Lei è Izzy Maurer?

Diciamo che lo sono stato

E adesso chi è?

Non so. Forse nessuno

Ci sono due inizi del film che si intersecano come nella rappresentazione della figura retorica del chiasmo: il primo vede Izzy sdraiato in terra, colpito, sul quale piove la scheggia dal soffitto, lasciandoci nel dubbio se lo trafiggerà o lo risparmierà e contenendo l'intera storia a cui assistiamo, che, come in un sistema di scatole cinesi (quelle da cui riemerge la pietra, che potrebbe essere quello stesso frammento staccato dal soffitto a causa dello sparo e che entra nell'altra vita di Izzy quasi si volessero proporre due storie diverse popolate dagli stessi soggetti con gli stessi oggetti a disposizione), comprende pure il secondo, l'incipit del quale lo incontra di nuovo sdraiato, ma nell'antro, da cui si produce la palingenesi dell'altra storia quasi psicanalitica, che si conclude nello stesso momento diegetico del tuffo di Celia nel fiume dublinese sullo sfondo della Statua della Libertà, luogo topico di Auster (Leviatano). In questo caso il montaggio combina i loro due destini, come il percorso dell'ambulanza (seguire le tracce spaziali sappiamo da La trilogia di New York essere un espediente grafico usato da Auster per "fotografare" lo sviluppo narrativo) proporrà l'altro incontro a parti rovesciate, dove Celia sopravvive e Izzy scompare: risultano così ancora più evidenti gli infiniti percorsi paralleli (J.L.Borges), da Dioscuri (Epicuro parlando della morte, riteneva che il più terribile dei mali in realtà "non è niente per noi", infatti quando ci siamo noi, la morte non c'è e quando sopravviene la morte noi non ci siamo più), che soltanto l'evento del numero di telefono con la pietra permette di rendere compresenti, uno sviluppo che sembra trascorrere sul viso di Mira nel suo ultimo personaggio: una sorta di consapevolezza inconscia di cosa sarebbe successo in quel mondo onirico parallelo, così spesso presente negli intrecci di Auster, che cerca di affiorare, ma non si sa mai se relegarla totalmente nel sogno o lasciarle spazio nella "realtà". In questo sta la specificità del racconto: l'aver sconfitto la regola che voleva i dioscuri divisi senza possibilità di incontro, invece nel film si rintracciano i fili che conducono alla, forse unica, possibilità di condivisione di spazi e tempi.

Alla peculiarità onirica concorre la impossibilità di ricondurre Celia/Lulu/S'il-ya ad un unico soggetto, un aspetto sottolineato anche dal cameo di Lou Reed, che si nega essere lui e poi nei titoli di coda si ritrova assegnato il ruolo "Not-Lou Reed ... Lou Reed" e Catherine dice di aver interrotto la carriera di attrice, perché "Ti interessa sempre meno corrispondere all'idea che gli altri hanno di di te". Come i personaggi di La Trilogia di New York, che sono sempre altri da sé: l'intero film si propone allora come un camuffamento di tutti, che assumono ruoli altrui, anche Philip chiede a Izzy di mettersi nei suoi panni a proposito del racconto dello stronzo, dove compare una ragazza descritta come a metà sorridente e a metà imbronciata e Celia gli chiede: "Sei vero...o sono io che ti ho creato?" (scena 25) e lui poco prima: "Sei una persona vera... o uno spirito?" . É come se tutto concorresse a creare una scena teatrale, in cui il protagonista viene chiamato a rivedere i suoi comportamenti, assegnandoli ad attori che li interpretano o che lo sollecitano a prendere decisioni ("Io credo di non aver mai compiuto un'azione così generosa"); il tutto viene accentuato dallo spaesamento indotto dalle riprese del film che si propongono come un ulteriore piano, e come se non bastasse c'è anche un abbozzo di analisi metalinguistica (Scena 48. Catherine: "Non devi calcare la mano così, Celia. Lascia che la cinepresa lo faccia per te". Celia: "É come capovolgere i sogni, vero?" "Catherine: Tutti noi li abbiamo dentro. Dipende solo da come li fai uscire" Celia apre lentamente la mano, come per lasciare libera una farfalla: "Così?" Catherine: "Esatto. E la cinepresa è lì per mostrarlo").

Contemporaneamente si assiste ad una totale adesione al personaggio di Lulu da parte di Celia, fin dalle prime battute quando fa cadere l'attenzione sui propri capelli, acconciati come quelli di Louise Brooks, per giungere a quella certezza ispirata con cui afferma l'impossibilità di racchiudere l'essenza di Lulu in una definizione: "Lulu non ammette niente. Lei non sa niente. Esiste, e basta" dice Celia, discutendo appena ottenuta la parte; e nella stessa sequenza nega la natura distruttrice di Lulù, confutando proprio le asserzioni di Wedekind, rifiutando la presunta passività del personaggio. Ma quello che si direbbe più importante è il motivo per cui esce dalla passività: "Non gioca osservando le stesse regole degli altri". Durante la scena 45 Celia pronuncia una battuta rivelatrice sui ruoli assunti e contemporaneamente getta una luce sulla rete di collegamenti nel complesso mosaico orchestrato da Auster: "Ma è tutto collegato. Io sono Lulu perché Izzy mi ama. Recitare questo ruolo fa parte della storia tra noi due. Ne sono convinta". In questo dunque si annida la seduzione e a ciò si aggiunge la molteplicità delle figure interpretate da Celia-Lulu, che ne fanno una summa degli stereotipi femminili, tutti comunque non completamente comprensibili a partire dalla scenetta pleonastica, ma utile per accentuare la prorompente presenza della femminilità nella pellicola: le tre età della donna sono fotografate nel ballo in stanza tra Hannah, la ex moglie di Izzy, Sonia, la figlia di Philip (il nuovo compagno di Hannah) e Catherine, la regista interpretata da Vanessa Redgrave: gioiosa voglia di vivere, benché un po' imbarazzante e mal realizzata è una sequenza rivelatrice di quale sarà un tema essenziale della pellicola: la centralità della donna in tutte le sue forme e, come in questo caso, in tutte le sue età.