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L'odore della notte
Anno: 1998
Regista: Claudio Caligari;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 24-09-1998


L'odore della notte di Caligari
L'odore della notte


Regia:Claudio Caligari
Soggetto: Dino Sacchettoni
Interpreti: Valerio Mastandrea, Giorgio Tirabassi, Marco Giallini
Distribuzione: Istituto Luce, Marco Risi, Maurizio Tedesco
Formato: 35 mm.
Durata: 90 min.
Provenienza: Italia
Anno: 1998


Abborracciato ritratto di un deprivato, mentecatto, ex poliziotto dedito a rapine: il protagonista attorno alla cui rabbia ruota tutto è un coatto, privo dell'intima sofferenza del luminoso esempio a cui il regista di Amore Tossico avrebbe voluto a suo dire ispirarsi. Il Jules Bonnot tratteggiato da Cacucci nel suo romanzo "In ogni caso nessun rimpianto" possiede una luce rivoluzionaria, che agita qualsiasi suo guizzo e permane nei personaggi di Belmondo, a suggellare il costante atteggiamento antagonista. La rabbia dell'anarchico francese raccontata da Cacucci è condivisibile, limpida, schietta. Spietata, ma umana. Quella inscenata da Caligari sulla scorta di Sacchettoni ("Le notti di Arancia Meccanica", titolo blasfemo, che non riesce a insozzare Burgess/Kubrick) è squallida, perché non animata che dalla gratuità elevata a principio guida.

Che sia la saga del nonsense retorico e del guazzabuglio raffazzonato si evince facilmente dal florilegio di frasi pronunciate a ruota libera, con fare ispirato (ed il nulla in fondo agli occhioni da cane bastonato, che Mastandrea si fa prestare da Sly) a cominciare dal ritratto del complice ("Roberto si giocava anche il cuore nelle rapine"), quello che non sapendo in quale altro modo tratteggiare se stesso, allunga il brodo con nostalgici racconti involontariamente esilaranti risalenti al tempo del collegio. Ma questa è solo la prima delle molte perle: "Proiettare la propria ombra anche senza sole" vorrebbe descrivere il Rozzo, l'altro complice, e contemporaneamente sollazzarci in sintonia con l'atmosfera caciarona di tutto questo approssimativo copione. E poi vai con i filosofemi da cioccolatino: "Vivere delle nostre spaventose accelerazioni" introduce la citazione dal più brutto film di Salvatores, sparando sulla tv, dalla quale peraltro occhieggia l'unica sequenza bella del film, perché la girò Porter nel 1903 (The Great Train Robbery). Un gratuito "I giovani rimandano la luce" è bissato dalla "consapevolezza di inutilità", che riassume l'intero film, specchio di un degrado di idee più che di periferie.

La voce off concitata dell'Io narrante non somiglia neanche lontanamente alla cadenzata cantilena di Trainspotting, ma riesce a risultare molto più importuna. Irritante, almeno quanto lo sguardo di sottecchi di Mastandrea, tra l'occhio assassino di Banderas e quello (più vivace) di un'acciuga. Probabilmente gli sbalzi tra la recitazione monocorde spalmata su tutto il film e la gigioneria di taluni momenti, come il barcollamento da ferito, sarebbero un tocco d'ironia nelle intenzioni. Risultano invece schizofreniche, ma inutilmente. Tuttavia il limite della sopportazione si supera nella lunga (troppo!!) sequenza del camuffamento, arte interdetta al bel Valerio.

Trapelava una sola intuizione seria in questo sollazzo da mostrare agli amici, essendosi sincerati che nessun intruso spii: l'idea che questa figura di balordo, schiacciato dal fiero odio per i potenti (ma allora perché fa lo sbirro?), potesse esercitare un carisma sugli altri stolidi con cui si accompagna, in quanto animato dalla fissazione di cambiarsi d'identità, nascondere i connotati, indossare divise diverse, tentando di essere sempre altrove e venga ancora di più schiacciato dalla inanità dei suoi sforzi febbrili di non farsi mai trovare dove i potenti, i ricchi, la società ingiusta (concetto non introiettato, ma subliminalmente presente nel suo subconscio) a lungo combattuta si aspettano di coglierlo. Ma è imbarazzante non solo il metodo di rappresentazione, ma persino da parte nostra immaginare che in quel prolisso pasticcio che scorre sullo schermo ci sia la vaga idea di comunicare la graduale consapevolezza del cambiamento dei ricchi, sfuggenti e diversi, parallela all'involuzione dei componenti della banda, imborghesiti e vomitanti.

Esausti gli spettatori assistono alla fine della guerra di classe, con la resa di Guerra, la loro strenua resistenza all'idiozia del film era venuta meno molto prima.