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Gadjo Dilo, lo straniero pazzo - Gadjo Dilo
Anno: 1997
Regista: Tony Gatlif;
Autore Recensione: Giampiero Frasca
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 06-07-1998


Stephane, uno giovane studioso parigino di musica, si reca in Romania per trovare una cantante, Nora Luca, di cui ha ascoltato un nastro che lo ha folgorato

Lo straniero pazzo

Tit. or.: Gadjo dilo; regia: Tony Gatlif; cast: Dan Astileanu, Ovidiu Balan, Romain Duris, Rona Hartner, Izidor Serban; sceneggiatura: Tony Gatlif; fotografia: Eric Guichard; musiche: Tony Gatlif; montaggio: Monique Dartonne; suono: Nicolas Naegelen; produzione: Princes Film; France, 1997; durata: 100'.

Stephane, uno giovane studioso parigino di musica, si reca in Romania per trovare una cantante, Nora Luca, di cui ha ascoltato un nastro che lo ha folgorato. Approda in un villaggio Rom in cui interagisce con gli abitanti, venendo a conoscenza dei lautari, i musicisti zigani a cui Emil Lotjanu aveva dedicato un famoso film nel 1972. Piano piano Stephane, con l'aiuto del vecchio Izidor e della bella Sabina, comincerà ad apprezzare e a farsi apprezzare dalla gente del posto, entrando a contatto con una cultura diversissima dalla sua, piena di passione e sana follia.

Gadjo Dilo - Lo straniero pazzo, il nuovo film del regista franco algerino Tony Gatlif, è una pellicola che affida il suo senso della percezione non alla testimonianza diretta delle immagini e dei suoni, impulsi perfettamente recepibili sul piano eminentemente comunicativo, bensì alle pulsioni emotive che da questi impulsi trovano il loro punto di origine. Gadjo Dilo, secondo Gatlif, non va compreso attraverso i canoni tradizionali, ma va vissuto intimamente a livello passionale, in modo da assumere su di sé, completamente, la vera essenza della cultura verso la quale il lavoro si avvicina. Altamente simbolica ed esemplare a questo proposito la sequenza finale del film: Stephane, che nel suo soggiorno al villaggio si è premurato di registrare diverse cassette con la musica locale e ha preso appunti sulla storia e sulle usanze dei nomadi, distrugge tutto quello che si è faticosamente procurato fino a quel momento, sotterrando in una fossa i resti del suo gesto e ponendo sulla terra gettata per ricoprire la fossa una bottiglia di vodka (ripetizione del gesto compiuto da Izidor al funerale di un suo amico zigano). Stephane ora ha veramente compreso l'essenza e la natura dei Rom nel cui villaggio ha soggiornato, non ha più bisogno di strumenti che fungano da surrogati: la cultura zigana non si appunta, la si assume. Questo assunto conclusivo dà anche la misura attraverso il quale va preso e considerato il film di Gatlif, la cui stessa scelta di narrare l'intera vicenda assumendo Stephane come personaggio focalizzante la dice lunga sulle sue intenzioni. Sin dall'inizio lo spettatore penetra nella finzione grazie alla conoscenza del personaggio di Stephane: il sapere del pubblico passa attraverso il sapere del giovane parigino, ciò che man mano conosce lui diventa il patrimonio cognitivo del pubblico. Anche la scelta di far parlare ai Rom la loro lingua - tenendo conto che la sottotitolatura è necessaria per la comprensione effettiva della vicenda -, in netta contrapposizione al francese di Stephane nella versione originale (all'italiano nella versione nostrana), è un segnale in più delle barriere che lo spettatore deve superare insieme a Stephane per penetrare con lui in un mondo che non conosce. Il cammino di formazione del personaggio diventa lo stesso percorso per lo spettatore, il risultato a cui arriva Stephane, secondo le aspirazioni di Gatlif, dovrebbe essere la stessa meta del pubblico che vede le immagini in sala, in un solidale connubio cognitivo (Stephane come emblema dell'uomo occidentale introdotto in una realtà che ignora). Ma il risultato conclusivo, nonostante il grande fascino pulsionale che emana il film di Gatlif, non è di completa assunzione passionale delle istanze che partono da immagini e suoni. Purtroppo la sceneggiatura dello stesso Gatlif dissemina svariati indizi ed esche che poi non si premura di chiudere e soddisfare. Troppo facile dire che la sua intenzione era di mostrare altro, di far provare qualcosa emotivamente allo spettatore. Dietro la figura di Nora Luca, Gatlif rende esplicita la figura di un padre per Stephane, lasciando trasparire un passato doloroso, problematico (il padre, viene detto, ascoltava Nora Luca poco prima di morire, questo il motivo per cui il giovane la sta alacremente cercando) e misterioso (la lettera della madre che lo raggiunge nello sperduto paese rumeno e lo omaggia di una cospicua quota di denaro). Gadjo Dilo dissemina tracce ma non soddisfa la legittima curiosità dello spettatore più intransigente e razionale. Il cinema non è abbandono passivo alle sensazioni emotive, ma è comunicazione, comprensione, denotazione e connotazione. Se mancano queste condizioni, tutto il resto diventa inutile ridondanza.