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Torino Film Festival 1999Torino Film Festival - 1999
Retrospettiva John Carpenter
Prince of darkness (1987)

Cast : Donald Pleasence, Jameson Parker, Victor Wong, Lisa Blount., Dennis Dun, Susan Blanchard, Anne Marie Howard, Ann Yen, Ken Wright, Dirk Blocker, Jessie Lawrence Ferguson, Peter Jason, Robert Grasmere, Thom Bray, Joanna Merlin, Alice Cooper, Betty Ramey, Jessie Ferguson
Produzione: Andre Blay, Larry J. Franco, Shep Gordon
Musica originale: John Carpenter, Alan Howarth
Fotografia: Gary B. Kibbe
Montaggio: Steve Mirkovich

Perché parlare di Prince of Darkness in questa sede? Potrà sembrare una motivazione evanescente o nostalgica, ma il fatto è che si tratta del mio primo incontro cinematografico con Carpenter. Troppo giovane per essere folgorato da Halloween o The Thing, troppo vecchio per In the Mouth of Madness o Vampires. Da quel momento in poi ogni visione di Carpenter è stata, appunto, una "visione di Carpenter" - una consapevole presa di coscienza del mondo e dello stile del regista. Al tempo ero relativamente digiuno di stile, e mi piace ripercorrere visione e re-visione al tempo stesso.

Ritornare alla visione, dunque, vuol dire dimenticare che POD è stato considerato quasi all’unanimità da critica e pubblico un episodio minore, comunque trascurabile nella filmografia carpenteriana. Dimenticare il contesto produttivo ed emotivo in cui col senno di poi lo si può introdurre. La visione implica il coinvolgimento, il salto sulla poltrona, l’emozione di incontrare per la prima volta i meccanismi della paura, la poetica dell’assedio, l’uso consapevole e intelligente dell’immaginario di genere.

Dicono che POD sia derivativo. Può essere. Sicuramente c’è dentro un po’ di satanismo alla Exorcist / Rosemary’s Baby. Altrettanto sicuramente c’è molto Halloween e molto Assault on Precint 13. Prevedibile. Certo. Per chi ha alle spalle anche solo la visione degli ultimi due film citati, non ci sono grandi sorprese in POD. Ma proviamo a pensare ad un regista che si è appena scontrato per ben 4 volte (The Thing, Christine, Starman, Big Trouble in Little China) con 3 dei più grandi colossi di Hollywood (Universal, Columbia e Fox); a incassi mai soddisfacenti; a situazioni produttive in cui raramente il giudizio dell’autore era preso in considerazione. Il desiderio di tornare a piccole produzioni indipendenti doveva essere forte, ed ecco che Carpenter ritenta il colpo con POD prima e con They Live poi, affidandosi alla Alive Films. È chiaro che il film diventa come un nuovo punto di partenza, una sorta di ritorno alle origini che riprende (stancamente e inutilmente per alcuni) le tematiche dei primi film di successo.

Ma Carpenter non fa parte della schiera di registi postmoderni che strizzando l’occhio al pubblico gli spiegano "ehi! Stai guardando un horror film!". No, Carpenter, a suo modo, ha il respiro classico di un autore con i suoi temi e le sue ossessioni. Uno di quegli autori che (banalizzando) fa "sempre lo stesso film" (vorrebbe girare un western e ci riesce pienamente solo nel 1998 con Vampires). E allora torna il tema dell’istituzione che nasconde e insabbia (per 2000 anni la chiesa tiene segreta la presenza dell’ingombrante cilindro pieno di liquido verde), torna il tema dell’assedio da parte di un nemico quasi soprannaturale (tema codificato magistralmente dallo stesso Carpenter in Assault on Precint 13 e da Romero in Dawn of the Dead); un nemico che in ultima analisi è quella parte della società talmente abbruttita dal capitalismo e dalla coazione a consumare che alla fine si rivolta e divora il suo stesso habitat. Dunque, un anziano prete muore portando nella tomba un segreto apocalittico e Pleasance contatta lo scienziato Wong e il suo eterogeneo gruppo di studenti per studiare il misterioso cilindro custodito nella chiesa losangelina della Confraternita della Morte. La prima parte del film è costruita con una certa velocità, un overload di informazioni e presagi entomologici. Se la con la revisione si smonta il meccanismo, si può obiettare che i presagi sono abbastanza prevedibili, ma la sceneggiatura non è esattamente quello che conta in questo film. Il punto non è tanto l’interazione tra fede e scienza, chi si ferma a questo livello non potrà che trovare un testo privo di sostanza. Il montaggio e i movimenti della prima parte sono assolutamente funzionali allo scopo, informano e inquietano. Quando scende la notte, a nulla vale l’esercito di macchinari trasportati nella chiesa dai ricercatori: il male si è risvegliato, e muore dalla voglia di fare adepti. Uno dopo l’altro, gli sventurati vengono sottoposti al gargarismo infernale, mentre da fuori una silenziosa orda di fedeli (capeggiati da Alice Cooper!) assedia la chiesa. A turno, i protagonisti fanno uno strano sogno, che si rivelerà una trasmissione radio dal futuro. Il film è continuamente (e sapientemente) punteggiato da questa sequenza che si svela poco a poco fino al momento in cui comprendiamo il paradosso temporale innescato dal sacrificio della protagonista femminile. Il male si è incarnato in una delle studentesse, ingravidandola e invitandola infine a raggiungere il Padre al di là dello specchio...

Niente di eccezionale dicono i detrattori, e infatti nemmeno POD raggiunge gli incassi strabilianti di Halloween, vera e propria pietra di paragone (e probabilmente dannazione) di Carpenter. Ancora They Live e la Alive Films lascerà al suo destino il regista, sebbene il contratto iniziale fosse per cinque film. Ma entrambi i film girati per la Alive sono gemme di produzione indipendente che non sarebbero mai state accettate da Hollywood. Lo stesso Carpenter conviene che, se non avesse avuto il final cut su un film come POD, probabilmente gli studios avrebbero preteso dei protagonisti adolescenti (cominciava allora la tendenza inaugurata dai primi Nightmare a concepire l’horror come un genere dal target "giovane"). Possiamo estrarre un esempio di ingerenza degli studios nel lavoro di Carpenter da una sua considerazione su Memoirs of an Invisible Man, forse il suo film più martoriato in questo senso:

Suddenly they were trying to appeal to a family audience and I could never figure out why. All of a sudden it was family stuff. They wanted a family picture. There was one scene where Sam Neill dies by falling off the roof. The audience really dug it. You follow him all the way with a tight lens from the top of the roof right down to the street. The audience goes "yeah" and they said, "You have to cut that out, it’s too violent." I was like "what are you talking about?"
(Carpenter Tools - The John Carpenter Interview, by Anthony C. Ferrante, EON Issue 9.0 - October 2, 1998).

Carpenter vorrebbe lavorare con le major ma il suo istinto di sopravvivenza è più forte. Spesso dirige, scrive, monta, compone musiche, ma solo come autodifesa verso un mondo dove sceneggiatori, montatori e musicisti snaturerebbero la sua idea originaria di cinema. Per questo anche in un film che sicuramente non è dei più originali ci rimangono alcune immagini, alcuni flash visivi indimenticabili: l’avvicinarsi della mano di Satana attraverso lo specchio, l’ipnotica presenza di Pleasance, l’apparizione del cilindro, le sequenze dei sogni-trasmissioni radio, lo studente posseduto che canta Amazing Grace prima di trafiggersi il collo con un pezzo di legno (ooops! Troppo tardi, è uno zombi anche lui!). Quest’ultima sequenza in particolare è veramente tipica del sarcasmo di Carpenter, l’inutilità della speranza di redenzione tramite un tardivo richiamo dei valori da Official Hero (per dirla con Luca) che invece non possono più esistere.

Insomma, Carpenter come un allampanato Don Chisciotte che lotta - spesso perdendo - contro le leggi del profitto e del capitale. E, scusate se è poco, per questo resta sempre nel nostro cuore.

Pietro Izzo

 

 

 

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