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M. Butterfly
Anno: 1993
Regista: David Cronenberg;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 01-04-2004


La grande guerra

M. Butterfly. David Cronenberg. 1993. CANADA-USA.

Attori: Jeremy Irons, John Lone, Barbara Sukowa, Ian Richardson, Shizuko Hoshi, Annabel Leventon

Durata: 101’

 

 

Cina. Beijing (Pechino). 1964. René Gallimard, uomo del consolato francese si reca, una sera, ad una festa dove assiste alla versione della Madama Butterfly di Puccini eseguita da una grande cantante dell’Opera di Pechino e ne rimane così impressionato che a fine rappresentazione avvicina Liling Song, l’interprete, per farle i complimenti. L’accompagna a casa dove un vecchio pescatore gli regala una libellula. Al mattino la moglie gli domanda spiegazioni per essersi ritirato tardi e lui s’inventa una scusa. La sera stessa torna a trovare la signorina Song la quale si mostra onorata ma soprattutto preoccupata per lo scandalo che potrebbe suscitare quell’incontro; René riesce ugualmente a sedurla ed a baciarla. Ad un ricevimento, alcuni funzionari dell’ambasciata minacciano Gallimard perché tenga basso il controllo sulle loro spese. René risponde alla provocazione con un aumento del controllo.  Dopo diverse settimane trascorse da quel bacio, durante le quali la signorina Song gli ha scritto senza ricevere alcuna risposta, il suo atteggiamento responsabile gli frutta la promozione alla carica di pro-console e così decide di tornare a vedere Liling. Scopre, la stessa sera, che lei è vergine. In veste della nuova carica Gallimard indice una riunione con gli altri funzionari del consolato nella quale sostiene la necessità di cambiare atteggiamento nei confronti del governo cinese e della cultura locale. Ad un picnic con Liling, Renè le confessa di amarla perché sente nella sua Butterfly un senso di sottomissione che lo gratifica. Lei non può fare a meno di ammetterlo, non ostante ne riconosca il difetto.  L’ambasciatore Toulon intanto, lo informa della volontà del presidente degli Stati Uniti Barry Lindon Johnson di aumentare la mole d’attacco sul Laos. Gallimard è convinto che i cinesi, per attitudine, saranno facilmente sottomettibili e che gli americani non incontreranno problemi nel vincere in Vietnam. In casa sua, Song detta importanti informazioni carpite a Gallimard ad un rappresentante del partito che gli fa notare di come alla Direzione non piaccia il metodo che sta utilizzando. Ad un altro ricevimento, René si lascia abbordare da Frau Baden, la moglie dell’ambasciatore tedesco. La notte, ubriaco, va da Liling e le chiede di mostrarle il corpo che gli ha sempre nascosto. Lei gli dice di essere incinta e lui confessa di averla tradita, pentendosi. Il giorno dopo la donna lascia la città perché come da tradizione, deve andare nel paese dei suoi genitori e far ritorno solo quando il figlio avrà compiuto tre mesi. In realtà, Song si vede con un membro del partito al quale chiede, per portare a termine la missione, di procurargli un bambino cinese biondo di quell’età. Una sera, tornando verso casa in bicicletta, René s’imbatte in una manifestazione di protesta maoista nella quale vengono appiccati i vestiti del teatro classico. Le rappresentazioni di partito hanno, infatti, sostituito quelle tradizionali e considerate conservatrici. Secondo un rapporto letto dall’ambasciatore Toulon al gruppo dei funzionari riunito in un’assemblea, i fatti sono andati diversamente da quanto Gallimard si aspettava: i cinesi, spinti dalle Guardie Rosse nate dal movimento rivoluzionario degli studenti, hanno proposto l’espulsione di tutti gli stranieri e l’America non riesce a venire a capo della situazione vietnamita. Una sera, mentre fa ritorno nel suo appartamento, Renè trova Liling sulle scale del palazzo che gli mostra il figlio ma immediatamente dopo viene condotta via da due Guardie Rosse che considerano gli artisti classici come antirivoluzionari. Qualche giorno dopo Gallimard viene dimesso dal suo incarico e Liling inviata in un campo di lavori forzati. Parigi. 1968. Gallimard è all’Opera dove assiste ad una rappresentazione della Madama Butterfly. Poco dopo, in un bar, sfoga la sua solitudine con uno sconosciuto mentre in strada avvengono duri scontri tra manifestanti comunisti e forze di polizia. Alcuni giorni dopo arriva al suo appartamento Liling con la quale finalmente Renè può congiungersi. Passa del tempo. Tre uomini lo attendono sotto casa sua mentre scende con un pacco diplomatico. Sono trascorsi difatti due anni da quando Liling lo ha raggiunto a Parigi e le carte sono state scoperte. In un tribunale, René è considerato traditore dello Stato francese di fronte alla deposizione del signor Song, in realtà una spia ma soprattutto un uomo. Incriminato e giudicato colpevole di tradimento, René è condotto in carcere assieme al suo accusatore. Durante il tragitto egli rinnega la relazione e il signor Song\Liling si sveste per mostrargli il corpo che aveva amato. Una sera, in prigione, Renè prepara la sua personale rappresentazione teatrale nella quale si mostra al pubblico di galeotti come una Madama Butterfly, con tanto di trucco e kimono. Si toglie la vita tagliandosi la gola con un piccolo specchio mentre il signor Song viene rimpatriato.

 

Ancora un lavoro ispirato ad un testo scritto, per l’undicesima pellicola ufficiale. Sebbene i titoli di testa fanno riferimento alla trama come ad un fatto realmente accaduto (il che non è falso, poiché l’ispirazione più prossima è quella dell’omonima pièce teatrale di David Henry Hwang, il cui soggetto, da lui adattato anche per lo schermo, era appunto un caso di spionaggio a Pechino) è importante tenere conto anche dell’omonima pièce teatrale scritta da Puccini intorno al 1900, ispirata al dramma giapponese in un atto di Long e Belasco. La storia dell’opera è già affascinante di per sé, ma la sua evoluzione, completa solo nella molteplicità delle sue versioni, è forse il primo elemento che può aver affascinato il regista: la Madama Butterfly è, di fatto, già di per se stessa un’opera mutante e Cronenberg non poteva farsi sfuggire la possibilità di contribuire con una personale interpretazione, ad un processo che vede l’opera giapponese manipolata e tramandata in così tante formule e modi differenti. La prima immagine della pellicola, dopo i titoli che appaiono fra pannelli orientali che scorrono e si sovrappongono, è quella di Jeremy Irons\Gallinard di spalle, nel suo ufficio. “Un orientale che si suicida per un occidentale, è ciò che affascina l’occidente” la dura descrizione del fascino imperialista fatta da Song, metabolizzata dall’uomo occidentale, che finisce per suicidarsi per un uomo orientale, l’assoluto ribaltamento delle posizioni, il fascino cronenberghiano dei poli opposti che si respingono. Rispetto all’opera originale pucciniana, infatti, è l’uomo ad uccidersi, e non più la donna e la cultura orientale a soccombere (“Con onore muore, chi non può serbar vita con onore” recita la Madama Butterfly di Puccini nel libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giocosa in Giacomo Puccini – Madama Butterfly – Ed. Ricordi). Con il cambio di ruolo, attraverso il suicidio dell’occidentale, il regista conclude e ribalta l’assioma facendo vivere ad egli stesso le perversioni capitalistiche delle quali era accusato il comportamento di Liling. Ciò che forse davvero angoscia lo spettatore, è il dubbio che Gallimard sappia da subito quanto accade (già intuibile nello sguardo di Irons appena uscito all’alba dall’appartamento di Liling dopo un primo rapporto): “Anche se sarà una femmina sarò felice” dice Renè alla stazione prima che lei parta (partorisca), ponendo un dubbio che Liling subito scioglie “Sono sicura che sarà un maschio”. Una posizione scomoda comunque quella di una coppia stretta fra due codici: la panoramica a destra che svela un letto ancora immacolato ed i due che amoreggiano in un interstizio dell’appartamento; il rapporto con Liling, il loro incontro nel camerino filtrato da un velo sottile che li divide nell’attrazione, o da una grata di ferro, nel furgone, dove a cogliere Gallimard è invece un senso di colpa. Con fredda sensibilità, Cronenberg descrive due realtà, una rigida ed una rappresentante (ambasciata), caratterizzate da una forte attrazione confusa: “I francesi si divertono a fare i comunisti cinesi con la pelle bianca” dice un ubriaco quando passa il movimento degli studenti per le strade di Parigi. Non è solo nel rapporto tra i due che Cronenberg esaurisce il tema del doppio ed il relativo senso ambiguo che ne deriva, egli ricompone le parti e costruisce momenti e figure complete: riunisce, come abbiamo detto, l’Oriente nell’Occidente ma anche nell’amato l’amante (il suicidio); nel maschio la donna: “Solo un uomo stabilisce come deve comportarsi una donna” dice Liling che in un altro momento dice anche “Sono io la tua Butterfly, sotto gli abiti, al di la di tutto” e lo stesso Gallimard dice in punto di morte “Sono un uomo che amato una donna creata dall’uomo”. M. Butterfly è dunque una pellicola che riesce a parlare anche di corpi, ma senza mostrarli, fino alla fine, quando nel furgone della polizia mister Song si mostra nudo a Renè e la sua percezione del corpo che prima cambia alla vista degli abiti maschili, ma che poi torna a vedere la donna che è in lui, o almeno quella della quale si è creato un’illusione. Da questo punto di vista, M. Butterfly può leggersi come un melodramma sulla rappresentazione proiettiva dell’amore e sulla tenacia autodistruttiva delle illusioni (il Mereghetti – Dizionario dei film 2000). La sessualità nel divenire, la maschera del corpo, la mutazione del desiderio. Ma si tratta anche di una pellicola di sottile politica (involontariamente, visto che il fatto è in secondo piano rispetto al come) che non può non guardare alla guerra del Vietnam ed ai movimenti di protesa del sessantotto, e che porta per la prima volta la m.d.p. di Cronenberg in un tribunale dove sotto giudizio, oltre all’accusa di spionaggio, c’è l’ambiguo, incorruttibile, fascino della relazione sentimentale dei due protagonisti. È la prima pellicola in assoluto di Cronenberg che non fa uso d’effetti speciali sostanziali, una pellicola che lascia al corpo la dignità che rappresenta, il piacere della pelle, la passione di un bacio. È anche la prima pellicola dove Cronenberg sembra trovarsi a suo agio nel girare gli esterni, spesso studios che ricordano la claustrofobia de Il pasto nudo (1991), ma con maggiore libertà narrativa e capacità di assorbire le strutture urbane (l’Opera di Parigi) e lavorare su scene con molte comparse (il carrello all’indietro sulla manifestazione maoista e Gallimard che l’attraversa). Non è un caso infatti che la lavorazione di questa pellicola ha portato per la prima volta Cronenberg all'estero: ha girato in Cina, in Ungheria e in Francia. L’ultima immagine, una porta d’aereo che si chiude, una sfumatura su un corpo\amore che si allontana. Cronenberg interrompe la lunga serie di finali sul doppio ricomposto, scegliendo la scomposizione del doppio, la separazione definitiva tra Renè e Liling. Attrazione del regista per gli insetti (la libellula consegnata a Gallimard dal vecchio) e senso della mutazione illusoria (il corpo nudo di Song, che si mostra così com’è ma che si immagina diversamente) o reale (il trucco di Gallimard; le maschere del teatro) sono quadri tematici che assicurano al regista una continuità bio-cinematografica. Prodotto da Gabriella Martinelli, lo staff è sempre lo stesso consolidatosi nelle precedenti pellicole: costumi di Denise Cronenberg, musiche di Howard Shore, fotografia di Peter Suschitzky, scenografie di Carol Spier. Unico difetto della pellicola, quello di perdere (in fase narrativa) la moglie di Gallimard che ad un certo punto scompare. È la seconda pellicola che vede Cronenberg affidare il personaggio principale a Jeremy Irons, questa volta un po’ sotto tono, ma grandioso nella rappresentazione teatrale finale, il martirio dell’amante recluso, carcerato, incatenato alla perfetta illusione (mancanza d’amore?) capace d’ingannare ed ottenebrarne la mente, tanto da disconoscere la realtà (sbagliando tutte le conclusioni sull’attacco americano in Vietnam). Molo bravo anche il suo compagno John Lone. Una specie di richiamo ai lavori passati, una frase di Liling\Song “Non esiste il destino, tranne quello che noi creiamo per noi stessi”, parole che sembrano prese direttamente da La zona morta (1983). Il lungo dolly che svela, con panoramica destra mista, il primo piano di mister Song\Liling nel campo di lavori forzati, ricorda, per luce e colori, l’inizio di Spartacus (1960) di Stanley Kubrick. Sul medesimo tema di M. Butterfly uscirono nello stesso periodo anche La moglie del soldato (1992) di Neil Jordan e Addio mia concubina (1993) di Chen Kaige, entrambi molto belli.

 

 

Bucci Mario

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