin Tarantino). A parte la componente western: delle incubiche scorribande della gang sanguinaria della Bigelow, il film di Carpenter conserva la cupezza e la carica violenta e anarchica; del tex-mex di Rodriguez-Tarantino, Carpenter sembrerebbe condividere la spregiudicatezza nel giocare con il cinema "basso" e le sue formule, ma laddove l’operazione si configurava come omaggio cinefiliaco e divertissement, le opzioni b-movie di Vampires si collocano in un discorso rigoroso che segna l’intera carriera di Carpenter e la sua "idea di cinema".

"Per B non intendo film meno costosi, buoni o importanti, ma film il cui obiettivo principale sia intrattenere" (p.8): per dichiarazione di Carpenter "i film non sono opere intellettuali", ma questo non vuol dire che a un secondo livello di lettura non ci sia un sottotesto che va oltre la logica dell’entertainment più leggero (come accadeva appunto nel cinema science-fiction e horror degli anni ‘50-’60) e questo il regista lo sa perfettamente. Esemplare il caso di They Live (Essi vivono, 1989): oltre la fumettistica facciata horror-science-fiction si annidava un lucido attacco alla politica di Reagan. Con Assault On Precinct 13 (Distretto 13. Le brigate della morte, 1976), Essi vivono e Vampires, rappresentano poi i lavori più aderenti al mondo in ombra del b-movie, a trecentosessanta gradi – anche a livello produttivo (produzioni indipendenti, film "meno costosi", margini di libertà più ampi).

Carpenter sceglie la serie-b perché è il cinema che evidentemente sente come il più funzionale a battere i percorsi che innervano la sua produzione: nella "essenzialità" dei suoi meccanismi gli permette di mantenere il discorso critico ad un secondo livello rispetto all’intrattenimento ma senza seppellirlo in profondità, dunque non privandolo della sua aggressività; e coltivare le modalità del b-movie all’interno di Hollywood significa metterla in discussione, in qualche misura corroderla dall’interno (l’industria dello spettacolo è il secondo motore dell’economia degli States, la "guerriglia" di Carpenter ha valenza politica anche in questa prospettiva e non solo sul piano dei contenuti del materiale narrativo) quando non scontrarvisi apertamente (appunto in quei casi in cui l’"indipendenza" diventa anche produttiva).

La totale sfiducia di Carpenter nelle istituzioni, la carica anarchica in opposizione alla volontà di omologazione insita nel concetto di autorità, la denuncia della corruzione come componente implicita di ogni forma di potere, emergono chiaramente in Vampires a livello di materiale drammatico, di storia: il suo "furore" in questo caso, come in altri (si pensi a The Fog, 1980), si scaglia contro la Chiesa, nella figura del rappresentante del Vaticano, il Cardinale Alba che, se da una parte sovvenziona la crociata contro i vampiri, dall'altra stringe un patto col demone al fine di garantirsi quell’immortalità che la religione può promettere ma non è in grado di provare. Manipolazione di vite a scopo personale, sovvenzione di una guerra sottobanco nella prospettiva di un rendiconto (la "$" di dollari che soppianta la "s" del plurale del titolo è un’ulteriore goccia di acido che apre un pecorso nella texture filmografica carpenteriana): l’"operazione vampiri" è qualcosa di segreto, di nascosto al mondo, e l’obiettivo è la conquista di un potere assoluto… Non c’è alcuna purezza, nemmeno nelle battaglie e negli ideali più nobili, sembra suggerire Capenter; e non c’è mai stata: significativamente, considerando i western "l’unica mitologia che l’America può reclamare come propria" (p.8), con Vampires il regista la incrina, inquinandola con il meticciamento del genere.

Siamo distanti mille miglia dai vampiri che arretravano di fronte al crocefisso. E contro le mistificazioni del Bene come forza vincente sul Male Carpenter gioca, più che altrove, la carta dei dialoghi: l'ironia sprezzante con cui carica, polarizza, le battute e gli scambi di informazione ridicolizzano il consolatorio immaginario "vampiresco" (aglio, crocefissi ecc.), come le forze "positive" che gli si oppongono (l’esperto latinista del Vaticano che tentenna di fronte al latino; il marchio di "originalità" che la Chiesa ha apposto sul Valek, il "primo vampiro riconosciuto"…). L’unica forza in gioco esentata dall’ironia che domina l’intera operazione risulta Valek, il Vampiro, che vanta l’appellativo poco rassicurante e tutt’altro che ammiccante di Maestro (un anticristo a tutti gli effetti). Il vampiro sintetizza i tratti di ciò contro cui Carpenter si scaglia con regolarità: il potere come sopraffazione (il vampiro vive del sangue delle sue vittime), omologazione (chi è morso si trasforma in vampiro a sua volta), inganno (le promesse allettanti che regolarmente il vampiro di turno propina alle vittime in cambio del voto… di fedeltà). E, soprattutto, Valek non è unico ma unità di una serie di multipli sparsi nel mondo (essi vivono): il Male, la progenie di Dracula, è ovunque; la battaglia del manipolo di eroi (rigorosamente mercenari) è persa in partenza, la vittoria finale di Crow (il corvo) coincide con una sconfitta (soprattutto per il fatto che il suo amico più fidato è ormai uno di loro, e con la sua compagna zombie Sheryl Lee/Katryna/Laura Palmer parte verso una nuova vita: nonostante le promesse di morte, sappiamo che Jack difficilmente troverà la forza di scovarli ed eliminarli).

Per restituire il vampiro alla terribilità che gli è propria, Capenter sceglie di riportarlo al territorio di celluloide originario, la serie b. Carpenter sembra rivolgersi al b-movie alla ricerca di una verginità perduta della storia di vampiri: quasi che, dopo le stratificazioni di tanto cinema, le incrostazioni estetizzanti più recenti, le evoluzioni della figura del vampiro verso spinti romanticismi (la critica é tuttaltro che velata, e James Woods se ne fa portavoce con una delle battute più divertenti e demistificanti del film: i vampiri veri non sono i dandy più o meno effeminati che concedono interviste a giornalisti rampanti, come accadeva in Interview with the Vampire/Intervista col vampiro, 1994, di Neil Jordan), fosse necessario un trattamento di restyling-al-contrario... andare a riscoprire la vera natura mostruosa del vampiro, renderla in tutta la sua feroce grandezza. E Carpenter, qui come altrove, vede coincidere questa forza di impatto con la scarnificazione (la struttura "caccia all’uomo" è una delle più elementari ed autosufficienti impalcature narrative), nel tentativo di restituire all'essenzialità il plot, gli eventi, i personaggi. A supportare la corsa della macchina narrativa, Carpenter non esita di fonte all’"effettaccio", non disdegna lo splatter (anzi, questo é forse l'operazione più grandguignolesca della sua filmografia): e la naïveté dell'effettistica solo ad una lettura semplicistica è ascrivibile ad un gusto modaiolo trash; piuttosto è coerenza filologica se non un’opzione ancora una volta tesa allo svuotamento della spettacolarità hollywoodiana mainstream impregnata di business (niente orpelli, come un diamante grezzo; infine, gli effetti digitali costano, implicano compromessi produttivi). Questo punto prospettico offre una delle chiavi di costruzione del lavoro: l’organizzazione del racconto tende alla semplificazione più spinta, si tende a privilegiare i nodi chiave della narrazione, a evidenziarli; eppure, a livello di discorso filmico, Carpenter sembra procedere secondo una logica contraria: il racconto arriva spedito ai detti punti focali, ma il trattamento loro riservato, le soluzioni formali che applica, sembrano avere una volontà sbrigativa, liquidatoria. Come a dire: "questo é il punto, è terribile, un inferno di sangue e fiamme in terra; ok, passiamo ad altro perché non è finita", lo splatter c'é ma come sciolto in un montaggio acido fatto di parentesi che lo contiene, impedisce l’assuefazione, lo mantiene in tensione.

 

filmografia di

JOHN CARPENTER

 

1974 Dark Star (id.)

1976 Assault On Precinct 13 (Distretto 13. Le brigate della morte)

1978 Someone is Watching Me (Pericolo in agguato; Tv)

1978 Halloween (Halloween, la notte delle streghe)

1979 Elvis (Elvis, il Re del Rock; Tv)

1980 The Fog (Fog – La nebbia)

1981 Escape from New York (1997: fuga da new york)

1982 The Thing (La Cosa)

1983 Christine (Christine, la macchina infernale)

1984 Starman (id.)

1986 Big Trouble in Little China (Grosso guaio a Chinatown)

1988 Prince of Darkness (Il Signore del male)

1989 They Live (Essi vivono)

1992 Memoirs of an Invisible Man (Avventure di un uomo invisibile)

1993 Body Bags (Body Bags. Corpi Estranei; episodi: The Gas Station; Hair)

1994 In the Mouth of Madness (Il seme della follia)

1995 Village of the Damned (Il villaggio dei dannati)

1996 Escape from L.A. (Fuga da Los Angeles)

1997 Vampire$ (Vampires)