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Kids Anno: 1995 Regista: Larry Clark; Autore Recensione: Luca Aimeri Provenienza: USA; Data inserimento nel database: 05-11-1997
Con Leo Fitzpatrick, Justine Pierce, Chloe Sevigny.
Usa. Dur.: 95'.
Ventiquattr'ore tra i kids newyorkesi; ventiquattr'ore
tra adolescenti compresi tra i dodici-tredici ed i diciotto
anni; ventiquattr'ore di selvaggia ordinaria follia
allegramente distruttiva ed autodistruttiva scivolando su
skates, rotolando su bottiglie di birra, scorrazzando in una
gimcana tra sesso, droga & rock'n'roll, intrufolandosi
nelle camerette di ragazzini e ragazzine ad ascoltare
discussioni-fiume sulle prime(-seconde-terze-quarte-ecc.)
esperienze sessuali o a seguire le manovre di seduzione e
deflorazione, seguendoli quando hanno sete fino nel primo
store gestito da un cinese a rubare altre birre, per poi
bighellonare fino al parco a comprare la marjuana, spostarsi
a fare una canna o due per poi pestare selvaggiamente uno
che passa - uno a caso, tanto per trascorrere il pomeriggio
in attesa della festicciola notturna in cui si
sfascerà un alloggio si vomiterà si
scoperà ci si farà si berrà qualche
litro si rivomiterà ecc. ecc.: domani è un
altro giorno. Nuovi selvaggi anfetaminizzati,
gioventù bruciata di fine millennio: con la sola
differenza che il livello d'età è tragicamente
più basso, che non c'è una ribellione nemmeno
inconscia, che non rappresentano un limite, né
vogliono rappresentare una realtà al margine... I
Kids di Larry Clark sono il frutto di una società, di
un sistema, del presente: sono perfettamente integrati,
senza schemi, senza valori, senza meta. Soli, allo sbando:
non migliori, non peggiori di altri. La deriva è la
loro condizione, la metropoli il loro spazio: continuamente
in movimento, i protagonisti vagano senza obiettivo, non
c'è punto di arrivo se non quando le forze li
abbandonano - allora, dove si trovano crollano, si
addormentano - per il resto sono solo tappe. I Kids hanno
qualcosa di animalesco e di assolutamente selvaggio: in
branco sono uniti, forti, si avventano sulla vittima senza
lasciarle scampo, sia verbalmente, sia fisicamente; solitari
solo raramente, perlopiù in coppia, razziano
l'indispensabile per tenere alto il tasso di sballo. I Kids
hanno qualcosa di animalesco e di assolutamente selvaggio
perché sembrano privi di sentimento, ed agiscono in
maniera puramente istintiva: meglio (peggio) hanno ridotto
gli istinti ad un solo istinto, indeterminato e mutante, col
tratto distintivo comune della violenza. I Kids fanno paura
perché non hanno rimorsi; ma soprattutto
perché sono appena ragazzini senza nulla della loro
età anagrafica: anzi, hanno solo i tratti peggiori
degli adulti peggiori. Hanno solo quello che hanno
assimilato e sviluppato dal mondo dei loro genitori,
sostanzialmente assenti dalla pellicola. I Kids girano a
vuoto come trottole impazzite, con il vuoto dentro: ed
è per questo che sono innocenti. Gioventù in
fiamme incontrollabile: ma nessuno si dà la pena di
controllarla, perché l'incendio è totale.
Larry Clark spinge sulla componente realistica
affinché il suo ritratto sia brutale quanto la
realtà che analizza: il taglio è quasi
documentaristico, l'immagine sporca, le inquadrature
imperfette, predilige long take vicinissimi al piano
sequenza, la macchina da presa partecipa delle performance a
braccio dei giovani (non)attori... Clark pedina, segue,
piuttosto che anticipare: va a ruota, artatamente alla
deriva come i due protagonisti principali che fungono da
guida. La trama è ridotta all'osso, e si risolve in
una serie di situazioni tipo per mostrare luoghi, volti,
ascoltare discorsi, cogliere atmosfere, sottolineare gesti e
tic... Eppure "Kids" rimane sospeso tra una volontà
di mostrare tutto e quasi il timore di eccedere,
schizofrenicamente irrisolto tra il realismo e la fiction:
è quasi palpabile, mano a mano che ci si avvicina
alla conclusione, la paura di avere fornito una visione
eccessivamente apocalittica, senza speranza, della
realtà allo spettatore, di aver picchiato troppo duro
nello stomaco. Le aperture drammatiche della trama parallela
vissuta dalla protagonista femminile spezzano il ritmo
serrato e suonano come smagliature del tessuto: concessioni
che aprono spiragli ad un'ipotesi di malafede del regista.
Ed è soprattutto nel finale che Clark cede ad una
vena didascalica, cercando di riconnettere la cellula
ingrandita al microscopio al corpo più vasto a cui
appartiene: all'epilogo naturale seguono un finalino secondo
ed un finalino terzo ammiccante; e la forza,
l'aggressività delle immagini si smorzano, mentre si
rafforza il dubbio di un vizio di fondo dell'operazione.
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