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Seven Anno: 1995 Regista: David Fincher; Autore Recensione: l.a. Provenienza: USA; Data inserimento nel database: 07-05-1998
Untitled
SEVEN (id.), di David Fincher; sceneggiatura
di Andrew Kevin Walker; con Brad Pitt, Morgan Freeman, Kevin Spacey.
Usa, 1995. Dur.: 2h e 10'.
Ogni sorta di aggettivo che richiami
atmosfere cupe è stato utilizzato per definire Seven: malato,
sporco, malsano, nero, angosciante, fatiscente... Poi, il paragone
con Il silenzio degli innocenti è stato a dir poco
abusato. Un altro serial killer, l'ennesimo. Eppure, davanti alle
immagini del secondo film di Fincher (dopo Alien III) ogni termine
viene inghiottito in uno stato d'ansia che si presta ad ogni aggettivazione.
Seven è certamente più inquietante nel suo complesso
dell'ottima prova di Demme. Un forte punto a favore di Seven è
sicuramente la fotografia di Darius Khondji: è al 70-80%
ad essa che vanno attribuiti i termini elencati nella nostra apertura
- malato, oscuro, opaco, nero... Qualcosa sfugge sempre, in ogni
singola inquadratura: ed inquieta. Non è la fotografia
in se stessa: è ciò che impedisce di cogliere quella
fotografia, quell'illuminazione, quel taglio del quadro... Seven
è un film che fa strizzare gli occhi, non per non vedere
le terribili nature morte che l'assassino compone: ma, esattamente
al contrario, per cercare di vedere il più possibile -
lo sforzo di vedere oltre quella fotografia, quella cortina acciecante
ed onnipresente. Strizzare gli occhi, indagare dilatando la pupilla
nell'oscurità, per ricostruire una scenografia sfuggente:
i particolari, quando finalmente riusciamo a metterli a fuoco,
sono ancora più inquietanti, perchè frutto di una
ricerca che ci accomuna ai due detective. Il nostro occhio fruga
lo spazio con Freeman e Pitt, e scopre - quelle centinaia di arbre
magique che pendono dal soffitto grigio, quelle migliaia di quaderni
che stipano la libreria e le scaffalature della casa dell'assassino...
E' malato non solo il maniaco, è morbosa non solo l'intera
vicenda: è perverso soprattutto il meccanismo di visione
(di fruizione) che il regista innesca nello spettatore attraverso
il lavoro sulla fotografia, sulle riprese steady, sul montaggio.
Immagini sfuggenti che proprio per tale natura restano impresse
nella pupilla ed infettano di curiosità la mente - e lo
spettatore rimane sospeso nell'orrore del coinvolgimento. Visibilità
e visione ostacolate, quasi negate: fin dai titoli di testa, vibranti,
nervosi, opacizzati, sbiaditi, sovrapposti, al limite dell'illeggibile.
Dunque, difficoltà di lettura e decodifica, che rappresenta
la cifra stilistica del lavoro di Fincher e soci, ma che è
soprattutto a fondamento del costrutto drammatico della sceneggiatura
dell'esordiente Andrew Kevin Walker: le indagini dei detective
muovono dalle parole tracciate col sangue sui luoghi dei crimini
(i 7 peccati capitali), subiscono una svolta quasi filologica
impigliandosi negli apocalittici testi letterari che precedettero
l'anno Mille, ed infine approdano alla biblioteca privata del
maniaco - mistico grafomane delirante. Tra un millennio, Seven
sarà significativamente catalogato come uno dei film che
precedettero l'anno Duemila.
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