Il film si dipana tra due sguardi attraverso il binocolo, entrambi sul Danubio solcato dalle navi che fanno affari: quello iniziale del ragazzo che scruta l'orizzonte, e quello finale sulla coppia che lascia quella realtà, catapultandosi sulla nave-occidente, visti attraverso lo stesso cannocchiale dal padre del ragazzo.
è come se tra noi e il mondo che ci viene proposto, e che rimane impermeabile al di là del fiume alla fine del film, Kusturica volesse frapporre qualche elemento ottico artificiale che avvicina (o allontana, come nel caso del mascherino del film) la materia esaminata allo sguardo.
Tutt'altro che una denuncia di obsolescenza contro il mondo tzigano, la presa di distanze assume piuttosto il ruolo di protezione per un mondo che, pur venendo a contatto con le sirene della omologazione per le caratteristiche nomadiche del popolo Rom, ha saputo resistere ai condizionamenti, assorbendo le contaminazioni e gettando la vita in burla. Impareremo mai l'arte di vivere in piena naturalezza?