Fight club. David Fincher. 1999. U.S.A.
Attori: Brad
Pitt, Edward Norton, Helena Bonham Carter, Meat Loaf Aday, Jared Leto
Durata:
135'
Prima di tutto è bene precisare:
il Fight Club è una questione molecolare, presente in ogni individuo, e
questo si capisce fin dai titoli d’apertura. Edward Norton lavora per una
multinazionale. Studia i difetti di fabbricazione delle automobili e ne trae
una conclusione al fine di un’indagine di mercato. Ad un certo punto della sua
vita e carriera comincia ad avvertire un senso d’estraneamento da tutto ciò che
lo circonda: consumo, lavoro, affetto, diventano tutte cose indifferenti.
Colpito da crisi d’insonnia, decide di iscriversi alle riunioni di malati
terminali. Il fatto di venire a contatto con persone sofferenti, gli fa tornare
voglia di dormire. Ad uno di questi gruppi-incontro conosce Marla Singer, un
suo simile che finge d’avere problemi per frequentare posti come quelli scelti
da lui. Tra i due incomincia un dialogo. Sempre in viaggio per conto della sua
ditta, durante una riflessione sugli oggetti-porzione che accompagnano la vita
dei lavoratori come lui, incontra anche un certo Tyler Durden (Brad Pitt) un
ragazzo disilluso e anticonformista, che produce saponette dal grasso che
rimane in deposito nei centri di liposuzione. Di ritorno a casa, ha la cattiva
sorpresa di scoprire che il suo appartamento è saltato in aria, così chiama
Tyler e va a vivere da lui in uno squat. Tra i due, e successivamente anche
alla presenza di Marla, incomincia uno strano rapporto: entrambi diventano i
fondatori di un Fight Club, un circolo clandestino di uomini disposti a
picchiarsi per riconoscere la loro insoddisfazione e sofferenza. In questa
rabbia il gruppo si consolida. Il problema sorge quanto Norton si accorge che
Tyler ha programmi ben più ampi, e forse come persona non esiste nemmeno ma
rappresenta solo il suo alter ego più violento e intollerante.
Dal romanzo di Chuck Palahniuk,
sceneggiato da Jim Uhls, il capolavoro di David Fincher ha il merito di
anticipare senza troppi peli sulla lingua le fasi storiche e politiche più
importanti d’inizio secolo: l’attacco alle torri gemelle e la nascita di un
movimento contestatore paramilitare come quello dei Black Blocs, entrambi gli
avvenimenti visti come risposta-rifiuto al modello consumistico d’impronta
americana. Evitando l’apologia di una scelta del genere come risposta al
dominio materialistico della generazione che descrive (ma fino a che punto è
davvero limitata quest’apologia del terrore) il regista smorza i toni solo nel
finale quando Edward Norton, rivolto a Marla e paralizzato di fronte al crollo
del WTC, le assicura di averla conosciuta in un momento molto strano
della sua vita. Una descrizione storica dunque, il film dovrebbe-potrebbe
essere visto solo in quest’ottica. Osservare la pellicola attraverso gli occhi
di Marla invece, varrebbe a vedere il mondo come una sofferente richiesta
d’amore. Analizzare il film secondo il punto di vista del grande consumo,
varrebbe a riconoscere il Fight Club come il figlio diretto di questo pensiero,
ma è il tema del doppio comunque quello che lo caratterizza, Brad Norton ed
Edward Pitt, come ha voluto lo slogan che lo ha lanciato nelle sale.
È un film che in ogni caso
trasuda rabbia verso tutte le forme di fagocitazione materialistica, ma è anche
pieno di sofferenza, senza la quale non si può arrivare a combattere. E’ quasi
un manifesto d’insoddisfazione che non ha altra via di fuga se non la lotta.
L’uomo non è un oggetto, non è lo schiavo degli oggetti, ma ne è in ogni modo
rimasto drammaticamente confuso dalla loro presenza e l’unico modo di capirsi è
combattere, come dice Tylor per ricevere il primo colpo in viso da Edward
Norton “Quanto sai di te stesso se non ti sei mai battuto?”. Certamente
sono criticabili alcune posizioni troppo estreme, come l’incidente
automobilistico fatto apposta per valutare la capacità ad essere predisposti
alla morte, ma sono casi singoli che non vanno contati in quanto tali, il
riferimento a questo tipo di nichilismo va visto sempre in stretto contatto con
il fine di questa lotta.
Le idee del Fincher-regista sono
tutte geniali: autocitazioni (la storia del fotogramma che riprende un pene è
geniale quando il regista lo ripresenta seriamente verso la fine del film)
movimenti di camera ora lenti ora veloci, costruzione a flashback (dopo le
quali scappa un sorriso quando ci si ricollega al tutto), l’uso di una
fotografia particolarmente nitida e quello di inquadrature fini alla
descrizione del rapporto tra i due coprotagonisti, sempre distanti o mai sullo
stesso piano narrativo, e poi l’uso della voce fuori campo che entra in sala e
sempre più spesso si rivolge allo spettatore. Bravissimi tutti gli attori: Brad
Pitt su tutti, poi Edward Norton, Helena Bonham-Carter, ed un particolare Meat
Loaf che interpreta Bob, un uomo grasso con tette enormi e cancro ai testicoli.
Un capolavoro d’immagini, di scrittura e di denuncia. Quasi perfetto, stando
attenti a non travisarne il messaggio, perché infilarsi semplicemente le
piume nel culo non farà di nessuno una gallina. Rimangono in testa
soprattutto le prime due regole del Fight Club: prima regola non parlare mai
del Fight Club, seconda regola non parlare mai del Fight Club. Sarebbe bene
rispettarle.
Bucci Mario
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