M.
Butterfly. David Cronenberg. 1993. CANADA-USA.
Attori: Jeremy Irons, John
Lone, Barbara Sukowa, Ian Richardson, Shizuko Hoshi, Annabel Leventon
Durata: 101’
Cina. Beijing (Pechino). 1964.
René Gallimard, uomo del consolato francese si reca, una sera, ad una festa
dove assiste alla versione della Madama Butterfly di Puccini eseguita da una
grande cantante dell’Opera di Pechino e ne rimane così impressionato che a fine
rappresentazione avvicina Liling Song, l’interprete, per farle i complimenti.
L’accompagna a casa dove un vecchio pescatore gli regala una libellula. Al
mattino la moglie gli domanda spiegazioni per essersi ritirato tardi e lui
s’inventa una scusa. La sera stessa torna a trovare la signorina Song la quale
si mostra onorata ma soprattutto preoccupata per lo scandalo che potrebbe
suscitare quell’incontro; René riesce ugualmente a sedurla ed a baciarla. Ad un
ricevimento, alcuni funzionari dell’ambasciata minacciano Gallimard perché
tenga basso il controllo sulle loro spese. René risponde alla provocazione con
un aumento del controllo. Dopo diverse
settimane trascorse da quel bacio, durante le quali la signorina Song gli ha
scritto senza ricevere alcuna risposta, il suo atteggiamento responsabile gli
frutta la promozione alla carica di pro-console e così decide di tornare a
vedere Liling. Scopre, la stessa sera, che lei è vergine. In veste della nuova
carica Gallimard indice una riunione con gli altri funzionari del consolato
nella quale sostiene la necessità di cambiare atteggiamento nei confronti del
governo cinese e della cultura locale. Ad un picnic con Liling, Renè le
confessa di amarla perché sente nella sua Butterfly un senso di
sottomissione che lo gratifica. Lei non può fare a meno di ammetterlo, non
ostante ne riconosca il difetto. L’ambasciatore
Toulon intanto, lo informa della volontà del presidente degli Stati Uniti Barry
Lindon Johnson di aumentare la mole d’attacco sul Laos. Gallimard è convinto
che i cinesi, per attitudine, saranno facilmente sottomettibili e che gli
americani non incontreranno problemi nel vincere in Vietnam. In casa sua, Song
detta importanti informazioni carpite a Gallimard ad un rappresentante del
partito che gli fa notare di come alla Direzione non piaccia il metodo che sta
utilizzando. Ad un altro ricevimento, René si lascia abbordare da Frau Baden,
la moglie dell’ambasciatore tedesco. La notte, ubriaco, va da Liling e le
chiede di mostrarle il corpo che gli ha sempre nascosto. Lei gli dice di essere
incinta e lui confessa di averla tradita, pentendosi. Il giorno dopo la donna
lascia la città perché come da tradizione, deve andare nel paese dei suoi
genitori e far ritorno solo quando il figlio avrà compiuto tre mesi. In realtà,
Song si vede con un membro del partito al quale chiede, per portare a termine
la missione, di procurargli un bambino cinese biondo di quell’età. Una sera,
tornando verso casa in bicicletta, René s’imbatte in una manifestazione di
protesta maoista nella quale vengono appiccati i vestiti del teatro classico.
Le rappresentazioni di partito hanno, infatti, sostituito quelle tradizionali e
considerate conservatrici. Secondo un rapporto letto dall’ambasciatore Toulon
al gruppo dei funzionari riunito in un’assemblea, i fatti sono andati
diversamente da quanto Gallimard si aspettava: i cinesi, spinti dalle Guardie
Rosse nate dal movimento rivoluzionario degli studenti, hanno proposto
l’espulsione di tutti gli stranieri e l’America non riesce a venire a capo
della situazione vietnamita. Una sera, mentre fa ritorno nel suo appartamento,
Renè trova Liling sulle scale del palazzo che gli mostra il figlio ma
immediatamente dopo viene condotta via da due Guardie Rosse che considerano gli
artisti classici come antirivoluzionari. Qualche giorno dopo Gallimard viene
dimesso dal suo incarico e Liling inviata in un campo di lavori forzati. Parigi.
1968. Gallimard è all’Opera dove assiste ad una rappresentazione della
Madama Butterfly. Poco dopo, in un bar, sfoga la sua solitudine con uno
sconosciuto mentre in strada avvengono duri scontri tra manifestanti comunisti
e forze di polizia. Alcuni giorni dopo arriva al suo appartamento Liling con la
quale finalmente Renè può congiungersi. Passa del tempo. Tre uomini lo
attendono sotto casa sua mentre scende con un pacco diplomatico. Sono trascorsi
difatti due anni da quando Liling lo ha raggiunto a Parigi e le carte sono
state scoperte. In un tribunale, René è considerato traditore dello Stato
francese di fronte alla deposizione del signor Song, in realtà una spia ma
soprattutto un uomo. Incriminato e giudicato colpevole di tradimento, René è
condotto in carcere assieme al suo accusatore. Durante il tragitto egli rinnega
la relazione e il signor Song\Liling si sveste per mostrargli il corpo che
aveva amato. Una sera, in prigione, Renè prepara la sua personale rappresentazione
teatrale nella quale si mostra al pubblico di galeotti come una Madama
Butterfly, con tanto di trucco e kimono. Si toglie la vita tagliandosi la gola
con un piccolo specchio mentre il signor Song viene rimpatriato.
Ancora un lavoro ispirato ad un
testo scritto, per l’undicesima pellicola ufficiale. Sebbene i titoli di testa
fanno riferimento alla trama come ad un fatto realmente accaduto (il che non è
falso, poiché l’ispirazione più prossima è quella dell’omonima pièce teatrale
di David Henry Hwang, il cui soggetto, da lui adattato anche per lo schermo,
era appunto un caso di spionaggio a Pechino) è importante tenere conto anche
dell’omonima pièce teatrale scritta da Puccini intorno al 1900, ispirata al
dramma giapponese in un atto di Long e Belasco. La storia dell’opera è già
affascinante di per sé, ma la sua evoluzione, completa solo nella molteplicità
delle sue versioni, è forse il primo elemento che può aver affascinato il
regista: la Madama Butterfly è, di fatto, già di per se stessa un’opera mutante
e Cronenberg non poteva farsi sfuggire la possibilità di contribuire con una
personale interpretazione, ad un processo che vede l’opera giapponese
manipolata e tramandata in così tante formule e modi differenti. La prima
immagine della pellicola, dopo i titoli che appaiono fra pannelli orientali
che scorrono e si sovrappongono, è quella di Jeremy Irons\Gallinard di spalle,
nel suo ufficio. “Un orientale che si suicida per un occidentale, è ciò che
affascina l’occidente” la dura descrizione del fascino imperialista fatta
da Song, metabolizzata dall’uomo occidentale, che finisce per suicidarsi per un
uomo orientale, l’assoluto ribaltamento delle posizioni, il fascino
cronenberghiano dei poli opposti che si respingono. Rispetto all’opera
originale pucciniana, infatti, è l’uomo ad uccidersi, e non più la donna e la
cultura orientale a soccombere (“Con onore muore, chi non può serbar vita
con onore” recita la Madama Butterfly di Puccini nel libretto di Luigi
Illica e Giuseppe Giocosa in Giacomo Puccini – Madama Butterfly – Ed.
Ricordi). Con il cambio di ruolo, attraverso il suicidio dell’occidentale,
il regista conclude e ribalta l’assioma facendo vivere ad egli stesso le
perversioni capitalistiche delle quali era accusato il comportamento di Liling.
Ciò che forse davvero angoscia lo spettatore, è il dubbio che Gallimard sappia
da subito quanto accade (già intuibile nello sguardo di Irons appena uscito
all’alba dall’appartamento di Liling dopo un primo rapporto): “Anche se sarà
una femmina sarò felice” dice Renè alla stazione prima che lei parta
(partorisca), ponendo un dubbio che Liling subito scioglie “Sono sicura che
sarà un maschio”. Una posizione scomoda comunque quella di una coppia
stretta fra due codici: la panoramica a destra che svela un letto ancora
immacolato ed i due che amoreggiano in un interstizio dell’appartamento; il
rapporto con Liling, il loro incontro nel camerino filtrato da un velo sottile
che li divide nell’attrazione, o da una grata di ferro, nel furgone, dove a
cogliere Gallimard è invece un senso di colpa. Con fredda sensibilità,
Cronenberg descrive due realtà, una rigida ed una rappresentante (ambasciata),
caratterizzate da una forte attrazione confusa: “I francesi si divertono a
fare i comunisti cinesi con la pelle bianca” dice un ubriaco quando passa
il movimento degli studenti per le strade di Parigi. Non è solo nel rapporto
tra i due che Cronenberg esaurisce il tema del doppio ed il relativo senso
ambiguo che ne deriva, egli ricompone le parti e costruisce momenti e figure
complete: riunisce, come abbiamo detto, l’Oriente nell’Occidente ma anche
nell’amato l’amante (il suicidio); nel maschio la donna: “Solo un uomo
stabilisce come deve comportarsi una donna” dice Liling che in un altro
momento dice anche “Sono io la tua Butterfly, sotto gli abiti, al di la di
tutto” e lo stesso Gallimard dice in punto di morte “Sono un uomo che
amato una donna creata dall’uomo”. M. Butterfly è dunque una
pellicola che riesce a parlare anche di corpi, ma senza mostrarli, fino alla
fine, quando nel furgone della polizia mister Song si mostra nudo a Renè e la
sua percezione del corpo che prima cambia alla vista degli abiti maschili, ma
che poi torna a vedere la donna che è in lui, o almeno quella della quale si è
creato un’illusione. Da questo punto di vista, M. Butterfly può leggersi
come un melodramma sulla rappresentazione proiettiva dell’amore e sulla
tenacia autodistruttiva delle illusioni (il Mereghetti – Dizionario dei film
2000). La sessualità nel divenire, la maschera del corpo, la mutazione del desiderio.
Ma si tratta anche di una pellicola di sottile politica (involontariamente,
visto che il fatto è in secondo piano rispetto al come) che non
può non guardare alla guerra del Vietnam ed ai movimenti di protesa del
sessantotto, e che porta per la prima volta la m.d.p. di Cronenberg in un
tribunale dove sotto giudizio, oltre all’accusa di spionaggio, c’è l’ambiguo,
incorruttibile, fascino della relazione sentimentale dei due protagonisti. È la
prima pellicola in assoluto di Cronenberg che non fa uso d’effetti speciali
sostanziali, una pellicola che lascia al corpo la dignità che rappresenta, il
piacere della pelle, la passione di un bacio. È anche la prima pellicola dove
Cronenberg sembra trovarsi a suo agio nel girare gli esterni, spesso studios che
ricordano la claustrofobia de Il pasto nudo (1991), ma con maggiore
libertà narrativa e capacità di assorbire le strutture urbane (l’Opera di
Parigi) e lavorare su scene con molte comparse (il carrello all’indietro sulla
manifestazione maoista e Gallimard che l’attraversa). Non è un caso infatti che la lavorazione di questa pellicola ha portato
per la prima volta Cronenberg all'estero: ha girato in Cina, in Ungheria e in
Francia. L’ultima immagine, una porta d’aereo che si chiude, una
sfumatura su un corpo\amore che si allontana. Cronenberg interrompe la lunga
serie di finali sul doppio ricomposto, scegliendo la scomposizione del doppio,
la separazione definitiva tra Renè e Liling. Attrazione del regista per gli
insetti (la libellula consegnata a Gallimard dal vecchio) e senso della
mutazione illusoria (il corpo nudo di Song, che si mostra così com’è ma che si
immagina diversamente) o reale (il trucco di Gallimard; le maschere del teatro)
sono quadri tematici che assicurano al regista una continuità bio-cinematografica.
Prodotto da Gabriella Martinelli, lo staff è sempre lo stesso consolidatosi
nelle precedenti pellicole: costumi di Denise Cronenberg, musiche di Howard
Shore, fotografia di Peter Suschitzky, scenografie di Carol Spier. Unico
difetto della pellicola, quello di perdere (in fase narrativa) la moglie di
Gallimard che ad un certo punto scompare. È la seconda pellicola che vede
Cronenberg affidare il personaggio principale a Jeremy Irons, questa volta un
po’ sotto tono, ma grandioso nella rappresentazione teatrale finale, il
martirio dell’amante recluso, carcerato, incatenato alla perfetta illusione
(mancanza d’amore?) capace d’ingannare ed ottenebrarne la mente, tanto da
disconoscere la realtà (sbagliando tutte le conclusioni sull’attacco americano in
Vietnam). Molo bravo anche il suo compagno John Lone. Una specie di richiamo ai
lavori passati, una frase di Liling\Song “Non esiste il destino, tranne
quello che noi creiamo per noi stessi”, parole che sembrano prese
direttamente da La zona morta (1983). Il lungo dolly che svela, con
panoramica destra mista, il primo piano di mister Song\Liling nel campo di
lavori forzati, ricorda, per luce e colori, l’inizio di Spartacus (1960)
di Stanley Kubrick. Sul medesimo tema di M. Butterfly uscirono nello
stesso periodo anche La moglie del soldato (1992) di Neil Jordan e Addio
mia concubina (1993) di Chen Kaige, entrambi molto belli.
Bucci Mario
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