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Dias de Nietzsche em Turin - Giorni di Nietzsche a Torino
Anno: 2001
Regista: Júlio Bressane;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Brasile;
Data inserimento nel database: 23-11-2001


Dias de Nietzsche em Turin - Julio Bressane

Dias de Nietzsche em Turin

di Júlio Bressane

fotografia: José Tadeu Ribeiro

montaggio: Virginia Flores

scenografia: Moa Batsow

costumi: Maria Aparecida Gavaldão

musica: Ronel Alberti Rosa

Brasile, 2001, durata 88'


L´operazione si annunciava interessante: un guru del cinema novo brasiliano, Pressane, viene folgorato dalla bruma torinese e ripercorre i passi di Nietzsche sotto i portici gustando un bicerin. Forse ha esagerato in quest´ultima attività: ne è scaturito un film il cui testo è un florilegio di epigrammi, che sembra la filosofia di Nietzsche in pillole con profusione di pavimenti illustri della metropoli subalpina, perché "solo i pensieri che formuliamo camminando valgono qualcosa"; facciate (Porta nuova ad esempio); collezioni (Museo egizio); finte pianiste (altro che Haneke), autentici borghesi perbenisti, che ospitano il filosofo nel suo lungo soggiorno torinese, "una città al di là del bene e del male". Per tutto il film l´unica voce sarà quella dei testi di Nietzsche, tranne incomprensibili inserzioni di Otello, sempre fuori campo, e un Edipo re, recitato in italiano.
Per le riprese si tratta o di banali inseguimenti alla ricerca di una città che è uno spazio nel tempo immaginato, oppure di arbitarie riprese dall´alto ravvicinate sul soggetto che assume così un aspetto da scienziato pazzo; in questi casi poi l´uso del bianco e nero aggiunge artificialità in un contesto in cui tutte le riprese sono a colori.

Il regista si focalizza sulla svolta del filosofo, che all´ombra della magia di una severa architettura giallo e ocra, abbandona Wagner – e l´apollineo – privilegiando il dionisiaco che scopre in Bizet: "Ogni volta che ascolto la Carmen mi sento più filosofo", mentre la telecamera da turista si sofferma sul profilo della Duse e la voce off lusitana, inopinatamente attribuita al filosofo tedesco, precisa che il superamento pensato in quel fatale soggiorno non riguarda sé, ma è l´oltrepassamento del tempo per non essere moralista.
Per inseguire la perfezione si appoggia a Heine, solo che le immagini proposte non ci aiutano a disgelare: il più delle volte si limitano a duplicare l´informazione nietzschiana. E allora quando si dice che la mole antonelliana esprime il concetto dell´Ecce homo, anziché tentare una spiegazione, monta una delle più banali e galliche inquadrature della sinagoga sede del museo del cinema. E questo è un esempio ancora positivo, perché almeno immagini e testo hanno attinenza, anche se la ridondanza è poco sopportabile; ma farsi aprire il teatro Carignano per dire annunciare che "alcuni uomini nascono postumi: solo il domani gli appartiene" è francamente inutile, oltreché banale, se lasciato sospeso tra uno sguardo alle belle ospiti e uno stramazzo nell´abbacinante luce della città, senza che il pensatore, che "è il corpo" – un corpo esplosivo, sottolinea anzi in seguito – possa trovare un approfondimento che vada al di là della saggezza da cioccolatino (nonostante sia la specialità torinese).

Il regista, per ragioni di provenienza, dedica un ampio capitolo alla questione accennata dal filosofo sulla possibilità di salvare il mondo occidentale grazie alla cultura extraeuropea, in particolare si sgombra l´equivoco del Nietzsche ideologo del razzismo: notevole evidenza viene assegnata al rifiuto di ogni apparentamento proposto dagli antisemiti ("Mi fan vomitare"), ma anche in questo caso qualsiasi approfondimento è negato, perché le immagini vanno verso le vallate per illustrare l´estasi, il trovarsi fuori di sé, quasi un bignami per gli esami di liceo..

E quindi non poteva mancare la semplificazione dell´‘eterno ritorno dell´uguale’: infatti di seguito alla scampagnata (forse quella è la Sagra di San Michele) veniamo informati dalla voce: "Un pensiero mi diceva che avrei dovuto vivere mille volte la mia vita nella stessa sequenza senza mutamenti". E così via, da una citazione all´altra, da una sensazione all´altra che, ad onta dell´intuizione racchiusa nella prosa di Nietzsche, rimane impressionistica, anche nella polemica anticristiana, alla quale viene dedicato abbastanza spazio con il solito vizio di enunciare null´altro che brevi frasi senza un supporto video esegetico appena sufficiente: e allora il no alla vita del cristianesimo, che lotta contro il peccato, invece di sconfiggere la sofferenza come si ripromette il buddismo non trova particolari invenzioni oltre al vagolare senza meta per la città, rigorosamente in centro, badando a seguire gli itinerari di fine ottocento e inquadrando anche i furgoni (che la fiat nel 1888 ancora non produceva) nelle vetrate a specchio, eppure era un aspetto centrale. Ma non c´è tempo, si deve accennare, sempre in forma assertiva, che "l´arte è l´unica forma di resistenza superiore".

Rasenta il ridicolo poi il finale con il famosissimo episodio delle due chiacchiere con il cavallo e le pose da fauno, nudo e quindi la ripresa comincia a ruotare su lui stesso, fino a estrarre dal cilindro una sorpresa: delle immagini in movimento di Nietzsche, malato e stanco, nel loro valore feticistico, tra le poche del film che finiscono per insufflare emozioni, dionisiache o apollinee, propedeutiche alle guide turistiche per le olimpiadi del 2006.