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Fight Club
Anno: 1999
Regista: David Fincher;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 04-12-2003


La grande guerra

Fight club. David Fincher. 1999. U.S.A.

Attori: Brad Pitt, Edward Norton, Helena Bonham Carter, Meat Loaf Aday, Jared Leto

Durata: 135'

 

 

Prima di tutto è bene precisare: il Fight Club è una questione molecolare, presente in ogni individuo, e questo si capisce fin dai titoli d’apertura. Edward Norton lavora per una multinazionale. Studia i difetti di fabbricazione delle automobili e ne trae una conclusione al fine di un’indagine di mercato. Ad un certo punto della sua vita e carriera comincia ad avvertire un senso d’estraneamento da tutto ciò che lo circonda: consumo, lavoro, affetto, diventano tutte cose indifferenti. Colpito da crisi d’insonnia, decide di iscriversi alle riunioni di malati terminali. Il fatto di venire a contatto con persone sofferenti, gli fa tornare voglia di dormire. Ad uno di questi gruppi-incontro conosce Marla Singer, un suo simile che finge d’avere problemi per frequentare posti come quelli scelti da lui. Tra i due incomincia un dialogo. Sempre in viaggio per conto della sua ditta, durante una riflessione sugli oggetti-porzione che accompagnano la vita dei lavoratori come lui, incontra anche un certo Tyler Durden (Brad Pitt) un ragazzo disilluso e anticonformista, che produce saponette dal grasso che rimane in deposito nei centri di liposuzione. Di ritorno a casa, ha la cattiva sorpresa di scoprire che il suo appartamento è saltato in aria, così chiama Tyler e va a vivere da lui in uno squat. Tra i due, e successivamente anche alla presenza di Marla, incomincia uno strano rapporto: entrambi diventano i fondatori di un Fight Club, un circolo clandestino di uomini disposti a picchiarsi per riconoscere la loro insoddisfazione e sofferenza. In questa rabbia il gruppo si consolida. Il problema sorge quanto Norton si accorge che Tyler ha programmi ben più ampi, e forse come persona non esiste nemmeno ma rappresenta solo il suo alter ego più violento e intollerante.

Dal romanzo di Chuck Palahniuk, sceneggiato da Jim Uhls, il capolavoro di David Fincher ha il merito di anticipare senza troppi peli sulla lingua le fasi storiche e politiche più importanti d’inizio secolo: l’attacco alle torri gemelle e la nascita di un movimento contestatore paramilitare come quello dei Black Blocs, entrambi gli avvenimenti visti come risposta-rifiuto al modello consumistico d’impronta americana. Evitando l’apologia di una scelta del genere come risposta al dominio materialistico della generazione che descrive (ma fino a che punto è davvero limitata quest’apologia del terrore) il regista smorza i toni solo nel finale quando Edward Norton, rivolto a Marla e paralizzato di fronte al crollo del WTC, le assicura di averla conosciuta in un momento molto strano della sua vita. Una descrizione storica dunque, il film dovrebbe-potrebbe essere visto solo in quest’ottica. Osservare la pellicola attraverso gli occhi di Marla invece, varrebbe a vedere il mondo come una sofferente richiesta d’amore. Analizzare il film secondo il punto di vista del grande consumo, varrebbe a riconoscere il Fight Club come il figlio diretto di questo pensiero, ma è il tema del doppio comunque quello che lo caratterizza, Brad Norton ed Edward Pitt, come ha voluto lo slogan che lo ha lanciato nelle sale.

È un film che in ogni caso trasuda rabbia verso tutte le forme di fagocitazione materialistica, ma è anche pieno di sofferenza, senza la quale non si può arrivare a combattere. E’ quasi un manifesto d’insoddisfazione che non ha altra via di fuga se non la lotta. L’uomo non è un oggetto, non è lo schiavo degli oggetti, ma ne è in ogni modo rimasto drammaticamente confuso dalla loro presenza e l’unico modo di capirsi è combattere, come dice Tylor per ricevere il primo colpo in viso da Edward Norton “Quanto sai di te stesso se non ti sei mai battuto?”. Certamente sono criticabili alcune posizioni troppo estreme, come l’incidente automobilistico fatto apposta per valutare la capacità ad essere predisposti alla morte, ma sono casi singoli che non vanno contati in quanto tali, il riferimento a questo tipo di nichilismo va visto sempre in stretto contatto con il fine di questa lotta.

Le idee del Fincher-regista sono tutte geniali: autocitazioni (la storia del fotogramma che riprende un pene è geniale quando il regista lo ripresenta seriamente verso la fine del film) movimenti di camera ora lenti ora veloci, costruzione a flashback (dopo le quali scappa un sorriso quando ci si ricollega al tutto), l’uso di una fotografia particolarmente nitida e quello di inquadrature fini alla descrizione del rapporto tra i due coprotagonisti, sempre distanti o mai sullo stesso piano narrativo, e poi l’uso della voce fuori campo che entra in sala e sempre più spesso si rivolge allo spettatore. Bravissimi tutti gli attori: Brad Pitt su tutti, poi Edward Norton, Helena Bonham-Carter, ed un particolare Meat Loaf che interpreta Bob, un uomo grasso con tette enormi e cancro ai testicoli. Un capolavoro d’immagini, di scrittura e di denuncia. Quasi perfetto, stando attenti a non travisarne il messaggio, perché infilarsi semplicemente le piume nel culo non farà di nessuno una gallina. Rimangono in testa soprattutto le prime due regole del Fight Club: prima regola non parlare mai del Fight Club, seconda regola non parlare mai del Fight Club. Sarebbe bene rispettarle.

 

 

Bucci Mario

        [email protected]