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France Europe Express
viaggio fra le vite del cinema francese di oggi
2. Le travail...
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Lundi matin

Ioseliani coglie bene il bisogno di affrancarsi dal lavoro in Lundi matin, ma poi sente il bisogno di cambiare registro totalmente per dimostrare la differenza dal grigiore quotidiano e si perde a Venezia, salvo tornare in un nostos simile alla amara resa di Cantet. In questo sembra che il regista russo segua la fortuna odierna di Cechov, dove «i personaggi deboli e irresoluti si tradiscono subito come tali privilegiando con le loro attenzioni le cose e solo in un secondo tempo guardando alle persone», così avviene all'operaio transfuga, anche lui travolto da una dissoluzione di un mondo secolare come le situazioni delle piece cechoviane restituiscono - in particolare Il giardino dei ciliegi - mostrando «apertamente l'impossibilità dei singoli personaggi di restaurare con "il giardino" un rapporto concreto che non sia esclusivamente mitico» (Mauro Martini, Cechov non crede alle lacrime, postfazione all'ultima edizione delle piece di Cechov, in via di pubblicazione presso i tipi di Einaudi).
Probabilmente Ioseliani inserisce anche il lavoro "artistico" come contraltare e come introduzione alla cornice veneziana (una Venezia che non è cupoole dorate ma cancelli di Marghera in tutto simili nell'internazionalismo di Ioseliani che è il sano contraltare della globalizzazione targata Wall Street, e di nuovo emerge la vocazione francese a contrapporsi ai modelli statunitensi): si tratta di un pasaggio obbligato per l'uomo che prende coscienza della sua condizione di schiavo in fabbrica e cerca scampo in interessi alternativi, inun suo atelier; però in questo modo annacqua lo spunto e fa progressivamente perdere - volutamente: è lo stesso processo di alienazione dalla propria identità derivante dall'attività svolta, che incide sempre meno sulla essenza degli individui - la figura a tutto tondo del saldatore, curiosamente la stessa professione dell'Uomo senza passato di Kaurismaki. Ovviamente l'intento è quello, cioè permettere una liberazione dal lavoro, che tuttavia si scontra con una realtà simile ovunque e quindi prevede un recupero della quotidianità precedente, probabilmente con un atteggiamento diverso nei confronti del lavoro

Lundi matin

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Il lavoro nel cinema italiano è scomparso in mezzo a muccinate di trentenni sfaccendati e ombelicali ed emerge solo nella cattiva coscienza di Calopresti, annegato in troppi psicologismi morettiani; in Francia esiste ancora, e non è solo sfondo, perché permea l'ambiente, sia quando riesce a portare in scena la sua dannazione, sia quando non riesce a permettere l'affrancamento perché l'autore (Cantet) non lo ha mai provato e quindi non può capire cosa significa liberarsene; persino quando diventa mezzo per unire destini opposti, separati da un lutto tra vittima e carnefice, che riescono a costruire sul lavoro un possibile rapporto.

Lundi matin

Curioso che l'autore di Traurong sia nella Russia putiniana l'unico classico a cui fare riferimento (con squadristi che impongono anche un'esegesi unica e discutibile: ad esempio contestando l'approccio di Kira Muratova che in Motivi checoviani si appunta a stigmatizzare la disumanità dilagante): eppure il rapporto con le cose e soprattutto quella straniazione, che parte proprio dal tema del lavoro, sembrano permeare il film di Ioseliani: il lavoro spogliato del valore salvifico, rifiutato o sopportato, con i servi della gleba non ancora mentalmente affrancati, che continuano a rimanere fedeli agli aristocratici padroni irresoluti a diventare a loro volta lavoratori e come in Ioseliani rimane l'unico valore artistico nell'operosità; il resto del mondo del lavoro è tormento (come in Zio Vanja, peraltro), ben rappresentato da Ioseliani nella prima parte. E al dettato cechoviano rimane fedele anche nel rientro finale nei ranghi, benché con la consapevolezza che non c'è riscatto, ben spiegato da Mauro Martini: «Irina [in Tre sorelle] finisce con il rifugiarsi proprio in quel lavoro, di cui atto dopo atto ha misurato la vanità, solo perché svanisce la possibilità di mettere ordine alla sua esistenza». In Cechov era più accentuato il sarcasmo e il disincanto verso la funzione nobilitante del lavoro, retorica sovietica (e marxista leninista in genere), a cui forse Ioseliani non riesce ancora a rinunciare a pieno, tornando all'impasse d'inizio XX secolo di fronte a una tecnica ormai fuori controllo. La soluzione sarebbe nel ritorno a una sorta di nichilismo, che prima però va riconosciuto in Cechov, per riuscire a interpretarlo nella nostra società attuale.