To end all wars
Regia: David L. Cunningham
Sceneggiatura: Brian Godawa, basato sul libro di Ernest Gordon
Fotografia: Greg Gardiner
Montaggio: Tim Silano
Produzione: Jack Hafer, David L. Cunningham
Interpreti: Ciaran McMenamin (Ernest), Robert Carlyle (Campbell), Kiefer Sutherland
(Rigden), Mark Strong (Dusty), Yugo Saso (Takashi), Sakae Kimura (Ito), James
Cosmo (McLean), Masayuki Yui (Noguchi), John Gregg (Coates), Hideo Nakajima
(Nagatomo)
Origine: Regno Unito, 2001, 121 min., 35mm
Visto al Taormina FilmFest 2001

$align="left"; include "image1.php3"; ?>Titolo fortemente propositivo,
addirittura utopico, che parla di guerra profondamente dentro l'uomo, che fa
pensare immediatamente a
La sottile linea rossa eal film di Coppola
Apocalypse
Now che stiamo (ri)rivedendo nella versione più lunga e più breve interrogandosi
su quell'ambiguo
redux.
To end all wars s'impegna in una strenua
meditazione filosofica attraverso la contemplazione del "fenomeno"
Guerra, dal quale cogliere, attraverso un percorso forte di vissuto, le
conclusioni dell'indagine intellettuale. Apertamente il film sceglie almeno due
strade. A parte la contrapposizione decisa tra amore e odio che s'incarnano nei
due personaggi Ernest (Ciaran McMenamin) e Campbell (Robert Carlyle), la
speculazione incontra, proprio nel "farsi" del racconto, le riflessioni
di Platone e quelle del Nuovo Testamento. Julio Cabrera in "Cinema e
filosofia. Da Aristotele a Spielberg", nel capitolo "Platone alla
guerra", afferma che molti film bellici operano una decostruzione
logopatica dell'Idea platonica puramente intellettiva della guerra, anche se in
modo completamente diverso e a volte opposto. In questo caso l'idea di
Giustizia sembra naufragare, o almeno frantumarsi in possibilità differenti,
come se ogni ideologia e religione, in questo caso il giapponese Bushido da una
parte e il Cristianesimo dall'altra, contenessero prospettive opposte le cui
conseguenze appaiono contradittorie. La misura logopatica del film consiste
proprio nell'esperire tali conseguenze. Per i giapponesi i più deboli ed i
nemici possono essere uccisi, le convenzioni internazionali dell'Aia o di
Ginevra che dovrebbero tutelare i prigionieri non valgono nulla. Dall'altra
parte Ernest applica una soluzione improntata al Cristianesimo. Porgere l'altra
guancia significa incidere sulle dinamiche comportamentali collettive.
L'iconografia della crocifissione indicherebbe l'inevitabile sacrificio, un
ricorso storico che condanna l'uomo a una terribile coazione, a una risoluzione
parziale, insomma anche l'utopia va scoperta, rilevata nel piccolo evento
singolare, le scelte, i gesti coraggiosi e quant'altro spesso è attribuito alla
falsa retorica dell'ideale patriottico militarista.
$align="right"; include "image2.php3"; ?>
Conferenza stampa con David
L. Cunningham e Mark Strong
David L. Cunningham: È importante che gli eventi raccontati nel film siano
veramente successi, volevamo rappresentare le persone sopravvissute che hanno
deciso di perdonare. Mi sono interessato alla storie leggendo il libro, dove
c'è molto di più: si parla della trascendenza della guerra, persone che cercano
risposte in situazioni difficili
L'aspetto mistico del film, e il codice di comportamento nipponico Bushido
David L. Cunningham: L'intera storia, l'intero romanzo riguardano un
cammino filosofico e spirituale, il libro è un diario dei pensieri del
protagonista, con le domande ricorrenti tipo "perché la sofferenza?",
"che cos''è la giustizia?". Il film parla degli aspetti della
religione, degli aspetti più istituzionalizzati, e poi tutto si scioglie di
fronte alla morte; non sono stato in guerra e quindi non so cosa possa succedere
di fronte alle questioni della morte Volevo essere più spirituale che
religioso, non i messaggi di una religione
Qualcosa sulla produzione, difficile, forse per le locations è costato 14
milioni di dollari?
David L. Cunningham: Avevo un istinto forte che derivava dal materiale
disponibile, vale a dire le atrocità della guerra e ritenevo una sfida
parlarne. È stato difficile realizzare il film perché i giorni erano troppo
pochi, abbiamo girato in Scozia e in Thailandia; invece di trascorrere il tempo
a ripetere le battute cercavo di ispirare i miei attori li ho messo a dieta ed
un dietologo si occupava di loro, ho raccolto anche testimonianze dirette. Il
mio lavoro era quello di trovare l'essenza del film, abbiamo superato le
difficoltà delle riprese, abbiamo avuto alcuni infortuni, come esplosioni extra
anche il governo tailandese ci ha aiutato.
Sei cresciuto nelle Hawai, hai amato il film Furyo (Senjo No Merry
Christmas)?o Il ponte sul fiume Kwai di Lean, che sensazioni prova di precedere
la proiezione di Apocalypse Now di Coppola?
David L. Cunningham: Non sono un critico cinematografico sono ispirato da molti
registi ho visto Pearl Harbour. L'ambientazione è la stessa del film di Lean
però lo spirito del suo film era molto diverso cercava di dire qualcosa sulla
storia britannica su quel periodo, i sentimenti finali credo siano molto
differenti, per quanto riguarda Furyo, no, non sono stato ispirato da questo
film. Comunque ho cercato di non parlare solo della seconda guerra mondiale.
La scena della crocifissione
David L. Cunningham: La crocifissione occupava solo un paragrafo del romanzo,
sapevamo che doveva esserci nel film, volevo far sì che la realtà più dura
trasparisse senza il rischio di interpretazioni devianti, non criticare la
cultura giapponese.
C'è ancora spiritualità nelle persone che hanno vissuto la storia?
David L. Cunningham: L'ispirazione viene sicuramente dal romanzo, molti
prigionieri che ho incontrato non hanno potuto prendere la decisione di Ernest.
Volevo mostrare che i protagonisti hanno scelto la riconciliazione e il perdono
piuttosto che la vendetta e l'odio. Ho spinto un po' la mano su alcune scene
crudeli che ritengo necessarie.
Come mai non c'è un accenno alla preghiera?
David L. Cunningham: Avevamo costruito un piccolo altare con una croce e
gli uomini andavano lì a pregare, però non ho voluto rappresentare una cappella
tradizionale, ho voluto rappresentare una spiritualità più pura, ho preso alla
lettera le parole del romanzo dette da Ernest: "Perché ci sta succedendo
questo? Parliamone"
Lei è un regista indipendente, ci sono state difficoltà con gli studi
americani?
David L. Cunningham: È un film che fa paura, è stato difficile realizzare
il film per uno studio americano, sono nato in Svizzera, cresciuto nelle Hawai,
c'è un carattere internazionale nella mia istruzione, volevo attori reali così
ho scelto con cura gli attori di varia nazionalità per trovare attori che
parlano con accento corretto. In Giappone abbiamo pure avuto contatti con Akira
Kurosawa. Volevo che il mio film avesse un carattere multiculturale.
Mark Strong: È difficile trovare film che non siano dominati dagli americani, i
giapponesi sono stati eccezionali, perché si è trattato di una episodio storico
non dico nascosto, ma sicuramente trascurato. Abbiamo visto dei documentari.
Gli australiani sono stati anch'essi straordinari. Per due mesi abbiamo vissuto
in un set, dormito nelle tende in una grande camerate, molti di noi hanno fatto
dei tatuaggi per ricordare questo lavoro in comune e sentirci uniti in questa
esperienza.
Ha appena finito di girare un film con Thomas Vinterberg
Mark Strong: Sì è strano parlare di altri progetti davanti a David, quest'anno
ho lavorato a "Hotel" di Mike Figgis, con macchine da presa digitali
e sicuramente il processo include fotogrammi singoli e doppi su una storia
improvvisata. L'hotel si chiama Ungheria ed è a Venezia. Il montaggio viene
realizzato adesso, tra gli attori ricordo John Malkovich Chiara Mastroianni,
Valeria Golino. Ho appena finito un film con Thomas Vinterberg. È un film di
science fiction e le riprese sono finite due settimane fa, il titolo è
It's
all about love.