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Gadjo Dilo, lo straniero pazzo - Gadjo Dilo
Anno: 1997
Regista: Tony Gatlif;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 25-06-1998


Gadjo Dilo di Tony Gatlif
Gadjo Dilo

Regia:Tony Galif
Sceneggiatura: Tony Gatlif
Fotografia: Eric Guichard
Operatore: Claude Garnier
Scenografia: Brigitte Brassart
Suono: Nicolas Naegelen
Musica originale: Tony Gatlif
Consulente musicale: Rona Hartner
Montaggio: Monique Dartonne
Interpreti: Romain Duris, Rona Hartner, Izidor Serban,
Ovidiu Balan, Dan Astileanu, Valentin Teodosiu

Direttore di Produzione: Doru Mitran
Produttore esecutivo: Guy Marignane
Produzione: Princes Films
Formato: 35 mm.
Provenienza: Francia
Anno: 1997
Pardo d'Argento miglior film
Pardo di Bronzo miglior interpretazione femminile



Uno scatto di ribellione al gelo, alla fatica, al deserto, all´emarginazione. Con questo s´inizia Gadjo dilo: ¨Chi se ne frega. Non cammino pił¨. Il cippo accanto al quale viene presa questa decisione quasi per magia, o come ricompensa, dà ad un giovane vagabondo il salvacondotto per il mondo nomade, che si dimostra non privo di regole, una comunità svincolata dalla ipocrita barbarie dello squallido bar di rumeni, ma consapevole di ruoli che assegnano la categoria dilo (pazzo) a Stéphan, giovane parigino melomane alla ricerca di una melodia, che fin troppo scopertamente si carica di significati metaforici riguardanti equilibri esistenziali, oltreché scoperta in piena tolleranza di culture negate dal presunto progresso che non lascia spazio a civiltà ancorate ai ritmi di un altro tempo.
Preludio a quel passaporto verso un mondo esotico, che ha spesso solleticato autori di varie arti, è la canzone che sui titoli di testa espone in molte lingue il carattere libero dei Rom. E allora ritroviamo Lautari di infinite feste dell´Unità insieme alle note di Grappelli (Stéphan anche lui) o ai personaggi di Blaise Cendrars (Rapsodie Gitane, Adelphi, e Moravagine, oscar Mondadori), mescolati alla reazione del villaggio tzigano di fronte all´intrusione del giovane straniero (gadjo in rom), al quale si attribuiscono le stesse intenzioni malevole che i bottegai nostrani considerano essere unica attività delle popolazioni zingare. La differenza sta nell´atteggiamento forcaiolo della nostra società violentemente punitiva, laddove al contrario i rom osservano senza intervenire e lasciando andare l´intruso: ¨Perché trattenere un ladro?¨, ma anche perché castigarlo su illazioni senza prove? Tornerà di suo e non subirà violenze: non sono incivili gli zingari.
Unico intento che unisce questo film alla schiera di pellicole sul mondo esotico dei nomadi, cui appartiene Un´anima divisa in due di Soldini è l´approccio alla cultura zigana, per il resto la sensibilità dell´attore francese è più stralunata del gigione Bentivoglio e gli consente una gamma di espressioni ben più vasta che trascorre da una sana curiosità, stupita e trasecolante, alla indignata reazione alla violenta vendetta dei rumeni scatenati contro l´intera comunità per punire esageratamente e con giustizia sommaria Adriani, il figlio di Izidore, l´anziano violinista, dinoccolato amico di Stéphan che gli dischiude un universo non solo di note musicali; figura poetica e anacronistica, nel senso di senza tempo, di artista zingaro.

Fin dal primo incontro con Sabina l´oralità assume un´importanza che travalica l´ambito della colonna sonora, avanzando una possibile interpretazione per alcune manifestazioni di una cultura perseguitata e quasi estinta: dal carretto che precede i passi di Stéphan nella neve all´inizio la giovane allude esplicitamente alla sessualità (che evidentemente viene vissuta in modo più naturale e privo di tabù, a giudicare dagli episodi del film), usando verbi poi ricorrenti nei discorsi amorosi: mangiare, mordere, leccare. Essi sempre vengono usati per sottolineare un approccio che consenta di appropriarsi di un bene amato, per il quale si prova attrazione e questo apporta un senso ulteriore agli intenti divulgatori del film, se si considera quanto viene sottolineato lo scambio linguistico. Ciò che è piacere passa attraverso la bocca, usata per provocare sguaiatamente (ma per i codici di quella realtà sono forme divertenti di seduzione nient´affatto disdicevoli), per dileggiare, sfidando ad intrattenere un rapporto interpersonale approfondito. Infatti la prima reazione della flessuosa ballerina ad un gesto gentile del gadjo dilo è un morso, a sottolineare questo aspetto, ma anche a rimarcare una ostilità difensiva verso approcci sbagliati alla loro concezione del mondo e ai teneri bisogni di affetto, familiarità, amicizia, alla richiesta di presenze che legittimino l´esistenza della loro cultura, testimoniandola come tale.
Il 24 giugno 1998 è stato celebrato il funerale della regina rom Mafalda e appare simbolica la sua morte contemporanea alla distribuzione di un film che rende conto della distruzione della cultura rom in estinzione, evidenziata nella triste sequenza finale in cui il giovane è consapevole di quanto ormai, in assenza di quella comunità, abbia poco senso ascoltare le loro musiche, che traggono linfa dalla situazione rituale, dai loro vestiti e dalle provocanti mosse delle donne, vissute in diretta, durante le celebrazioni, le feste, i balli, le danze lascive (eppure caste rispetto alle volgarità televisive). Così distrugge le sue registrazioni, completando l´elaborazione del lutto per il padre, musicofilo morto presso i beduini siriani, mentre viveva con loro intriso della loro cultura, sotterrandole presso il cippo sul quale si era riposato all´inizio del film. Con lui rimane una musica nell´aria che lo spinge al ballo; ed in macchina la sorridente Sabina, che nel momento clou del film sembra incarnare a pieno lo spirito di Nora Luca, cantante la cui incisione imprime nuova spinta ogni volta che il film sembra adagiarsi; attraverso la sua ricerca si inanellano nuove situazioni e personaggi : ¨Chi vai cercando?¨, chiede una giovane ballerina e la risposta sta in quell´arcano musicale che lega padre e figlio, francese e zingara, matrimoni e funerali, i quali danno modo a Izidore di scatenarsi istrionico in struggenti sonate e ubriacature leggendarie, commozioni genuine, come quando esclama ¨La musica di mio padre viene fuori dal giornale¨, mantenendo l´ingenuità di un bambino di fronte al grammofono di fortuna fabbricato da Stéphane, che consente di ascoltare il disco appeso al muro, un 33 giri che brucerà con la casa e il figlio del vecchio ucciso nella rappresaglia razzista.
Ma ho visto anche degli zingari felici, corrersi dietro, far l´amore e rotolarsi per terra...