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Torino Film Festival 1999Torino Film Festival - 1999
Corti d'autore
Tassidermica - Otto cortometraggi di Pappi Corsicato

…l'arte contemporanea produce nuovi luoghi di abitabilità in cui convivono sulla soglia della contemplazione, l'imprevedibile elaborato dall'opera e la testimonianza attiva del pubblico nel tumultuoso teatro della storia. (Achille Bonito Oliva, La montagna incantata)

Il gesto dell'arte nelle esperienze di sette autori contemporanei. Le opere nomadi di Kounellis, Merz, Paladino, Zorio interferiscono con lo spazio storicizzato - il Luogo. Sono pronte a scomparire, per non essere più. O per essere altro(ve) - una volta che il cinema le sottrae al momento, al tempo. Cerchiamo di capire perché.

OntaniPappi Corsicato, regista di Napoli, si appropria dei gesti di Kounellis e Paladino, smaterializzandoli. La macchina da presa eterna l'oggetto deperibile dell'arte. Nel compiersi del rito siriaco della mummificazione, Corsicato non scorda d'essere presente: presente a sé stesso (non c'è dubbio), presente all'opera. Differenze anche importanti si manifestano tra un frammento (tra un incontro) e l'altro: il regista osa, o si ritrae, a seconda del caso. Offertorio (1997, 35mm, 13') è metallo, fiamma ossidrica, sospensione di mobili nell'ambulacro della Chiesa di San Francesco, a Napoli. Le risorse dell'arte convergono in una quantità di materia inesauribile, lo spazio è preso al laccio dei telai di Kounellis, il tempo misurato dalla persistenza del fuoco.

La montagna di sale (1996, 35mm, 4') è potenza fisica liberata: grandi cose accadono, a volte, sotto il sole. Ma è un accadere guidato e sostenuto dal pensiero rigoroso che geometrizza, puntella, struttura la posa (in opera) della massa salina. Quaranta cavalli di legno stazionano nel biancore, perfetti.

Cose grandi, si diceva. Il gesto di Kounellis e Paladino è smisurato, non può farlo un uomo solo. La prima riduzione di Corsicato è quella al formato dello schermo. Una parte per il tutto: è il cinema, ovvero la condanna alla metonimia. L'articolazione in piani di una cosa che è viva e si muove; la frammentazione di una cosa che dura: c'è violenza, in questo. Il cinema instaura la dittatura della memoria:

Kounellis è stato qui

Che poi le immagini ci restituiscano il farsi dell'opera è una scelta ideologica forte: come quella di introdurre marginalmente il corpo dell'Artista, in campo lungo o lunghissimo. Egli dirige, organizza. Non è la Verità, a colpirci, ma l'insistenza sul mestiere dell'arte. Si spoglia la dimensione creativa della sua trascendenza. Abbiamo ancora l'idea romantica di un artista che sogna montagne incantate: Paladino erige una montagna, dopo averla pensata. E' il territorio del rischio, ci si può far male, chi non ha mani abbastanza ruvide e cuore vigoroso rimanga a casa.

KounellisSe gli oggetti di Kounellis suggeriscono (impongono?) alla macchina da presa movimenti parabolici, l'opera di Merz è un'occasione di uscire fuori, di esserci. I colori della città celeste (1998, 35mm, 6') è un esercizio di ripresa in dolly, che mescola motivi sul tema della dismisura. Elefanti si aggirano per piazza Plebiscito al mattino: un sogno fatto a Napoli. [Avevamo visto giraffe ai Quartieri Spagnoli, in Polvere di Napoli di Capuano] La notte spetta a Merz, che dispone numeri al neon, e abbondante frutta: Corsicato affastella rapide sovrimpressioni e cerca cadenze adeguate, con giudizio.

Inversamente, il Paladino di La heaume enchanté (1998, 35mm, 12') viene sottoposto ad un procedimento di prelievo, a tratti doloroso, per fini espressivi. Quadri parlanti, montaggio di parti: non sappiamo se questi tagli nascondano l'impulso del vandalo, o quello del feticista che avvicina l'occhio, per cogliere la tessitura, per possedere l'impasto del colore. Ma l'oggetto pittorico non si fa possedere, ed il desiderio negato è origine della ritorsione. Della macchina da presa sull'oggetto stesso.

L'apertura di Le stelle del canyon (1999, 35mm, 6'), dedicato a Gilberto Zorio, è un tentativo convinto di affiancare l'opera d'arte con un'immagine di calma primigenia. Maiali in un'alba di sempre - gli animali cari ad Achille Bonito Oliva. L'anno, quasi 2001.

Ci si vuol chiedere qui se l'azione del cinema si sovrapponga ad un incidente creativo (il lavoro dell'arte in un Luogo) con esiti egualmente fertili. La risposta è sospesa: non ci sono elementi sufficienti per elaborare un giudizio definitivo; il cinema, che riproduce il movimento, in questo caso ferma quello che si muove. [Sia chiaro: pensiamo ogni bene delle contaminazioni, del concetto di Contaminazione che è alla base di ogni ricognizione critica del nostro tempo.]

La Piazza è lo spazio partecipato, il Luogo nel quale l'uomo premoderno e l'individuo moderno si incontravano per annettere la propria storia alla Storia collettiva. L'opera d'arte si connette al luogo. "Qui si consuma un intenso rituale, il confronto della forma esemplare dell'arte con le spietate e retoriche cantilene della città" (Achille Bonito Oliva, op.cit.). I (sopral)luoghi di Corsicato sono fatti di cinema: un linguaggio che, come gli altri due, si offre allo sguardo. Però il cinema si allontana da quelli, nella forma, nel materiale, nella sensibilità collettiva. Il cinema è impossibilità di agire - la critica, piuttosto, riafferma il potere dell'intervento, della costruzione (o decostruzione) di un discorso che (ugualmente al cinema) non sia ancora testo. Il cinema e la critica sono altresì distanti dal Luogo, e dall'Arte. E dall'Arte, il cinema è ancor più distante della critica.

Non a caso l'inerzia si smaschera quando l'inerte è l'artista. Tribute 21 (1999, Betacam, 15') è un'imbarazzante omaggio raddoppiato: Rauschenberg, cadavere pop, si sottopone alla imbalsamazione assistita del cinema. Il tributo ai 21 eccellenti del secolo (scorrete i nomi, c'è pure Bill Gates) è il salotto affollato d'America. Quando Argan avanzava sospetti sui divi newyorchesi della Pop Art c'era chi storceva il naso. Possiamo dargli ragione oggi, e invocare per questo ciarpame vergognoso l'oblio imperituro e la polvere dei Musei. Per l'aria aperta, per le intemperie, c'è bisogno di un uomo nuovo, che non sia servo.

PalladinoGilbert & George (1998, Betacam, 17') è un ritratto impersonale del celebre duo inglese, coi problemi tecnici di dover riprendere composizioni gigantesche e renitenti a farsi riprendere, e che ostacolano la telecamera coi riflessi della plastica protettiva. Il filmato somiglia ai tanti documentari televisivi esistenti su Gilbert & George: i due si raccontano, recitano la consueta parte delle "sculture viventi", parlano con calcolato candore. Girato in occasione della mostra-culto "New Testamental Pictures" (trenta opere esposte a Capodimonte), il lavoro di Corsicato mostra ciò che gli artisti hanno mostrato: sudore, urina, sperma, sangue, lacrime, saliva, feci, protagonisti di composizioni poco più che monocromatiche, con ampie porzioni di bianco a separare le figure umane, esclusivamente quelle di Gilbert & George, soli coi propri liquidi organici.

Questi vengono sottoposti ad ingrandimenti al microscopio, e quindi fotografati, per dare vita ad astratte e fluttuanti strutture nei colori del giallo, del rosso, del bianco, che assieme al titolo (quasi sempre descrittivo, es. Blood on spunk) permettono di identificare ciascuna formazione cristallina.

"Gilbert & George non vanno analizzati, poiché non si danno come problema, ma come presenza." Da questa considerazione di Achille Bonito Oliva, fra i primi in Italia ad indagare la poetica dei due, si coglie il nesso tra telecamera e corpo dell'arte. La telecamera qui funziona da cartina di tornasole, testimoniando dell'impossibilità di documentare l'opera d'arte (i brutti e indesiderati riflessi di cui si diceva in precedenza), e dell'opportunità invece di utilizzare l'Artista in sé. Gilbert & George sono l'opera. Non come Orlan, certo. Recuperano però una sensibilità dandy, sono Brummell e Gautier: ma anche il Duchamp di "Tonsura". "L'arte contemporanea ha investito della propria creatività ogni possibile superficie arrivando alla fine ad adottare anche l'apparato somatico come corpo d'arte." (A. Bonito Oliva).

Da questo punto di vista si coglie il legame fra il filmato suddetto e l'ultimo della serie, Girotondo di capriccio (1999, Betacam, 25'), coerente celebrazione di Ontani, l'ultra-kitsch. Autoparodia dell'arte, con telecamera complice (o succube?), Ontani persegue l'eccesso di sé. L'impresa ha buon fine - è un'estetica del pastiche, del collage di mostri. Non vuol piacere. Bulimia dell'arte cui tenderebbe anche Corsicato, a giudicare dai lungometraggi.

Fuori dalla questione delle contaminazioni, che rimane aperta, ci sentiamo di dire che non sappiamo bene chi sia il Pappi Corsicato di questa rassegna di arte contemporanea. Troppe facce, e diversi gradi di dipendenza dal soggetto. Sappiamo invece chi è il Corsicato regista cinematografico, un manierista con l'aspirazione (laddove Martone vorrebbe farsi classico) alla Minorità. E sappiamo bene quale Corsicato vorremmo dopo il contatto/interferenza con Jannis Kounellis, Mimmo Paladino e gli altri: un manipolatore consapevole di materiali propri ed altrui (come l'artista, che manipola materia e linguaggio), un creatore.

 Luca Bandirali

 

 

 

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