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Torino Film Festival 1999Torino Film Festival - 1999
Retrospettiva John Carpenter
Archetipi e stereotipi
del cinema dei vampiri

  1. ABITUDINI VAMPIRICHE
    Solo se fosse un film, crederei che tutto ciò è vero

    (W. Herzog, Sentieri nel ghiaccio, 1978)

    Il vampiro è uno di quei personaggi che infestano continuamente il cinema. Non passa una stagione senza un titolo dedicato ai padroni indiscussi della notte. Molti registi sono stati contagiati dal mito del vampiro. Murnau, Browning, Dreyer, Vadim, Polanski, Herzog, Coppola, Ferrara, Bigelow, Jordan, Landis, Tarantino, Carpenter gli autori più illustri che non hanno potuto far a meno di confrontarsi con queste inquietanti figure. Altri, Mario Bava, Riccardo Freda, Lucio Fulci, Terence Fisher, Jess Franco, Jean Rollin, hanno costruito la loro fortuna (spesso tardiva…) su varie tipologie di succhiatori di sangue. Il numero di pellicole dedicate ai vampiri sfiora le tre centinaia, è perciò inevitabile che l’argomento presenti una lunga serie di stereotipi. Piuttosto è la stessa figura del vampiro, e di Dracula in particolar modo, ad essere diventata uno stereotipo. La fortuna del vampiro è nei suoi stereotipi.

    Méliès, nel suo Manoir du diable, già presenta tutti gli elementi tipici del vampirismo: un pipistrello che si trasforma in un diavolo, un castello diroccato e un crocefisso che mette fine alla storia. Nel 1896, addirittura un anno prima che fosse pubblicato il romanzo di Bram Stoker (al quale dobbiamo il prototipo del vampiro moderno), Méliès dà vita a gran parte degli stereotipi destinati a determinare la fortuna del vampiro. E' comunque il Nosferatu di Murnau l’archetipo del cinema dei vampiri, l’episodio più noto, al quale è stato costretto a rifarsi chiunque, lungo tutta la storia del cinema, abbia voluto narrare storie di vampiri. Le abitudini del Nosferatu del 1922 hanno dettato legge: legame indissolubile con gli animali della terra, vita esclusivamente notturna, annientamento alla vista dei primi raggi dell’alba, unione inscindibile con la deformità e la malattia. Il Nosferatu di Murnau e Vampyr di Dreyer hanno costituito un riferimento obbligato per l’intero filone horror. Ad esempio, il loro utilizzo delle ombre come elemento anticipatore è sfruttato ancora oggi. Basti pensare al ruolo fondamentale che acquistano le ombre nella composizione delle inquadrature del Dracula di Coppola. Nel film di Murnau, la paura scaturisce proprio dalle ombre e dall'avanzare minaccioso delle figure. Secondo Deleuze l'ombra costituisce il <<primo mezzo>> per <<costruire uno spazio qualsiasi>>. Nel caso del Nosferatu <<L'ombra esercita (...) tutta la propria funzione anticipatrice, e presenta allo stato più puro l'affetto di Minaccia (...). L'ombra prolunga all'infinito. Determina così delle congiunzioni virtuali che non coincidono con lo stato di cose o con la posizione dei personaggi che la producono>>. Tutto questo è ancora più evidente in Vampyr dove le ombre diventano figure — sostanze indipendenti dal corpo.

    Nel Dracula di Browning, del 1931, per annientare il vampiro non è più sufficiente la luce del sole, ma c’è bisogno di martello e paletto. Da allora, fino all’ultimo film di Carpenter, per annientare i vampiri bisogna esporli alla luce, oppure decapitarli e trafiggerli con un paletto.

    Per quanto riguarda gli specchi, Nosferatu si differenzia da tutti gli altri vampiri, poiché Murnau ne mostra il riflesso. Ciò avviene quando Nosferatu è sorpreso dai raggi del sole accanto al letto della sua vittima, perciò Murnau ha voluto forse significare che il vampiro si riflette proprio perché sta per essere distrutto, e vengono meno i suoi poteri. Il che confermerebbe la credenza che le creature del demonio, e i vampiri in particolare, non si riflettono negli specchi. Alcuni oggetti, come i crocifissi, l'aglio e l'acqua benedetta, sono invece capaci di tenere lontano i vampiri, senza però sconfiggerli. Irresistibile la trovata di Rodriguez e Tarantino, in Dal tramonto all'alba, con i preservativi usati come palloncini da riempire d'acqua benedetta e scagliare contro i nemici vampiri.

  2. L’ASPETTO FISICO
  3. Nel Nosferatu di Murnau la figura del vampiro è orripilante, dai lineamenti simili a quelli di un topo, lontanissima dall’immagine sensuale privilegiata dai vampiri dei decenni seguenti. Allo stesso modo il vampiro di Dreyer è una vecchia, non certo accostabile alle "mangiatrici" di uomini (e donne) di Rollin o Jess Franco. Gli archetipi della figura della vamp risalgono maggiormente ad una serie di vampire del cinema muto impersonate da Theda Bara e Musidora, protagonista quest’ultima del primo serial dedicato ai vampiri, Les vampires, realizzato tra il 1915 e il 1916 da Louis Feuillade. Queste figure hanno ispirato la Grace Jones di Vamp, che a sua volta è stata una sicura fonte d’ispirazione per le vampire super dotate e pittoresche di Dal tramonto all'alba. Un posto a parte merita invece la vampira di Abel Ferrara, Lili Taylor, lontanissima da tutti gli stereotipi del genere, algida e cruda, straniante e consapevole del suo dolore, resa ancora più poetica dal bianco e nero. In The addiction i suoi primi piani, con le labbra sporche di sangue, ricordano il volto di Sybille Schmitz, la protagonista di Vampyr che rimanda, a sua volta, alle inquadrature cariche di pathos della Giovanna d'Arco.

    Per quanto riguarda l'età del vampiro ci troviamo di fronte ad un sicuro stereotipo: oltre ad essere di statura alta e col volto cadaverico, il vampiro deve essere vicino agli "anta", quasi obbligatoriamente di mezza età. Lo sono il Nosferatu di Murnau, Bela Lugosi, Christopher Lee, il Conte Krolock di Polanski, Klaus Kinski, Jack Palance nel Dracula di Dan Curtis, Frank Langella in quello di Badham. Negli anni '80 vi è invece un tentativo di ringiovanire la figura del vampiro. In film come Near dark della Bigelow, The lost boys di Joel Shumacher, Once Bitten di Howard Storm (con un giovanissimo Jim Carrey), o in episodi pseudo - parodistici come College per Vampiri di Samuel Bradford, l’età media diminuisce in maniera considerevole e il vampiro diventa ragazzino. Fino ad arrivare agli anni '90 e ad Intervista col vampiro con Brad Pitt, Tom Cruise e Antonio Banderas, giovani sex symbol vampirizzati. Molti dei film sui vampiri realizzati negli anni ’80 costituiscono una variante fondamentale non solo per questioni anagrafiche, ma anche perché hanno tentato di modernizzare il mito del vampiro, ambientando le loro storie ai nostri giorni. Si tratta perciò di un mito recuperabile e così attuale che in Near dark può essere interpretato addirittura come metafora dell'AIDS, la peste di questa fine millennio.

    L'aspetto fisico del vampiro è quello che maggiormente si presta allo stereotipo. Gli occhi rossi, iniettati di sangue, così come i lunghi canini acuminati (introdotti dal primo Dracula realizzato da Terence Fisher), non risparmiano nessuna personificazione. Stessa cosa dicasi per gli artigli. Dal Nosferatu di Murnau fino ai vampiri di Carpenter, le lunghe unghie affilate sono armi e allo stesso tempo simboli della comunione con alcune specie animali, e nell'ultimo Vampires diventano vere e proprie mannaie. I vampiri, nella stragrande maggioranza dei casi, si trasformano in pipistrelli, spesso anche in lupi, a volte in topi. Murnau e Herzog hanno posto l'accento sul legame del vampiro con i topi e la peste, riprendendo un’antica credenza balcanica che considerava gli invasori tartari e turchi come vampiri, signori dei topi e della peste nera, poiché, durante il Medioevo, i loro attacchi erano stati accompagnati da un'invasione di ratti, causa di una terribile epidemia di peste.

    Generalmente i vampiri hanno nel loro aspetto qualcosa d'indefinito che affascina e conquista. La giovinezza eterna e la necessità di trovare sempre nuove vittime li ha obbligati ad assumere fisionomie seducenti. Il vampiro di Murnau e Dreyer, figura orripilante o sinonimo di vecchiaia, è subito tramontato a favore di bellezze sempre più inquietanti e perverse: la bellissima Catherine Deneuve (in The hunger di Tony Scott), Anne Parillaud (protagonista di Innocent blood di John Landis), Geena Davis (in Transylvania 6-5000 di Rudy De Luca), l’intramontabile Anthony Perkins (in Daughter of darkness film-tv di Stuart Gordon), e tutti i più famosi Dracula da Lugosi in poi. E forse non tutti sanno che è stata un vampiro anche Anita Eckberg, in Malenka, la nipote del vampiro di Armando De Ossorio.

    La loro essenza seduttrice porta i vampiri a prediligere un abbigliamento ricercato e, soprattutto, conforme alla moda del momento in cui viene contestualizzata la loro vicenda. Lo stereotipo più evidente è quello dell’abito da sera e mantello neri, imposto da Bela Lugosi nel Dracula del 1931 e ricalcato da tutti i Dracula seguenti, soprattutto quelli direttamente ispirati al personaggio stokeriano. Bela Lugosi e il truce Christopher Lee conquistano le loro vittime grazie ad un raffinato abbigliamento da sera, Thomas Ian Griffith, il Valek del film di Carpenter, affascina per il suo stile un po’ "corvo" e un po’ "Jena Plissken", più vicino agli zombie di Romero che ai vampiri della Universal e della Hammer.

  4. IL VAMPIRO POSTMODERNO
    Il mostro è la sua apparenza
    (L. Termine, Il piacere della paura, 1993)

Il Dracula di Coppola è la pura essenza del fascino vampirico. Romantico e sensuale, personificazione di un dandismo recuperabile anche in questa fin de siècle (i suoi occhialini potrebbero essere benissimo un modello all'ultima moda). Gary Oldman è insieme tutto quello che è stato il vampiro in millenni di superstizione e in cento anni di storia del cinema. Vecchio e giovane, mostro e seduttore, nemico e amante, animale ed eroe, vapore, vento e pioggia. E’ tutto, perciò niente, senza corpo né volto, un mutante, archetipo e già stereotipo del postmodernismo.

Il vampiro postmoderno è afflitto da malinconia, quello descritto da Coppola è il più vicino al protagonista malinconico del romanzo di Stoker, riflette la melanconia di chi si sente sradicato, né figlio del suo secolo, né di quello che sta per venire. Una sorta di errabondo costretto a vivere in eterno, da morto, restio a donare alla donna che ama quell'eternità dalla quale lui stesso vorrebbe fuggire. Fondamentale resta la comunione con uno spirito femminile. Nel Bram Stoker's Dracula è Mina a fare da tramite tra i nemici di Dracula e il vampiro, così come nell'ultimo Vampires è sempre una donna, Katrina, a comunicare con loro, grazie ad una spiccata telepatia. Lo scarto tra Stoker/Coppola e Carpenter è che la donna timorata di Dio dei primi diventa, nel secondo, una prostituta. L'innocente Winona Ryder diventa la peccaminosa Sheryl Lee (ex-Laura Palmer).

Nel Bram Stoker’s Dracula è evidente la parabola dell’umanizzazione del mostro. La dicotomia Bene/Male si sfalda. Non vi sono più da una parte i buoni e dell’altra i cattivi. Il Male postmoderno è quello dell’universo proteiforme di Cronenberg, del mutante protagonista di Rabid sete di sangue. Qualsiasi creatura può assumere potenzialità metamorfiche infinite. Dal mostro riconoscibile quale esponente del Male si è passati a mostri buoni, che suscitano pietà o addirittura amore. Mentre gli indiani dal ruolo esclusivo di cattivi sono diventati sempre più spesso protagonisti "buoni", il vampiro oscilla tra la repulsione e la seduzione e fa di questa doppia essenza la sua principale forza. Alla base del film di Coppola vi è l’eterna favola della Bella e la Bestia, quindi un archetipo. E questo è il punto al quale forse non è del tutto necessario dare risposta: il vampiro è più archetipo o stereotipo?

Nonostante gli stereotipi ai quali il cinema (ma anche il teatro, la tv, l’arte, la musica e il fumetto) ci hanno abituato, gli elementi costitutivi del vampirismo sono archetipi che accompagnano l’uomo dagli albori della civiltà: paura dei morti (e/o necrofilia), tabù del sangue (e/o incesto), brama di vita eterna ed eterna giovinezza, contrapposizione Bene/Male, Eros/Thanatos. Quella del vampiro è una mitologia eterna, ne troviamo tracce nella letteratura greca e in quella latina. In particolare si trova sovente la figura di giovani spose morte prematuramente che ritornano dall'aldilà per ritrovare l’amore. Il componimento di Goethe La sposa di Corinto narra un’analoga vicenda d’amore e morte. Così da Filostrato, passando per i principali esponenti della letteratura romantica, arriviamo fino a Carpenter per scoprire che, in realtà <<la gente non li ha mai presi sul serio>>, e in fin dei conti, <<i vampiri non sono come li si vede al cinema>>.

Loredana Ciliberto

 

 

 

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