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Arancia meccanica - A clockwork orange
Anno: 1971
Regista: Stanley Kubrick;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: UK;
Data inserimento nel database: 04-12-2003


La grande guerra

Arancia meccanica. Stanley Kubrick. 1971. GB.

Attori: Malcolm McDowell, Michael Bates, Adrienne Corri, Patrick Magee

Durata: 136’

Titolo originale: A clockwork orange

 

 

Alex ed i suoi drughi sono nel Korova Milkbar che bevono del latte corretto alla mescalina. Si stanno caricando per trascorrere una normale serata d’ultraviolenza. Aggrediscono un ubriacone, si scontrano con la banda di BillyBoy, rubano un’automobile e aggrediscono uno scrittore e la propria moglie, tutto questo prima di ritirarsi nelle proprie abitazioni. Tradito dai suoi compagni, che avevano cercato di mettere in discussione la sua leadership all’interno del gruppo, è arrestato durante una di queste serate, dopo aver commesso l’omicidio di una vecchia signora che viveva in solitudine con i suoi gatti. Condotto in prigione, Alex viene a conoscenza di un metodo particolarmente sbrigativo, il metodo Ludovico, che potrebbe condurlo fuori di prigione in poche settimane: egli dovrebbe rinunciare alla violenza e scegliere la via del bene indotto. Accettando, ottiene il trasferimento dal carcere ad un ospedale specializzato nella cura. In questa struttura, egli è legato su una sedia e costretto ad osservare giornalmente immagini violente a suon di musica lirica, la sua musica preferita. Obiettivo del metodo Ludovico è di inibirgli l’istinto della violenza ed addomesticarlo. A seguito delle tremende visioni, Alex subisce il trattamento ed in una prova dimostrativa, grazie alla quale il nuovo Governo dovrebbe garantirsi il favore dei voti, è costretto a sottoporsi alla violenza di un uomo ed a mostrare la totale assenza di istinti sessuali di fronte ad una giovane donna nuda. La sua debolezza convince le autorità a rimetterlo in libertà. Di ritorno a casa però scopre che il suo posto è stato sostituito da Joe, un ragazzo robusto che ha preso in affitto la stanza di Alex e che si cura dei suoi genitori come egli non aveva mai fatto. Allontanato dall’appartamento, torna in strada dove è aggredito da alcuni barboni e poi pestato da due poliziotti che egli riconosce come un suo vecchio compagno di ultraviolenza ed lo stesso BillyBoy, il capo di quella che una volta era una banda rivale. Disperato, è costretto a chiedere aiuto ai proprietari di una casa in campagna. L’appartamento nel quale egli trova rifugio però è quello dello scrittore che aveva perso la moglie a causa della violenza che proprio Alex aveva portato in quella famiglia. Sulle prime lo scrittore non lo riconosce e, interessato a combattere il governo e sapendo tutto di lui dopo aver letto i quotidiani, avverte degli amici di avere in casa l’esempio concreto del metodo Ludovico. Scoperto però il suo passato, il giornalista si vendica mettendo ad alto volume un brano di Beethoven e costringendo Alex al suicidio. Il tentativo però non riesce ed Alex si ritrova in ospedale con un esponente del Governo che lo rassicura di aver allontanato per sempre lo scrittore sovversivo dalla sua vita. Dal colpo subito nel tentativo di suicidio, Alex s’accorge di essere ritornato come una volta, ma con in più il vantaggio di avere la protezione dell’Autorità.

Schermo rosso per quasi un minuto, così inizia uno dei più grandi lavori del cinema contemporaneo, l’Arancia Meccanica di Stanley Kubrick. Dopo i brevi titoli di testa, il volto di Alex ed il carrello all’indietro che scopre il Korova Milkbar, mentre la voce fuori campo del protagonista introduce il suo mondo, il nostro mondo. Ispirato dal romanzo di Anthony Burgess, ne è anzi una trasposizione quasi fedele (manca praticamente solo l’ultimo paragrafo che Kubrick non poté leggere perché nella prima edizione pubblicata in America era stato tagliato). Molti dei dialoghi sono praticamente identici al testo originale (non sarebbe stato possibile fare altrimenti visto il metalinguaggio che Alex ed i drughi usano) e quasi tutte le immagini d’interni ed esterni fedeli alle ricostruzioni del testo, con un eccesso d’uso del pop e della psichedelia ordinaria (fatta di simmetrie e colori sgargianti). L’ultrarealismo della prima parte del film si frantuma con l’assenza di realismo nell’intera pellicola, la matematica ciclicità con la quale si conclude il lavoro si scontra con la matematica precisione con la quale Kubrick sintetizza gli ambienti nei quali si muovono gli assurdi personaggi del mondo. Per affrontare la soggettiva del personaggio principale, il regista sostituisce lo sguardo di McDowell con l’obiettivo della macchina da presa, quando vuole che lo spettatore sia il diretto interessato di alcuni moniti (quello dei poliziotti quando lo arrestano e quello dell’esempio dimostrativo del metodo Ludovico, con la pianta della scarpa che preme sullo schermo perché il pubblico sia in grado di leccarla) o seguendo le immagini di violenza con camera a spalla e vicinissima ai corpi in colluttazione (in special modo nelle scene di aggressione alla coppia ed alla vecchia con i gatti). Il grosso fallo in primo piano, una violenza dell’immagine che dissacra più di una regola del cinema borghese. I lenti e puliti carrelli, le inquadrature immobili (la vecchia che fa ginnastica, la famiglia di Alex in cucina) si alternano così all’emotività forte del protagonista, sulla quale invece l’occhio della macchina da presa spesso si stringe per coglierne anche il particolare di una doppia ciglia nell’occhio destro. La sintesi della prigione è tutta nel modo di parlare dell’ufficiale responsabile, che grida senza motivo per il semplice fatto che è autorità di alzar la voce (stesso esempio che riutilizzerà in Full metal jacket nel 1987). Il momento della scelta del metodo Lodovico, il confronto tra il ragazzo ed il prete, avviene in una biblioteca, tra migliaia di libri che sanno di polvere, tra migliaia di idee che l’uomo a prodotto e sulle quali si è scervellato per dare risposte che ancora mancano e che forse stanno portando verso la scelta sbagliata: la rinuncia alla violenza che passa solo attraverso la sua inibizione, attraverso l’eliminazione del libero arbitrio. L’immagine più forte però, non è un atto dimostrativo di violenza di Alex e del suo gruppo, bensì lo sguardo allucinato dello scrittore quando scopre che molto probabilmente è Alex la causa della morte di sua moglie, l’inquadratura dal basso e la nevrosi dell’attore che osserva nell’immagine del suo passato: la canzone che canta Alex, diventa musica di memoria e di sofferenza, che si amplifica come se guadagnasse un nuovo significato.

Nel contesto narrativo, Kubrick riesce anche ad inserire una sottile (come del resto c’era anche fra le righe del romanzo) critica ad un cinema che egli non condivide, quello Hollywoodiano che gode nel possedere la capacità di mostrare il sangue così come è nella vita e che non è troppo lontano dalle immagini che gli stessi nazisti giravano nei campi di concentramento. L’uso dei grandangoli è necessario a definire la distorsione dell’immagine futura (che però è più vicina di quanto s’immagini), e la correttezza visiva tende proprio ad enfatizzare questo contrasto tra estetica e sostanza. Sicuramente il film più musicale del regista, che non poteva farne a meno vista l’importanza della musica sia nel testo che nella storia in quanto tale (metodo Ludovico si riferisce, infatti, alle opere musicali di Beethoven) e che comunque dimostra di averne colto il significato: l’emotività della musica è stimolo d’animo. Intelligente sequenza velocizzata del rapporto tra Alex e le due ragazze, necessaria per fare in modo che tutto appaia, fuorché amore. L’immagine dimostrativa della redenzione, con un faro azzurro che illumina il palco sul quale si mostra la scena, è uno spettacolo quasi cabarettistico al quale la società si mostra interessata, ma senza troppi sofismi.

In questo lavoro soprattutto, il regista cerca di sfruttare al massimo inquadrature stabili e senza troppi tagli attraverso l’uso di carrelli all’indietro, ma anche fermando la macchina da presa, immobile su determinate sequenze, come in quella tra Alex ed il suo responsabile al reinserimento, o quella in cui i poliziotti cercano di affogarlo. 

Kubrick comunque, non smarrisce mai il vero obiettivo di tutti i suoi lavori, affascinato ed intimorito sempre dalla malvagità dell’uomo, rievoca con il salto di Alex dopo aver buttato in acqua i suoi compagni lo stesso rallenty della scimmia di 2001- Odissea nello spazio (1968).

 

 

Bucci Mario

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