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Life during wartime
Anno: 2009
Regista: Todd Solondz;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 14-04-2010


La società e la cultura civile ed umana è migliorata o peggiorata rispetto al precedente film di Todd Solondtz “Happiness”? Forse non è peggiorata, sicuramente quello che ci mostra Life During Wartime è una maggiore confusione da cui non si viene fuori. Il messaggio è chiaro non abbiamo più speranza. O meglio una speranza il film lo lancia ed è quello della genetica. I continui richiami per giustificare o capire quello che non si riesce a comprendere è un continuo ricorrere ai geni come ragione di quello che succede. E’ una forma di religiosità. Ed anche una giustificazione, la nostra pazzia non dipende da noi ma dai nostri geni. Dove sta la speranza? Se la scienza dovesse trovare una medicina non saremo più pazzi, maniaci, pervertiti ecc. A questo punto le nostre azioni non dipendono da noi, ma dai nostri geni, ma sarà possibile oppure la nostra umanità ha qualcosa di mostruoso che abbiamo creato dentro di noi e che non riusciamo ad eliminare? Solondtz con un caledoscopio di personaggi e caricature ci fa entrare in un mondo decadente e folle. Non hanno più nulla da perdere. Sia che abitano in California sia che si trasferiscono nella bellissima Florida. Il loro mondo è quello di una ricca borghesia, ebrea che rappresenta la parte liberal della nuova America, quella che ha votato Obama, ma che è incapace di rigenerarsi e di poter continuare la specie. I tre figli sono sbalorditi e incapaci a mettere fuoco la loro vita. Il maggiore che studia al College non riesce a dimenticare il padre che lo ha violentato e se ne vergogna con gli amici che fanno a gara per vedere chi ha la famiglia più disgraziata. Ma incredibilmente si vergogna perchè lui sente un sentimento per quel padre pedofilo, un sentimento che non è di odio, forse amore, qualcosa che neppure lui riesce a capire. La minore invece si intossica di medicinali, calmanti e si annebbia la mente. Ecco che l’”uomo della famiglia” il figlio di mezzo, un quasi tredicenne rappresenta la filosofia del film. La sua domanda è: dimenticare o perdonare? La risposta gli arriva diretta e senza tramiti, dimentica così non avrai bisogno di perdonare. Si non avranno bisogno di perdonare e gli basterà dimenticare ma non ne saranno capaci perchè non hanno tante speranze e non ne sono capaci. E diciamolo è anche più facile dimenticare o fare finta di dimenticare. La loro rete di sentimenti è spezzata. Il film è veloce, con una serie di scene dirette e spietate come un colpo di pistola che ci colpisce nel petto, le scene poi alla fine arrivano nello stesso punto di arrivo. Divertente come può essere qualcuno che si diverte prima della sua fine, che con autoironia ci ricorda che la morte avrà può essere anche una soluzione. Questa società americana si sente ancora in guerra, sa che è un paese in guerra, ma non è un conflitto contro il Vietnam prima o l’Iraq adesso, è una guerra che la parte nobile della loro popolazione ha dentro di se “Il nemico è dentro di noi” ci ricorda il film e non sono in grado di vincerla. La guerra è persa. Bellissimo, ironico, divertente e malinconico. Come un film corale gli attori bravissimi si completano uno con l’atro, diventano un personaggio unico, malato e perverso, ma unico. PS: Ma sarà un caso che l’unico personaggio normale, un uomo di mezza età che si prende cura del figlio, che vuole abbracciare un ragazzo per dargli affetto e comprensione, che fa l’amore in un modo normale è l’unico che ha votato per McCain?