Apocalypse now - Redux. Francis
Ford Coppola. 1979-2001.
USA.
Attori: Martin
Sheen, Marlon Brando, Robert Duvall, Dennis Hopper, Frederic Forrest, Laurence
Fishburne, Harrison Ford
Durata: 203’ min.
Saigon. Vietnam. La folle guerra
degli Stati Uniti. Il capitano Willard è nella sua stanza d’albergo. È
ritornato a Saigon perché non riusciva a starle lontano. Un gruppo di generali
gli affida una missione. Il colonnello Kurtz, un uomo dell’esercito che ha
assunto il comando di una zona della Cambogia, in opposizione allo stesso
governo degli Stati Uniti, è l’obiettivo che gli viene affidato. Il colonnello
Willard deve risalire il fiume, oltrepassare il confine cambogiano ed eliminare
il folle Kurtz, accusato di omicidio, ma in realtà accusato di condurre la guerra
a modo suo, insano. Mandato in prima linea, viene scortato fino al delta del
fiume dalla cavalleria aerea del sergente Kilgore, maniaco del surf ed eccitato
dalla presenza di Lance, il più grande surfista della California, arruolato
come soldato nella missione di Willard. Risalendo il fiume, la navetta di
soldati sostiene diverse soste nelle varie fortezze seminate lungo la riva:
assiste ad uno spettacolo di conigliette della rivista Playboy, subisce un
primo attacco improvviso, giunge in una postazione difesa dai francesi. Qui,
dopo aver cenato con loro, Willard conosce la follia di una famiglia ostinata a
difendere la proprietà nella giungla. Sfuggito all’ennesimo attacco in una
trincea, il battello finalmente arriva oltre il confine cambogiano. In prossimità
del regno di Kurtz, sono prima attaccati da un popolo d’indigeni e poi fatti
approdare a riva. Ad accoglierli c’è un fotografo di guerra, adoratore del
colonnello Kurtz, che li mette al corrente della condizione alla quale sono
approdati. Il colonnello, infatti, è venerato come un’entità divina e gli
indigeni sono tutti dalla sua parte. Dopo aver conosciuto Kurtz, Willard prima
è fatto incarcerare ma poi, per volontà dello stesso colonnello, rimesso in
libertà. Una notte, mentre la tribù indigena danza intorno al fuoco, in un
rituale che vede massacrato un caribou, Willard giustizia Kurtz. Il popolo
degli indigeni si prostra al nuovo Dio, ma Willard prende con se Lance, unico
sopravvissuto, e volta le spalle all’orrore.
Scritto da John Milius nel 1969,
riscritto da Coppola con l’adattamento del breve romanzo di Joseph Conrad Cuore
di tenebra, il capolavoro del regista ritorna in sala in una nuova versione
con 49 minuti aggiuntivi, grazie ai quali si può maggiormente apprezzare la
critica alla follia della guerra in Vietnam. Rispetto alla novella conradiana,
le cene aggiuntive promuovono una versione più distante dal testo, ma comunque
efficace per quanto era nelle vere intenzioni del regista. La presenza di Kurtz
si avverte fin dalle prime battute ma la sua immagine, inghiottita nel cuore
delle tenebre, si manifesta solo una volta raggiunto il suo regno. Kurtz è
prima ancora nella mente di Willard, negli infiniti appunti che ne tracciano il
profilo, nei personaggi folli che il gruppo deve incontrare prima di
raggiungere l’orrore; solo così il sergente Kilgore (“Mi piace l’odore del
napalm a prima mattina!”) può giustificare il suo amore per il surf fra le
bombe, Wagner durante un assedio. L’incontro con i francesi, per i quali la
Cambogia è una possibilità di rivincita di fronte alla storia, sconfitti sia in
Europa che in Africa, la difesa di una proprietà in Asia rimane l’ultimo
straccio d’orgoglio al quale aggrapparsi per far fronte alla storia del mondo,
una storia fatta di colonizzatori (la voce della vedova francese, riferendosi
alle parole del defunto marito “Non so più se sono una bestia o un Dio”).
Lo sci sull’acqua, sulle note di Satisfaction dei Rolling Stones…. Tutto
assume un significato giustificato nel viaggio verso l’orrore, un fiume percorso
al contrario, il ritorno all’origine della civiltà (grida il sergente Kilgore
ordinando il lancio del napalm “Riportatemi all’età della pietra!”).
L’imbarcazione sulla quale navigano è la fede americana in questa guerra. Tra
le scene aggiuntive, il ballo delle conigliette di Playboy sulle note di Suzie
Q eseguita dai Flash Cadillac, cui segue la triste vicenda delle donne nel
Vietnam, la necessità di queste di parlare, quasi il Vietnam per loro sia la
stessa vita da playmate. L’orrore del regno di Kurtz (“Tutto quello che
c’era intorno mi parlava della follia di Kurtz” pensa Willard arrivato a
destinazione) non è solo fatto di corpi ammassati, mostrati per manifestare la
ferocia del dittatore della giungla, ma è un insieme di lati oscuri che man
mano si richiudono, proiettando ombre che a poco alla volta s’impadroniscono
dell’animo umano (il volto di Marlon Brando sempre in ombra, quello di Martin
Sheen che passa dall’assolata riva del Vietnam all’oscurità del tempio di
Kurtz). La follia è la libertà dalle proprie opinioni al servizio del potere,
una coesione ipocrita alla quale Kurtz viene meno, e che nella sua giungla
impara presto ad odiare. La sua calma, i lenti movimenti del suo corpo sono la
vera forza della sua follia, egli si è già confrontato con se stesso, e chiede
a Willard di fare altrettanto, consegnandogli i ritagli di giornali americani
che parlano di una guerra che in realtà è fatta di mostruosità non dette. Kurtz
capisce di aver conosciuto il lato oscuro dell’animo umano, capisce di esserne
dominato, e chiede di essere ucciso, ma anche di essere raccontato (Kurtz
chiede a Willard di parlare di lui a suo figlio una volta che lo avrà
ammazzato). Apocalypse now non è solo la storia del Vietnam, ma la
storia di tutte le colonizzazioni (soprattutto quelle americane, alla luce
degli abiti di Duvall che rimandano alle fanterie del western e delle guerre
civili) sulle quali gli occhi di Kurtz si chiudono, all’ombra dell’orrore. Apocalypse
now è l’odissea dell’uomo nella perversione: la guerra, il sesso
iconoclasta (Chef che fa mettere in posa la playmate), le droghe (Lance che
assume l’acido) e soprattutto la violenza (i corpi macabri che suggellano il
regno di Kurtz). Apocalypse now è anche la meta ultima di un cinema
visionario (sovrimpressioni e sfumature incrociate) che contiene in sé elementi
d’altri generi, il viaggio (on the river), l’orrore (il diabolico regno di
Kurtz) il dramma psicologico (confronto con la famiglia francese; Kurtz che
prova a convincere Willard delle sue opinioni). Fotografato dall’ingegnosa cinematografia
di Vittorio Storaro, il capolavoro di Coppola si avvale anche di un sapiente
uso delle musiche, The end dei The Doors, infatti, apre e chiude un film
che ha già in sé la fine, perché il Vietnam è questa fine, la morte dell’animo
umano cantata da un morto che favoleggia la fine. Cast eccellente, il miglior
Martin Sheen che abbia mai visto, il più tetro Marlon Brando della storia del
cinema, il miglior Kurtz possibile, così decritto dalle efficaci parole di
Conrad “Apparteneva tutto a lui, ma questo sarebbe stato irrilevante.
L’importante era sapere a chi apparteneva lui, quante potenze della tenebra lo
rivendicassero come loro proprietà. Quella era la riflessione che vi faceva
accapponare la pelle”. Fu premiato con la Palma d’oro al festival di
Cannes, ex aequo con Il Tamburo di latta (1979) di Volker Schlöndorff, e
con due oscar: miglior fotografia per Vittorio Storaro e miglior suono per
Walter Murch. Le riprese iniziarono nel 1976, quando la vicenda del Vietnam non
si era ancora conclusa, e proseguirono con non pochi problemi per altri due
anni di lavorazione (il set fu spazzato via più volte dai tifoni che i
abbatterono sulle Filippine, dove è stato girato; Sheen ebbe problemi di cuore;
il matrimonio di Coppola entrò in crisi). Coppola, Storaro e Tavularis (lo
scenografo del film) compaiono per brevi secondi come troupe televisiva sulla
riva. Di questo film esistono tre finali diversi (a dimostrazione di un lavoro
che non si può completare e che è ambiguo quanto il testo di Conrad) di cui due
furono presentati a Cannes (io ho visto il secondo, quello scelto per il
mercato europeo): Willard che sostituisce Kurtz; Willard che abbandona tutto e
torna a casa dopo aver svolto la sua missione; il bombardamento finale del
tempio di Kurtz. Incompleto ed ambiguo quindi, il mito del cinema raggiunge il
suo apice più elevato proprio con Apocalypse now, così bello che lo
stesso Coppola non ha saputo concluderlo in maniera decisa, quella decisione
che non è mancata invece solo a Kurtz\Brando. Dopo Apocalypse now, il
cinema americano e kolossale non è mai più stato lo stesso.
Le parole del colonnello Kurtz
prima di essere ucciso “Addestriamo i ragazzi a sganciare napalm sulla
gente, ma i loro comandanti non vogliono che scrivano cazzo sui loro aerei
perché è una parola oscena”. Assoluto come una verità impronunciabile.
Bucci Mario
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