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Kids Anno: 1995 Regista: Larry Clark; Autore Recensione: l.a. Provenienza: USA; Data inserimento nel database: 18-03-1998
Ventiquattr'ore tra i kids newyorkesi; ventiquattr'ore
tra adolescenti compresi tra i dodici-tredici ed i diciotto anni;
ventiquattr'ore di selvaggia ordinaria follia allegramente
distruttiva ed autodistruttiva scivolando su skates, rotolando su
bottiglie di birra, scorrazzando in una gimcana tra sesso, droga
& rock'n'roll, intrufolandosi nelle camerette di ragazzini e
ragazzine ad ascoltare discussioni-fiume sulle
prime(-seconde-terze-quarte-ecc.) esperienze sessuali o a seguire le
manovre di seduzione e deflorazione, seguendoli quando hanno sete
fino nel primo store gestito da un cinese a rubare altre birre, per
poi bighellonare fino al parco a comprare la marjuana, spostarsi a
fare una canna o due per poi pestare selvaggiamente uno che passa -
uno a caso, tanto per trascorrere il pomeriggio in attesa della
festicciola notturna in cui si sfascerà un alloggio si
vomiterà si scoperà ci si farà si berrà
qualche litro si rivomiterà ecc. ecc.: domani è un
altro giorno. Nuovi selvaggi anfetaminizzati, gioventù
bruciata di fine millennio: con la sola differenza che il livello
d'età è tragicamente più basso, che non
c'è una ribellione nemmeno inconscia, che non rappresentano un
limite, né vogliono rappresentare una realtà al
margine... I Kids di Larry Clark sono il frutto di una
società, di un sistema, del presente: sono perfettamente
integrati, senza schemi, senza valori, senza meta. Soli, allo sbando:
non migliori, non peggiori di altri. La deriva è la loro
condizione, la metropoli il loro spazio: continuamente in movimento,
i protagonisti vagano senza obiettivo, non c'è punto di arrivo
se non quando le forze li abbandonano - allora, dove si trovano
crollano, si addormentano - per il resto sono solo tappe. I Kids
hanno qualcosa di animalesco e di assolutamente selvaggio: in branco
sono uniti, forti, si avventano sulla vittima senza lasciarle scampo,
sia verbalmente, sia fisicamente; solitari solo raramente,
perlopiù in coppia, razziano l'indispensabile per tenere alto
il tasso di sballo. I Kids hanno qualcosa di animalesco e di
assolutamente selvaggio perché sembrano privi di sentimento,
ed agiscono in maniera puramente istintiva: meglio (peggio) hanno
ridotto gli istinti ad un solo istinto, indeterminato e mutante, col
tratto distintivo comune della violenza. I Kids fanno paura
perché non hanno rimorsi; ma soprattutto perché sono
appena ragazzini senza nulla della loro età anagrafica: anzi,
hanno solo i tratti peggiori degli adulti peggiori. Hanno solo quello
che hanno assimilato e sviluppato dal mondo dei loro genitori,
sostanzialmente assenti dalla pellicola. I Kids girano a vuoto come
trottole impazzite, con il vuoto dentro: ed è per questo che
sono innocenti. Gioventù in fiamme incontrollabile: ma nessuno
si dà la pena di controllarla, perché l'incendio
è totale. Larry Clark spinge sulla componente realistica
affinché il suo ritratto sia brutale quanto la realtà
che analizza: il taglio è quasi documentaristico, l'immagine
sporca, le inquadrature imperfette, predilige long take vicinissimi
al piano sequenza, la macchina da presa partecipa delle performance a
braccio dei giovani (non)attori... Clark pedina, segue, piuttosto che
anticipare: va a ruota, artatamente alla deriva come i due
protagonisti principali che fungono da guida. La trama è
ridotta all'osso, e si risolve in una serie di situazioni tipo per
mostrare luoghi, volti, ascoltare discorsi, cogliere atmosfere,
sottolineare gesti e tic... Eppure "Kids" rimane sospeso tra una
volontà di mostrare tutto e quasi il timore di eccedere,
schizofrenicamente irrisolto tra il realismo e la fiction: è
quasi palpabile, mano a mano che ci si avvicina alla conclusione, la
paura di avere fornito una visione eccessivamente apocalittica, senza
speranza, della realtà allo spettatore, di aver picchiato
troppo duro nello stomaco. Le aperture drammatiche della trama
parallela vissuta dalla protagonista femminile spezzano il ritmo
serrato e suonano come smagliature del tessuto: concessioni che
aprono spiragli ad un'ipotesi di malafede del regista. Ed è
soprattutto nel finale che Clark cede ad una vena didascalica,
cercando di riconnettere la cellula ingrandita al microscopio al
corpo più vasto a cui appartiene: all'epilogo naturale seguono
un finalino secondo ed un finalino terzo ammiccante; e la forza,
l'aggressività delle immagini si smorzano, mentre si rafforza
il dubbio di un vizio di fondo dell'operazione.
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