Si nota un'esplosione di luce naturale che inonda lo spazio illuminando tutto lo schermo, quando i due ragazzi si inoltrano nel campo di girasoli, dove l'evidenza dei fiori ha qualcosa di iperreale e allo stesso tempo si viene catturati dalla spontanea libertà sbarazzina con cui la ragazza prende l'iniziativa con il giovane figlio di Matki. Ovvio che la memoria vada a Van Gogh, ma popolato non di foschi presagi e tristezze, quanto di vitalità e scatenarsi di membra tarantolate. Mai come in questo film il linguaggio del corpo in interazione con tutti gli altri si affranca da inibizioni nella sfrenatezza della rincorsa di pulsioni che provengono dall'imo di ognuno in un movimento centrifugo: dall'interno degli organismi verso l'esterno. E allora i vestiti si disperdono sui girasoli in un'esplosione di desiderio acerbo, che conosce momenti esilaranti (fatti di una volgarità accattivante nei gesti spesso ammalianti) durante la festa e di eccitazione casta nel corteggiamento, ma anche di pianto e di incanto (il colpo di fulmine tra il gigante e "coccinella"). L'intero lavoro, che pone al centro il desiderio amoroso, sembra pervaso da questo flusso di energia verso l'esterno, che prorompe dalla musica, sia quella occidentale che si sente ogniqualvolta Dadan è inquadrato e che sembra avvolgerlo in un incantesimo cocainomane che lo rende ipercinetico (e anche in questo caso il suo ballo con i pugni chiusi molto vicini al torace ha movimenti di esplosione verso l'esterno, come fuochi d'artificio),

sia quella tzigana che restituisce alla vita il nonno in ospedale (la vicenda del padre di Matki si svolge tra un risveglio, in ospedale, e una resurrezione, sotto il ghiaccio: sempre in presenza di muzijka)

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Amore e Muzijka vanno di pari passo nella cultura nomade, come era anche in Gadjo Dilo, un film che è privo della dirompente energia che serpeggia attraverso tutto questo film, perché mosso da intenti più antropologici, ma che presenta passaggi comuni: il pretesto musicale, la centralità della cultura dei Rom non intaccata dall'Occidente e una sequenza di amore in piena fusione con la natura. A questo proposito è interessante che l'amore tra la nana Bubamara e il gigante sbocci in un bosco, ma con lei proprio dentro ad un ceppo: i loro primi sguardi si incrociano attraverso la corteccia dell'albero che aveva offerto rifugio alla ragazza. Dove l'arcadia stempera la grazia con le risa e gli spari, ai quali si demanda il compito di palesare la propria esistenza di uomini fatti di umori ed espressioni.