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Jackie Brown
Anno: 1997
Regista: Quentin Tarantino;
Autore Recensione: Marcello Testi
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 02-04-1998


Ritorno di Tarantino, dopo il successo galattico di Pulp Fiction e il lavoro a 4 mani con Rodriguez sui difficili rapporti tra la Chiesa e i vampiri

Ritorno di Tarantino, dopo il successo galattico di Pulp Fiction e il lavoro a quattro mani con Rodriguez sui difficili rapporti tra la Chiesa e i vampiri.
Diffidate.

Diffidate da chi sbandiera la noia come dominante di questo film. Costoro non si sanno annoiare e non hanno voce in capitolo; hanno semplicemente scambiato la delusione con la noia, hanno caricato un film di attese e lo aspettavano per dispensarci "pillole di saggezza cinematografica". Non è andata così, dai cassetti, invece delle voci preregistrate sulla conferma del nuovo genio anarchico Hollywoodiano (?), sono usciti gli altrettanto preconfezionati coccodrilli, in morte del pulp e delle iene. Diffidate.
C'è molto del Tarantino precedente in Jackie Brown, a cominciare dalla voglia di rivedere i meccanismi narrativi, compresi i propri. Da un lato si trovano variazioni sul tema (per esempio quello della scomposizione di un evento nei molteplici punti di vista, dietro i quali si nasconde l'occhio tiranno dell'autore), dall'altro c'è Jackie Brown, che è la vera invenzione e inventiva del film (non per niente il titolo del romanzo da cui il soggetto è tratto è stato sacrificato per dar spazio all'eroina): a dispetto degli annoiati, la vicenda opera finte e cambi di direzione repentini, il mondo del probabile viene non solo esplorato, ma anche fatto esplodere e ampliato, contro tutte le narrazioni circolari (e chi ti ci vuole rinchiudere), contro la tesi che "tutte le storie sono state scritte".
Lo scarto non avviene, al contrario che in Heat, con un'alzata di sopracciglio di Robert DeNiro (presente anche qui): Tarantino non tradisce (ancora!) la sua verbosità e questo forse non glielo si perdona facilmente, ma bisogna anche ammettere che i suoi dialoghi fluviali sono dannatamente divertenti (e per questo, come si è detto, non glielo si perdona con etica tutta penitenziale "alla Tempesta di ghiaccio" - il terribile pamphlet reazionario di Ang Lee -, e si finge di annoiarsi). E come una lunga battuta deve intendersi anche il virtuosistico carrello iniziale, una dichiarazione d'amore per un personaggio piuttosto che un vezzo di stile; un didascalico e al contempo sottile consiglio allo spettatore: se vuoi conoscere tutta la storia, GUARDA Jackie, pedinala, seguila su sentieri a volte impossibili e impervi (da Hollywood a Compton a... El Monte?!), ma non ne sentirai, non ti converrà sentirne la voce; è più o meno la stessa cosa che ha fatto James Ellroy con la madre e con le tante vittime "compatite" dei suoi romanzi.

Diffidate, dunque, di Jackie Brown e di quello che vi racconta, la sua specialità consiste nel non dire tutta la verità. Infatti passerà (non senza dolore) attraverso gli eventi, attraverso lo specchio, prosaicamente situato nella cabina-prova di un mall, mentre gli altri, sinceramente meschini (tutti tranne il grande Ordell - Samuel L. Jackson - un personaggio/attore obiettivamente troppo bello per essere vero), moriranno come mosche (o vivranno da poliziotti gabbati...).

Attenzione, diffidate anche del "look & sound" anni '70 suggeriti dal commento musicale (ma dove saranno stati pescati i Delfonics? Come hanno fatto a non avere successo con un nome così?), da un paio di baffi di un poliziotto, da vestiti, borse e arredamento. Quanto possano essere immobili, smemorati e anacronistici i dintorni di Los Angeles ce l'ha già raccontato Ellroy (che ha di recente chiamato Tarantino "un bastardo niente male"). I mall contenenti multisala sono invece un'invenzione degli ultimi dieci anni e proiettano Wolf e Il rapporto Pelikan; il filmato, diretto da Tarantino, con le "pollastre che amano le armi" deve tutto alla CNN post-guerra-del-Golfo (1.9.9.1); e Tony Curtis ha veramente più di 60 anni, oggi.