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Torino Film Festival 1999Torino Film Festival - 1999
Retrospettiva John Carpenter
The thing (1982)

Inquietudine cronometrica

[Questo saggio è stato pubblicato sul n. 44 di Cinema&Cinema - Sett/Dic 1985; lo riproduciamo d'accordo con l'autrice, che ringraziamo - Expanded Cinemah]

Oggetto di questo studio è l'analisi del film The Thing (La Cosa) realizzato da John Carpenter nel 1982, con riferimento al film The Thing (La cosa da un altro mondo) girato nel 1951 sa Howard Hawks. Le due opere sono entrambe tratte da una novella pubblicata nel 1938 da John Campbell con il titolo Who Goes There?(1)

Quest'origine comune, per quanto abbia portato a realizzazioni estremamente diverse, rende i due film abbastanza omogenei sotto il profilo di quelle che Louis Hjelmslev (2) definisce Sostanza e Forma del Contenuto, nel nostro caso rispettivamente un continuum antropologico rimandabile a un vago concetto di Alterità, il cui campo semantico è definito nelle opposizioni strutturali Noi/Altri, In/Es ecc., che riprenderò più avanti; un continuum narrativo costituito da una serie di eventi di natura eccezionale già tutti contenuti nel racconto di Campbell.

Questo medesimo materiale assume nei tre testi significati estremamente diversi in virtù delle differenti scelte espressive compiute dagli autori. Obbiettivo di questa ricerca è di render conto delle caratteristiche strutturali del film di Carpenter e delle differenze più importanti rilevabili nel paragone con il precedente cinematografico. L'ipotesi è che alcune di queste differenze rispecchino in parte l'evoluzione della cinematografia americana dal dopoguerra a oggi.

Il paragone è reso possibile oltre che dall'omogeneità contenutistica, anche dal contesto produttivo in cui entrambi i film sono stati realizzati, e cioè l'industria cinematografica statunitense, che proprio in quanto regolata dalle leggi di mercato tende un po' a uniformare la forma espressiva delle opere che produce.

La forma del contenuto: il racconto. Contrapposto al discorso, ma non facilmente separabile da esso, il racconto è qui l'insieme di eventi che il testo organizza. La novella e i due film di cui mi occupo hanno ciascuno un loro racconto, ma di fatto i tre racconti sono estremamente simili. Se si eccettuano alcune omissioni, i due film si distanziano dalla novella agendo soprattutto sull'intreccio.

Who Goes There? Narra di un gruppo di uomini, componenti di una spedizione scientifica al Polo Sud, che scoprono seppellita nel ghiaccio da milioni di anni, un'astronave. Tentando di liberarla, la distruggono, ma recuperano il corpo congelato di un alieno. Nell'interesse della scienza decidono di scongelarlo ma incautamente se lo lasciano scappare. Lo ritrovano e lo fulminano con la corrente elettrica. Il biologo della spedizione si rende conto della natura replicante della creatura: essa imita gli organismi che ha ucciso fino a divenire uguale a loro. Potrebbe essere l'inizio della conquista della terra. Alla base nascono immediatamente sospetti reciproci: come stabilire chi è ancora umano e chi è già stato "assorbito"? McReady, eroe della vicenda, prende il controllo della situazione e compie sui suoi compagni un test risolutivo; elimina così gli uomini assimilati. Anche il biologo che, impazzito, era stato rinchiuso in un casotto lontano dalla base, viene scoperto mentre, divenuto "cosa", sta costruendo un mezzo antigravità per scappare, e viene eliminato.

Cosi si chiude la novella che Campbell pubblicò sulla rivista "Astounding" di cui era direttore. C'è da notare che essa era calata in un'atmosfera particolare, più vicina al vero e proprio Fantasy, genere tradizionale fatto di misteri e stregonerie, che non alla fantascienza. E questa atmosfera viene eccheggiata da Carpenter nella versione del 1982.

The Thing from Another World. Nel 1951 Howard Hawks decide di produrre un film tratto da questo racconto, e affida la regia al suo montatore preferito, Christian Nybi, ma segue il film molto da vicino. Pur mantenendo l'intelaiatura di base della novella, Hawks propone aggiunte ed omissioni che mutano sostanzialmente il suo significato. Si perde la natura replicante del mostro che introduceva il problema dell'identità dei personaggi (offrendo spunti fertili che Carpenter utilizzerà abbondantemente). Qui invece il mostro si riduce a una specie di vegetale e si accenna solo vagamente al pericolo della sua riproduzione. Vengono introdotti due personaggi femminili e una storia d'amore che diventa quasi centrale. Inoltre gli uomini di scienza presenti alla base sono connotati in maniera estremamente negativa. Subito dopo il ritrovamento della creatura, gli uomini discutono animatamente con il dott. Carrington se scongelarla, ma qui non sono più gli interessi della scienza a prevalere. La "cosa" infatti si scongela solo per caso e il comandante lotterà per tutto il resto del film contro gli scienziati che faranno il possibile per salvarla, adducendo idealistiche considerazioni sull'ineluttabilità del progresso scientifico. Finalmente il dott. Carrington, il cui personaggio subisce nel corso della storia una costante svalutazione, muore nel tentativo estremo di comunicare con la "cosa" e tutto si conclude per il meglio con il matrimonio di Niki e del capitano.

Difficile non leggere in questa nuova versione del racconto pesanti critiche a certe posizioni scientifiche, basate su un'idea di progresso a ogni costo, e una presa di posizioni, per quanto indiretta, sulla responsabilità degli scienziati nell'impiego bellico dell'atomica, argomento d'attualità ai tempi in cui il film uscì.

La versione di John Carpenter. Nel 1982, reduce dal successo di 1997: Fuga da New York Carpenter ottiene un contratto con la Universal per girare a sua volta The Thing. È la prima volta che lavora per l'industria e la grande produzione sembra in qualche modo condizionarlo. È una svolta che lui stesso stenta a giudicare positiva: "Un po' del fascino di Distretto 13 e di Halloween dipendeva dal fatto che non c'era abbastanza denaro per mostrare le cose… Era più interessante, più stimolante… anche se questo non vuol dire che il risultato debba essere per forza migliore" (3). E in The Thing Carpenter si sforza di mostrare quell'alieno, quell'alterità che né Campbell né Hawks avevano con precisione definito. È al racconto di Campbell che Carpenter si rifà maggiormente. Il precedente cinematografico non sembra incidere molto sulla nuova versione, se non nel generico omaggio a Hawks che Carpenter afferma essere il suo costante riferimento stilistico. L'intreccio stesso resta estremamente simile a quello del racconto letterario, ma il risultato è ancora una volta differente.

Tutti i film di Carpenter mostrano una struttura estremamente compatta, una generale subordinazione di ogni elemento all'efficacia della narrazione, così da raggiungere il massimo coinvolgimento dello spettatore. "I film sono emozioni... Io penso che il pubblico dovrebbe proiettarsi nel film, in un personaggio, in una situazione e reagire" (4), ha affermato il regista. Questa compattezza strutturale viene ottenuta attraverso una "scrittura" che organizza gli elementi significanti in una rete temporale rigorosissima. Il Tempo dunque sembra essere il principio strutturante di questi film.

Il Tempo testuale risulta dall'unione del tempo del racconto, cronologia degli eventi narrati, che si può definire tempo diegetico, con il tempo del discorso, della superficie significante, cioè il tempo filmico. L'intrecciarsi di questi due tempi condiziona pesantemente la lettura del film, che a differenza di quanto avviene nel testo letterario, è vincolata in maniera quasi coercitiva al Progetto dell'Enunciazione(5). In Carpenter a queste logiche temporizzatrici ne viene aggiunta un'altra, il tempo filmico viene scandito da un orologio che con precisione "svizzera" ritma il passare delle ore dei giorni. In Fuga da New York il protagonista lo portava al polso e regolarmente lo consultava anche per lo spettatore per sapere quanto mancava alla sua vittoria o alla sua morte. In Distretto 13 era sovrimpresso sulla scena, non giustificato diegeticamente; era esplicitamente l'orologio di John Carpenter, o meglio del Soggetto dell'Enunciazione. In The Thing è espresso dalla medesima inquadratura della base in Campo Lungo che riappare ciclicamente a mostrare il passaggio dei giorni e delle notti. Naturalmente questa scansione cronometrica non corrisponde poi al succedersi del tempo filmico, che resta ellittico e non omogeneo in ogni sua parte. Il rapporto tra il tempo filmico e quello che l'orologio ci impone lo potremmo definire così: "Il tempo assoluto, vero e matematico, senza relazioni con nulla di esterno, scorre uniformemente e si chiama durata. Il tempo relativo, apparente e volgare, è la misura sensibile ed esterna desunta dal movimento di una parte qualunque di durata"(6).

E questa macchina narrativa a costruire efficacemente la Suspense dei film di Carpenter.

È subito importante notare come in The Thing, come spesso accade tra gli autori della cosiddetta nuova Hollywood, è per lo più difficile identificare l'unità di tempo e di luogo: le scene si innestano le une sulle altre in maniera complessa con frequenti anticipazioni, ritorni, variazioni di ritmi, cosicché in un lavoro di trascrizione non sembra possibile tagliare con precisione il flusso filmico in sequenze.

Da questo punto di vista il film di Hawks si comporta in modo alquanto diverso. È infatti strutturato in blocchi narrativi, che rispettano l'unità di tempo e di luogo e contengono situazioni concluse, relativamente indipendenti tra loro. Questa caratteristica è in parte generalizzabile in riferimento al cinema classico hollywoodiano. Dunque l'aumento di complessità sembra far parte dei mutamenti strutturali che il cinema americano, almeno quello prodotto "industrialmente", ha subito negli ultimi 30, 40 anni. In Carpenter il tempo e lo spazio testuali vengono a costituirsi sulla base di un'estrema frammentazione del filmato. Abbiamo contato nell'intero film 952 inquadrature mentre nel film di Hawks erano 390. Nel film di Carpenter questa frammentazione si ricompone in una vasta interdipendenza, in quella solidarietà degli elementi narrativi che ho definito come compattezza strutturale. Dunque quello che Carpenter chiama "il tempo vero" ("È così che lo chiamiamo il mio montatore e io: l'azione impiega esattamente il tempo che necessita perché si svolga sotto i vostri occhi". E oltre: "Il tempo reale è una cosa buona perché è molto stretto. Ha un ritmo regolare come un metronomo, si ha la sensazione di un tic tac regolare...(7)) viene costruito con espedienti narrativi complessi, per cui come spesso accade, il massimo naturalismo si ottiene proprio attraverso la massima complicazione della macchina narrativa.

La Forma dell'Espressione: il discorso filmico. A questo punto è necessario verificare queste affermazioni nell'analisi del testo.

Ometto qui la trascrizione del film per sequenze e quella particolareggiata di una sequenza, di cui esporrò soltanto i risultati(8).

La prima parte del film intreccia 3 situazioni temporali distinte. La sequenza dei titoli di testa mostra alcuni piani di un'astronave che vola nello spazio in direzione di un pianeta che presumibilmente è la terra. Quando si svolge questa azione? La chiusura mostra un cartello che reca la scritta "ANTARTICO 1982"; è questo il vero incipit del racconto, che ci dà le coordinate spazio-temporali di tutto quello che seguirà, e nello stesso tempo pone la sequenza del prologo nel passato. Solo più avanti nel film saremo in grado di dedurre da qualche indizio la possibile connotazione temporale di quelle immagini. Ma a questo punto del racconto sembra più interessante creare un'enorme ellissi non marcata che suggerisca fin d'ora un'atmosfera di mistero, e mostri come l'origine di questa vicenda si perda nella notte dei tempi.

La sequenza n. 1 dopo il cartello si compone di una cinquantina di inquadrature. Le prime 23 seguono un elicottero che insegue un cane; di tanto in tanto un uomo si sporge e spara al cane cercando di ucciderlo. L'inquadratura 24, con un'insegna recante la scritta "United States National Science Institute Station" ci introduce ad una breve descrizione della base americana al suo interno. Finalmente le due situazioni, dell'elicottero e della base, offerte in un accenno di montaggio alternato, entrano in contatto. L'elicottero atterra di fronte alla base ed esplode; un uomo riesce a salvarsi, urla qualcosa in una lingua sconosciuta e riprende a sparare al cane. Gli americani lo uccidono e accolgono il cane alla base. Le prime ipotesi portano il vicecomandante Mc Ready (che era stato presentato senza possibili dubbi come l'eroe della vicenda attraverso una recitazione in cui il più piccolo gesto esprimeva carattere e individualità) e il biologo Blair a compiere un sopralluogo alla base norvegese, dove deve essere successo qualcosa...

La sequenza che segue, racchiusa tra due dissolvenze incrociate (che non sembrano avere il compito di marcare un passaggio di tempo bensì di sottolineare la situazione lì rappresentata che è essenziale all'economia del racconto), contiene il ritrovamento della "cosa", imprigionata in un blocco di ghiaccio. Ma contiene anche brevi, inquietanti accenni a quella vicenda consumata poco tempo prima alla base norvegese, che si ripeterà tale e quale nel corso del film, alla base americana. E i nostri eroi aggirandosi per i fabbricati in rovina, lo presagiscono chiaramente.

Si è così configurata l'altra situazione temporale in gioco, quella sviluppatasi immediatamente prima dell'incipit del nostro racconto alla base norvegese. Le scene successive, ambientate alla base USA, mostrano i primi sviluppi della vicenda. Gli uomini scongelano la "cosa", credendola morta. Ben presto il cane che i norvegesi rincorrevano esprime la sua vera natura mutante; effetti speciali raffinatissimi consumano questa parentesi di spettacolarità pura, non del tutto necessaria al procedere del racconto.

Finalmente, cercando le spiegazioni del fenomeno, gli uomini visionano del materiale video che i norvegesi avevano girato. Ed ecco che veniamo messi in grado di comprendere le immagini del prologo. I norvegesi infatti avevano ritrovato sepolta nel ghiaccio quella nave spaziale, e si erano portati a casa la creatura che ne era stata sbalzata fuori. Lo spettatore a questo punto è in grado di ridisporre cronologicamente gli eventi mostrati. Un passato mitico, la cui lontananza è espressa dall'enorme massa di ghiaccio che ha ormai ricoperto l'astronave, con cui una misteriosa spedizione extraterrestre giunse per chissà quale motivo sulla terra; un passato prossimo, in cui i norvegesi consumano il loro dramma, che si conclude esattamente all'inizio della nostra storia, e il presente messo in scena dal film, così connotato da valenze arcane e inquietanti. Solo da questo momento in avanti (dall'inizio della IX sequenza, marcata da un totale della base in esterno notte) comincia il "Tempo vero"; gli eventi si dispongono in un presente scandito dal ritmo regolare dei giorni e delle notti senza più far ricorso a ellissi o a rimandi temporali di rilievo.

C'è da notare incidentalmente che anche altri film di Carpenter iniziano con un qualche riferimento al passato o anche con un vero e proprio prologo che rimanda alle origini della vicenda raccontata. Con il riferimento al passato decadere della città di New York, il nostro presente, si apre 1997: Fuga da New York. Con un'intera sequenza ambientata trent'anni prima della vicenda raccontata nel film inizia il recente Christine. Fog è costruito sugli effetti drammatici di una storia accaduta 100 anni prima e Halloween, la notte delle streghe ha pure origine in un evento mostruoso accaduto dieci anni addietro. Non so se questo ricorso alla rappresentazione degli antefatti sia un topos del genere Fantasy, ma sicuramente Carpenter se ne avvale di frequente, e questo procedimento sembra estremamente efficace nel dare il via a una serie di attese inquiete, a far scattare il meccanismo della suspense.

Ed è proprio la suspense, la costruzione dell'attesa a caratterizzare tutto il resto di The Thing. Infatti dalla IX sequenza, in cui la vera natura della cosa ci viene svelata dalle intuizioni di Blair (che finirà poi con l'impazzire) lo scheletro narrativo è fondamentalmente costruito. Pochi eventi accadranno ancora nel corso del film: il test che stabilirà inequivocabilmente chi è umano e chi non lo è più, le conseguenti eliminazioni degli individui contaminati. Ma la tensione continua a crescere inesorabilmente, e non a causa delle trovate spettacolari, della straordinaria abbondanza di mostruosità, della "disgustosa evidenza"(9) in cui Carpenter decide di investire una parte importante di quel budget di 11 milioni di dollari che la Universal gli aveva concesso, e che non verranno ammortizzati. Tuttavia, nella costruzione della suspense Carpenter non può che rifarsi al genere. Il contratto che l'autore qui stabilisce con il suo pubblico implica che il testo risponda, oltre che alla logica della narrazione, dell'efficacia e del coinvolgimento, anche alla logica della verosimiglianza rispetto al genere.

È un problema con cui tutti gli autori americani che non rifiutano la loro discendenza hollywoodiana devono fare i conti. Non si tratta ovviamente di adeguarsi semplicemente a una struttura enunciativa in qualche modo codificata, ma di riferirsi a essa, incontrando le attese del pubblico, attraverso un uso critico dei procedimenti di genere. E così molto del cinema contemporaneo americano assume una qualche connotazione metalinguistica. Ma l'interesse metalinguistico sembra estraneo a Carpenter, che utilizza sì criticamente i meccanismi dei generi a cui fa riferimento, ma con l'unico scopo di rinsaldare il sistema delle attese. "La gente che viene a vedere i miei film sa in anticipo che deve succedere qualcosa. Il problema non è di sapere se qualcosa accadrà, ma quando accadrà..."(10). Quel quando riconferma ancora la tesi per cui è la dimensione temporale a strutturare i suoi film. Così Carpenter sfrutta il fatto che il pubblico conosce le regole del gioco, e reitera le attese.

Per fare questo, ancora una volta, impone ai suoi film una temporalità di estrema precisione, in cui le reazioni stesse dello spettatore, il Tempo della lettura, sono costantemente cronometrati.

Analisi particolareggiata di una sequenza. Questo schema strutturale si ripete anche all'interno delle singole sequenze. Eccone una verifica nell'analisi della scena in cui Mc Ready compie sui suoi compagni il test che permetterà di eliminare i replicati. Questa sequenza appare risolutiva dal punto di vista narrativo, in quanto permette di semplificare di molto l'intreccio dei sospetti reciproci tra i protagonisti, che aveva occupato tutta la parte centrale del film; e inoltre sembra avere una funzione catartica sullo spettatore in quanto produce uno smisurato crescendo di mostruosità e la loro quasi definitiva eliminazione. Dunque la sequenza è un po' il culmine del film, che dopo di essa si avvia lentamente alla conclusione.

La sequenza è costituita di 160 inquadrature (ecco la frammentarietà di cui parlavo prima) per lo più brevi, quasi tutte girate a macchina fissa. Non c'è musica. Nessun personaggio sembra privilegiato per quello che riguarda la focalizzazione se si eccettuano alcune soggettive e semisoggettive estremamente funzionali al racconto e quasi tutte di Mc Ready, eroe della storia. Il dialogo è rarefatto come al solito. Man mano che la suspense aumenta la durata delle inquadrature diminuisce e scompaiono del tutto gli altri codici (movimenti di macchina, dialogo ecc.).

Il ritmo temporale diviene il mezzo espressivo fondamentale. A condensare e organizzare maggiormente la resa drammatica contribuiscono anche alcune piccole ellissi non marcate, che quasi impercettibilmente eliminano gli elementi realistici ma non significativi, per offrire solo l'essenziale del racconto.

Nelle prime 18 inquadrature Mc Ready spiega il test che intende compiere. Uno degli uomini tenta di accoltellarlo, Mc Ready lo uccide. Questa morte awiene di fatto fuori dal film, suggerita ma non mostrata; infatti tra l'inq. 19 in cui Mc Ready spara e la 20 in cui l'uomo è già disteso a terra morto, c'è un'ellissi. Tale ellissi non è ovviamente dovuta a una reticenza nel mostrare la morte; viene semplicemente eliminato un evento che lo spettatore aveva già avuto modo di comprendere. Questo procedimento verrà utilizzato per 7 volte nel corso della sequenza con il risultato di un notevole addensamento semantico.

A questo punto inizia la vera e propria prova del sangue, introdotta all'inq. 23 da una lunga panoramica sui volti degli uomini mentre Mc Ready spiega cosa intende fare. Dopo aver legato i suoi compagni e aver raccolto un po' del sangue di ciascuno in alcuni recipienti, Mc Ready esegue la prova. In questa fase (dall'inq. 34 alla 49) i tempi di durata delle inquadrature si stringono moltissimo, scompare del tutto il dialogo, non c'è nessun movimento. La tensione cresce fino a quando l'uomo si dimostra incontaminato. Il test successivo sull'uomo che si rivelerà mostro viene introdotto da un gioco di sguardi (inqq. 52, 54, 56, 58) e dalle parole pronunciate da Mc Ready: "Adesso vi mostrerò quello che io già so" Ma prima dell'esplosione di effetu speciali Carpenter introduce una stasi narrativa (ecco quello spiazzamento di cui si parlava prima, per cui ciò che deve accadere viene posticipato il più possibile a tutto vantaggio della suspense). In questa stasi si esegue il test sul sangue dei due uomini morti in precedenza. Finalmente all'inq. 72 l'inevitabile accade. Il sangue di Palmer si dimostra contaminato. L'inq. 73 è un allontanamento in asse (che asseconda l'inevitabile sussulto dello spettatore), ma a questo punto, affinché la tensione cresca ancora bisogna introdurre una nuova attesa. Ed ecco, il lanciafiamme con cui Mc Ready vorrebbe uccidere il mostro che si sta manifestando in Palmer non funziona. Ci vorranno addirittura 51 inquadrature perché Mc Ready riesca ad azionarlo, 51 inquadrature in cui i personaggi e lo spettatore assisteranno a effetti speciali straordinariamente disgustosi nell'attesa che il nostro eroe risolva felicemente la situazione. Dopo questa vera e propria orgia di mostruosità la sequenza andrà lentamente risolvendosi con le successive prove sugli altri uomini non ancora contaminati, in un clima di ironia isterica da dopo shock.

È dunque la ritmata scansione del tempo diegetico, il quale condiziona quasi coercitivamente il tempo della lettura e l'attesa dello spettatore, a prevalere nella strutturazione di questo film. Nessun cedimento narrativo, nessuna elargizione neppure momentanea a funzioni extranarrative (di commento) o ad altri modi di narrare, ad altre temporalità (quelle più distese e dilatate caratteristiche di certo cinema della modernità). Il tempo di questo film è rigorosamente epurato da qualsiasi elemento che non sia pertinente alla narrazione. A questa densità temporale corrisponde un addensamento semantico dello spazio. Non solo tutto, o quasi, accade in un luogo unico e circoscritto, semplificando l'orientamento dello spettatore in favore della sua concentrazione, ma quello spazio è ripreso da vicino, l'azione riempie sempre il quadro, le inquadrature vengono raccordate in modo da eliminare dallo spazio filmico tutto ciò che non sia significativo. In generale si può dire che Carpenter si sforzi di eliminare dai suoi film ogni ridondanza, ogni rumore.

E un cinema che Bazin definirebbe di immagini(11), per nulla realistico. E infatti mancano quasi del tutto i Piani Sequenza. Proprio quest'economia di linguaggio fa accettare allo spettatore la finzione, rende in qualche modo verosimile una situazione che in sé di verosimile non ha nulla. Il film del '51 si comporta in maniera alquanto diversa, in esso la verosimiglianza è ottenuta attraverso una normalizzazione degli eventi attuata con l'uso continuo di serratissimi dialoghi sdrammatizzanti e ironici, e con l'aggiunta di situazioni tranquillizzanti come la storia d'amore tra Niki e il Capitano.

Alcune suggestioni riguardo la sostanza del contenuto. I contenuti dei tre testi consentono come abbiamo visto un'ampia, anche se naturalmente imperfetta sovrapposizione. Molto genericamente esprimono tutti e tre il concetto esteso di Alterità, che d'altronde costituisce il fondamento di qualsiasi racconto fantastico: "Il concetto di fantastico si definisce in relazione ai concetti di reale e immaginario", afferma Todorov(12). Oggetto del fantastico è l'irreale possibile. Ogni cultura ha ben chiaro il concetto del confine, del limite. Oltre il confine c'è la non cultura, l'assenza di un ordine, di leggi, di struttura. Oltre la frontiera culturale abitano esseri di cui è difficile per noi comprendere il senso. Ed ecco la caratteristica più evidente della "cosa": essa non ha forma né struttura. Muta continuamente (il tema della metamorfosi è molto sfruttato dalla letteratura fantastica) e imita la nostra struttura. Già qui etnocentrismo e xenofobia si combinano in un'ideologia forte e presuntuosa.

Ma nello specificarsi di questo tema i due film divergono. In Carpenter il rapporto In/Es è caratterizzato da una distanza invalicabile, una totale incomunicabilità. Nessuno dei personaggi tenta mai un qualche avvicinamento al mostro. Persino la Macchina da Presa per quanto non ci risparmi le descrizioni dettagliate delle aggressioni della "cosa", non tenta con essa nessun altro approccio. E la "cosa" che viene a noi e mai viceversa. Nel film di Hawks invece un personaggio tenta di mediare tra le due culture: è il dott. Carrington che viene dapprima deriso, e poi definito pazzo dai suoi compagni e dal film, fino a quando in un estremo tentativo di stabilire un contatto con l'alieno troverà l'inevitabile morte.

Ma è soprattutto nel finale che i due film mostrano divergenze ideologiche. Nel film di Hawks la cultura umana, la società con le sue regole e i suoi principi, risulta vittoriosa e il film ci riporta rapidissimamente all'equilibrio e alla felicità (nel matrimonio dei due personaggi e nel discorsetto edificante del giornalista). In Carpenter il film si chiude sul dubbio che è quasi certezza della sconfitta dell'umanità. È un finale aperto che riscatta a mio parere le eccessive semplificazioni di alcuni personaggi, e in particolare dell'Eroe: Mc Ready ha infatti tutte le qualità per uscire indenne e vittorioso da qualunque difficoltà, ma nel finale ritrova una dimensione umana, contraddittoria. Dunque nel film del '51 assistiamo a un'evoluzione da una situazione di parziale contatto, di scambio con l'Altro, a un netto ritorno all'equilibrio iniziale. Nel film del '82 invece la creatura aliena valica addirittura i confini dell'io, e questa invasione costituisce per i personaggi un evento inspiegabile e totalmente derealizzante; per tutto il film assistiamo alla crescente incapacità dei personaggi ad affrontare razionalmente il mostro, incapacità che non potrà che portarli alla sconfitta finale.

Cecilia Pennacini

 

 

 

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