Arancia
meccanica. Stanley
Kubrick. 1971. GB.
Attori: Malcolm McDowell,
Michael Bates, Adrienne Corri, Patrick Magee
Durata: 136’
Titolo
originale: A
clockwork orange
Alex ed i suoi drughi sono nel Korova Milkbar che bevono
del latte corretto alla mescalina. Si stanno caricando per trascorrere una
normale serata d’ultraviolenza. Aggrediscono un ubriacone, si scontrano con la
banda di BillyBoy, rubano un’automobile e aggrediscono uno scrittore e la
propria moglie, tutto questo prima di ritirarsi nelle proprie abitazioni.
Tradito dai suoi compagni, che avevano cercato di mettere in discussione la sua
leadership all’interno del gruppo, è arrestato durante una di queste serate,
dopo aver commesso l’omicidio di una vecchia signora che viveva in solitudine
con i suoi gatti. Condotto in prigione, Alex viene a conoscenza di un metodo
particolarmente sbrigativo, il metodo Ludovico, che potrebbe condurlo fuori di
prigione in poche settimane: egli dovrebbe rinunciare alla violenza e scegliere
la via del bene indotto. Accettando, ottiene il trasferimento dal carcere ad un
ospedale specializzato nella cura. In questa struttura, egli è legato su una
sedia e costretto ad osservare giornalmente immagini violente a suon di musica
lirica, la sua musica preferita. Obiettivo del metodo Ludovico è di inibirgli
l’istinto della violenza ed addomesticarlo. A seguito delle tremende visioni,
Alex subisce il trattamento ed in una prova dimostrativa, grazie alla quale il
nuovo Governo dovrebbe garantirsi il favore dei voti, è costretto a sottoporsi
alla violenza di un uomo ed a mostrare la totale assenza di istinti sessuali di
fronte ad una giovane donna nuda. La sua debolezza convince le autorità a
rimetterlo in libertà. Di ritorno a casa però scopre che il suo posto è stato
sostituito da Joe, un ragazzo robusto che ha preso in affitto la stanza di Alex
e che si cura dei suoi genitori come egli non aveva mai fatto. Allontanato
dall’appartamento, torna in strada dove è aggredito da alcuni barboni e poi
pestato da due poliziotti che egli riconosce come un suo vecchio compagno di
ultraviolenza ed lo stesso BillyBoy, il capo di quella che una volta era una
banda rivale. Disperato, è costretto a chiedere aiuto ai proprietari di una
casa in campagna. L’appartamento nel quale egli trova rifugio però è quello
dello scrittore che aveva perso la moglie a causa della violenza che proprio
Alex aveva portato in quella famiglia. Sulle prime lo scrittore non lo
riconosce e, interessato a combattere il governo e sapendo tutto di lui dopo
aver letto i quotidiani, avverte degli amici di avere in casa l’esempio
concreto del metodo Ludovico. Scoperto però il suo passato, il giornalista si
vendica mettendo ad alto volume un brano di Beethoven e costringendo Alex al
suicidio. Il tentativo però non riesce ed Alex si ritrova in ospedale con un
esponente del Governo che lo rassicura di aver allontanato per sempre lo
scrittore sovversivo dalla sua vita. Dal colpo subito nel tentativo di
suicidio, Alex s’accorge di essere ritornato come una volta, ma con in più il vantaggio
di avere la protezione dell’Autorità.
Schermo rosso per quasi un
minuto, così inizia uno dei più grandi lavori del cinema contemporaneo, l’Arancia
Meccanica di Stanley Kubrick. Dopo i brevi titoli di testa, il volto di
Alex ed il carrello all’indietro che scopre il Korova Milkbar, mentre la voce
fuori campo del protagonista introduce il suo mondo, il nostro mondo. Ispirato
dal romanzo di Anthony Burgess, ne è anzi una trasposizione quasi fedele (manca
praticamente solo l’ultimo paragrafo che Kubrick non poté leggere perché nella
prima edizione pubblicata in America era stato tagliato). Molti dei dialoghi
sono praticamente identici al testo originale (non sarebbe stato possibile fare
altrimenti visto il metalinguaggio che Alex ed i drughi usano) e quasi tutte le
immagini d’interni ed esterni fedeli alle ricostruzioni del testo, con un
eccesso d’uso del pop e della psichedelia ordinaria (fatta di simmetrie e
colori sgargianti). L’ultrarealismo della prima parte del film si frantuma con
l’assenza di realismo nell’intera pellicola, la matematica ciclicità con la
quale si conclude il lavoro si scontra con la matematica precisione con la
quale Kubrick sintetizza gli ambienti nei quali si muovono gli assurdi
personaggi del mondo. Per affrontare la soggettiva del personaggio principale,
il regista sostituisce lo sguardo di McDowell con l’obiettivo della macchina da
presa, quando vuole che lo spettatore sia il diretto interessato di alcuni
moniti (quello dei poliziotti quando lo arrestano e quello dell’esempio dimostrativo
del metodo Ludovico, con la pianta della scarpa che preme sullo schermo perché
il pubblico sia in grado di leccarla) o seguendo le immagini di violenza con
camera a spalla e vicinissima ai corpi in colluttazione (in special modo nelle
scene di aggressione alla coppia ed alla vecchia con i gatti). Il grosso fallo
in primo piano, una violenza dell’immagine che dissacra più di una regola del
cinema borghese. I lenti e puliti carrelli, le inquadrature immobili (la
vecchia che fa ginnastica, la famiglia di Alex in cucina) si alternano così
all’emotività forte del protagonista, sulla quale invece l’occhio della
macchina da presa spesso si stringe per coglierne anche il particolare di una
doppia ciglia nell’occhio destro. La sintesi della prigione è tutta nel modo di
parlare dell’ufficiale responsabile, che grida senza motivo per il semplice
fatto che è autorità di alzar la voce (stesso esempio che riutilizzerà
in Full metal jacket nel 1987). Il momento della scelta del metodo
Lodovico, il confronto tra il ragazzo ed il prete, avviene in una biblioteca,
tra migliaia di libri che sanno di polvere, tra migliaia di idee che l’uomo a
prodotto e sulle quali si è scervellato per dare risposte che ancora mancano e
che forse stanno portando verso la scelta sbagliata: la rinuncia alla violenza
che passa solo attraverso la sua inibizione, attraverso l’eliminazione del
libero arbitrio. L’immagine più forte però, non è un atto dimostrativo di
violenza di Alex e del suo gruppo, bensì lo sguardo allucinato dello scrittore
quando scopre che molto probabilmente è Alex la causa della morte di sua
moglie, l’inquadratura dal basso e la nevrosi dell’attore che osserva
nell’immagine del suo passato: la canzone che canta Alex, diventa musica di
memoria e di sofferenza, che si amplifica come se guadagnasse un nuovo
significato.
Nel contesto narrativo, Kubrick
riesce anche ad inserire una sottile (come del resto c’era anche fra le righe
del romanzo) critica ad un cinema che egli non condivide, quello Hollywoodiano
che gode nel possedere la capacità di mostrare il sangue così come è nella vita
e che non è troppo lontano dalle immagini che gli stessi nazisti giravano nei
campi di concentramento. L’uso dei grandangoli è necessario a definire la
distorsione dell’immagine futura (che però è più vicina di quanto s’immagini),
e la correttezza visiva tende proprio ad enfatizzare questo contrasto tra
estetica e sostanza. Sicuramente il film più musicale del regista, che non
poteva farne a meno vista l’importanza della musica sia nel testo che nella
storia in quanto tale (metodo Ludovico si riferisce, infatti, alle opere
musicali di Beethoven) e che comunque dimostra di averne colto il significato:
l’emotività della musica è stimolo d’animo. Intelligente sequenza velocizzata
del rapporto tra Alex e le due ragazze, necessaria per fare in modo che tutto
appaia, fuorché amore. L’immagine dimostrativa della redenzione, con un faro
azzurro che illumina il palco sul quale si mostra la scena, è uno spettacolo
quasi cabarettistico al quale la società si mostra interessata, ma senza troppi
sofismi.
In questo lavoro soprattutto, il
regista cerca di sfruttare al massimo inquadrature stabili e senza troppi tagli
attraverso l’uso di carrelli all’indietro, ma anche fermando la macchina da
presa, immobile su determinate sequenze, come in quella tra Alex ed il suo
responsabile al reinserimento, o quella in cui i poliziotti cercano di
affogarlo.
Kubrick comunque, non smarrisce
mai il vero obiettivo di tutti i suoi lavori, affascinato ed intimorito sempre
dalla malvagità dell’uomo, rievoca con il salto di Alex dopo aver buttato in
acqua i suoi compagni lo stesso rallenty della scimmia di 2001-
Odissea nello spazio (1968).
Bucci Mario
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