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Torino Film Festival 1999Torino Film Festival - 1999
Retrospettiva John Carpenter
In the mouth of madness (1994)

Atti di forza
Dopo "In the Mouth of Madness": la fine del cinema fantastico?
 

1. La memoria smarrita

Dopo la seconda visione de Il seme della follia aumenta la sensazione del decentramento. Nel corso della prima visione eravamo come una platea remissiva di zappeurs posti di fronte ad una TV telocomandata da qualcun altro. Avevamo percorso quella che Umberto Eco, con la sua consueta passionalità, definirebbe "la manifestazione lineare del testo": il binario dello spettatore ingenuo, un sentiero pieno di soglie-trappola nelle quali cadere, senza porsi troppe domande, un viaggio intessuto di choc visivi percepibili ma non interpretabili (le inserzioni violente di immagini-flash a montaggio accelerato, così inconsuete nel cinema di Carpenter, da sempre maestro del cadrage). Avevamo intuito che i conti non tornavano del tutto, perché si era aperto un baratro tra ciò che percepivamo come impossibile (tutti gli eventi della storia, ma in fondo non siamo in un racconto fantastico?) e ciò che era inesplicabile (il modo di organizzare questi eventi). Alla seconda visione, tuttavia, i piaceri della visione ingenua si sono appannati. I1 visibile e il non visibile si sono scambiati le parti, il debole è diventato forte e viceversa. La violenza del visibile ha perso la sua forza: tutte le inquadrature del film sembravano invecchiate. E' cresciuta la sensazione di "avere già dato". Carpenter, da buon nostalgico apocalittico (espressione ossimorica?), cita (anzi divora e incorpora) stili e stereotipi della storia del cinema horror, facendoli precipitare in un magic box annichilente e para-televisivo (gli inserti flash-forward, per esempio, e in particolare quello legato alla visione di Julie Carmen, si possono concepire come dei veri e propri spot trailers del film che stiamo vedendo, improvvisamente immessi su questo canale da un'altra frequenza). La storia del cinema e la storia di una cultura non contano più nulla, sembra dirci Carpenter, mentre ostenta una partitura visiva eclettica che si pone esplicitamente come una summa testamentaria-profezia (una profezia per altro già compiuta: in quasi tutti i film di Carpenter, e soprattutto negli ultimi, l’Apocalisse è già avvenuta e quasi nessuno l’ha capito). Le immagini-cliché de Il seme della follia rappresentano la constatzione amara e "resistenziale" di una nuova modalità collettiva di sorseggiare le immagini: lo spettatore ha perso la memoria dell'originale, di ciò che si celava dietro l'immagine stessa. L'eclisse dell'originale conferisce uno spessore di realtà alla copia, e le immagini scontate di una letteratura da quattro soldi (si noti che l'espressione spregiativa è dello stesso Carpenter) prendono vita. Il punto centrale è dunque I'oblio. la perdita di una soglia. Non è un caso che il mistero della memoria involontaria. magnifica ossessione della narrativa della crisi del soggetto del primo Novecento, sia diventato un tema ritornante del cinema americano contemporaneo (da Angel Heart a Robocop, da Atto di forza a Johnny Mnemonic). Questa perdita ha proiettato la storia in un precipizio e ci ha lasciato un universo di immagini che sono la copia di un qualcosa che non c'è più. Che cosa gliene importa allo spettatore de 1I seme della Follia se Carpenter cita Lovecraft, Jack Arnold, Romero e persino se stesso? Il pubblico non ha più ricordi, non c'è più diacronia, tutta la storia delle immagini è stata srotolata su un video-piano sincronico, indistinto e globalizzante. Tutto è gi‡ stato visto (le creature dei libri di Sutter Cane sono già sulle copertine dei libri, e quindi sono già visibili prima del loro effettivo ritorno...), l'ebbrezza estetica, se ancora esiste, si prova non nella possibilità conoscitiva di una nuova immagine ontologica ma nello zapping-passaggio da un'immagine-simulacro all'altra, da un mondo possibile all'altro, da un testo all'altro. L'effetto intertestuale Ë la cifra domniante del cinema postmoderno, questo Carpenter lo spaeva da tempo, e di conseguenza ne Il seme della follia non si limita a ripeterlo, magari con i compiacimenti un po’ gratuiti di un McTiernan (Last Action Hero): piuttosto eredita il sano moralismo dei Padri (è l’ulitmo figlio legittimo del cinema classico, Cameron, Dante, Raimi & C. sono piuttosto dei nipotini dispettosi) e costruisce una parabola punitiva soffocante. Oggetto della punizione non può essere altri che lo Spettatore, e la sua possibilità di vedere. I1 film diventa un atto di forza esercitato sulla percezione e sulla coscienza dello Spettatore, entrambi amnesiche e intorpidite. Se il visibile perde la sua forza sovversiva, in quanto strategia omologante e divoratrice dell'immaginario contemporaneo, a guadagnare punti nella classifica dei perturbatori dell'ordine è il non visibile. Ne 1I seme della Follia Carpenter violenta lo sguardo dello Spettatore senza memoria (tutti quei lettori-ebeti di Cane che vagolano privi di senno blaterando un verosimilissimo "io vedo"), ma mentre lo fa, cerca di parlare a qualcun'altro (proprio come ne 1I signore del Male un'entità indefinita mandava dal futuro verso il nostro presente dei segnali video, per avvertirci dell'imminente Apocalisse). Carpenter vuole parlare agli spettatori del Non Visibile. I1 Non VisibÏle è ciò che si può leggere tra le righe, quel fuori campo rappresentato dal ricordo smarrito dell'originale. L'originale è la sorgente di tutte le immagini che oggi si sono costituite in mondo (Hobbs'end è solo l'inizio...), di tutte quelle rappresentazioni-spettacolo che si sono reificate auto-mettendosi in scena ("sono le immagini del passato a dirmi quello che devo scrivere", sostiene Cane). Così facendo, queste immagini hanno trasformato i soggetti, hanno alterato la coscienza della loro identità ( "quello clze non riesco a RICORDARMI è chi è venuto prima, se noi oppure il libro", dice un abitante di Hobb's End a John Trent). Il non visibile è una sfida: bisogna guardare dietro, occorre cercare il prima, re-individuare l'inizio. Se Carpenter, in Essi vivono, colorava questo invito con accenti di speranza (dal nero delle lenti - espressione sostanziale del non visibile - si poteva vedere ilfuori campo dell'Apocalisse, e il finale del film apriva un nuovo inizio di lotta), ne Il seme della follia il tono si incupisce: questa volta il Nero (quello schermo totalmente buio nel corso del viaggio verso Hobb's End) apre l'ingresso alla fine. John Trent potrebbe capire, e fermarsi, ma dorrne, e Julie Carmen, al volante, lo conduce verso un mondo possibile che di lì a poco diventerà l'unico mondo possibile.

2. Il sogno di un sogno

Carpenter quindi diventa più pessimista, ma anche più furente e stimolante. La ricerca di un nuovo inizio, sembra dirci, implica mille altre ricerche, e lo Spettatore anti-Cane non può sottrarsi. Se le immagini vivono di vita propria, allora bisogna ritrovare il loro creatore (e il film inizia proprio come una detection alla ricerca dello scrittore scomparso). Qual è la sorgente della rappresentazione, se il soggetto creatore, sia esso l'autore o lo spettatore (che ad ogni lettura ricrea sempre il testo), è scomparso? Abbiamo di fronte immagini che precipitano l'una sull'altra, tutte prodotte da atti enunciativi, ma l'enunciatore non c'é più, oppure fa parte del gioco della rappresentazione (Cane E’ un personaggio del suo romanzo). I1 trucchetto metanarrativo del romanzo che diventa realtà può accontentare lo Spettatore Ingenuo, ma è innocuo: è come se ci dicesse: "la realtà e finzione, la finzione è realtà, adesso lo sapete, andate a dormire". A Carpenter non basta più. Se la vita è soltanto il sogno di un sogno, come Carpenter ama ripetere spesso, citando (o ricreando?) una celebre frase di Poe, allora il problema risiede nel non farsi incantare e perturbare da questa galleria di specchi che ci intrappola gioco nel corruttore dell'infnito. La vera sfida risiede nella determinazione di una nuova domanda: chi è l'autore del sogno? Nel IV capiloio di Through the Looking Glass di Lewis Carroll, Alice vede in un bosco il Re Rosso che dorrne. Da questo evento, in sè poco significativo, nasce un'animata discussione tra la bambina e un altro strano personaggio di nome Tweedledum. Tweedledum dice alla bambina che in quel momento il re Rosso sta sognando di lei, e che se il Re smettesse di sognarla lei non esisterebbe più. I1 dubbio di essere solo un sogno fatto da qualcun altro non abbandona più Alice, nemrneno quando, alla fine del libro, capisce che il suo viaggio dietro lo specchio era stato solo un sogno. I confini tra i due mondi sarebbero a questo punto perfettamente ristabiliti se A 1 i c e non si ponesse un dubbio: chi ha fatto questo sogno? "Bisogna che sia stata io o il Re Rosso " dice Alice tra sé e sé, "è vero che lui faceva parte del mio songo, ma anche io del suo. E’ stato il Re Rosso, Kitty’ Tu ri sua moglie e lo dovresti sapere. Kitty, aiutami a trovare la soluzione!". Ma Kitty è soltanto una gatta, e non può rispondere ad Alice. La fine del racconto non consente al lettore di risolvere la tensione tra il reale e il possibile, e gli lascia soltanto una domanda senza risposta. La favola di un viaggio oltre lo specchio si conclude con un artificio narrativo eccentrico e illogico che riapre i conti con il reale e mette in discussione il principio d'identità (chi è Alice, e chi siamo noi? dove siamo adesso, da quale parte del mondo stiamo guardando o leggendo?). I1 punto interrogativo di Carroll sulla sorgente della rappresentazione, per essere posto dentro un film deve trovare una struttura narrativa pronta a riflettere sui presupposti della sua enunciazione, proprio nel momento in cui prende forma come mondo finzionale. La struttura deve stare dentro e fuori contemporaneamente, deve esistere (essere racconto) e al tempo stesso esibirsi e contraddirsi in quanto frutto di una rappresentazione. La metatestualità deve trasformarsi da giochetto perverso governato dal suo demiurgo (sul modello Nightmare — Nuovo incubo) a parabola terroristica sulla frantumazione della soglia. Carpenter, ne Il seme della follia, è un grande terrorista dell'enunciazione, ma parla per parabole, le sue bombe al tritolo sono a loro volta delle storie: storie che simulano (nella logica apocalittica della profezia, delI'avvertimento) la loro decostruzione e il collasso del soggetto. All'interno di un modno testuale pieno di soglie imapzzite (e quindi frantumato in infinit mondi possibili equipollenti), Carpetner costruisce dei modelli che descrivono e intepretano quanto avviene al di fuori del racconto e dietro di esso, al livello del processo enunciativo e della fruizione spettatoriale empirica. I1 terrorismo (simulato ma tutt'altro che innocuo) del paradosso metanarrativo denuncia una sparizione, o quanto meno un'assenza parziale: il testo simula la scomparsa di un'istanza enunciativa capace di sorvegliare la logica del racconto. I1 modello metatestuale esprime un messaggio forte e chiaro: le storie (rappresentazioni della Storia) e le immagini non hanno più un autore e uno spettatore coscienti, e per questo le soglie logiche che dividevano il reale dal possibile (quel confine morbido ma tangibile che`secondo Todorov garantisce al fantastico la sua inquieta esistenza, distinguendolo dallo strano e dal meraviglioso scivolano l’una sull'altra in maniera fluida. Il racconto diventa una voragine senza fondo, simile all'alienazione della droga o della psicosi, si trasforma in una spirale che ad ogni svolta mangia pezzi della propria fabula (e con essi anche i personaggi: dove va a finire Julie Carmen?), anticipa gli effetti sulle cause ("Ë un modo stupido di finire un libro", dice Trent a Cane all'inizio del film). Inoltre questo racconto prossimo al cortocircuito cambia in continuazione le reciproche relazioni di identità tra i personaggi e modifica il loro ruolo testuale. Trent, ad esempio, passa da Narratore di Secondo Grado (all'inizio racconta la sua storia in flash back), a Narratario (in quanto detective pseudo-chandleriano chiamato a ri-leggere le tracce di una storia già compiuta), a Personaggio di Secondo Grado (cioé personaggio di un personaggio), a Spettatore. Tutte queste strategie emanano da una sola idea strutturale, lucida e inconcepibile (Carpenter l'ha definita "demente"): raccontare la stesura di un libro che ha per argomento la sua stessa stesura e che mentre prende forma diventa anche un film, anzi IL FILM, quello che stiamo vedendo e che John Trent rivede dalla sala, nel finale, dopo avervi recitato da protagonista. L'intuizione di Carpenter risiede nel voler rappresentare l'estasi impazzita della rappresentazione, il gioco isterico di una messa in scena che non fa in tempo a dichiararsi come tale, perché mentre lo fa e già soverchiata da un'altra messa in scena, paradossalmente identica, che la ingloba. La rappresentazione copia se stessa, la realtà (la morte, la violenza. la paura, l’attrazione sessuale...) sembra non essere mai esistita. In fondo la temporalità frequentativa del macro-racconto televisivo sottintende la stesa logica: costruire un testo da tanti frammenti di altri testi, un testo senza autore, privo di soglie iniziali e conclusive, fatto di immagini-simulacro prive del ricordo dell'originale.

3. Il nuovo cinema americano: una triplice sparizione

Carpenter non è un terrorista isolato, ma il portavoce (autonomo) di una tendenza generazionale. Antoine De Baecque ha recentemente individuato nella prassi reiterata della "sparizione" la strategia linguistica dominante del nuovo cinema americano (cfr. Coupés-recollés, "Vertigo", n. 11-12, 1994, p. 147-154). I1 concetto di sparizione opererebbe, nei testi di autori come Dante, Burton, Cameron e Craven, su tre livelli: la sparizione della sceneggiatura (la storia è insidiata dallo show, come in Batman ll o da salti di discontinuità che simulano le esperienze fruitive dello zapping), la sparizione dell'omogeneità dell'immagine (che diventa polimaterica ) e la sparizione della materialità dei corpi (il corpo diventa un riflesso, una metafora, il luogo sperimentale di una nuova rappresentazione: si pensi-solo a Robocop, Terminator, La morte ti fa bella, L'armata delle tenebre). I1 nuovo cinema americano, secondo De Baecque, non si limita a simulare questa triplice sparizione, ma la indica dentro il testo, con regolari e traumatiche operazioni metatestuali (possiamo citare la distruzione della pellicola in Gremlins II, o la struttura disnarrativa del videogame in Ricomincio da capo ecc.). La triplice scomparsa individuata da De Baecque può anche aiutare a chiarire le incerte sorti del cinema fantastico: se il fantastico è per definizione la violazione-sospensione di una credenza, la sfida all’ordine cosituito delle cose, non possiamo allora includere nell’espressione ordine acettato anche le regole canoniche della rappresentazione, con i suoi prinicipi di credezna e verosimiglianza, con le sue convenzionali configurazioni enunciazionali? Il fantastico cesserebe di essere un angusto repertorio tematico (la tradzione fantastica ha prodotto una cosmogonia ormai sfinita), cessa persino di essere una tensione tra il reale e il possibile: diventa una sospensione o perversione di tutte le strategie narrative e visuali che possono rappresentare la tensione stessa. I1 cinema fantastico tradizionale plasmava mondi possibili difficilmente comprensibili dalla logica, ma facendo appello alla generosa flessibilità dello spettatore e affidandosi ad un plot apparentemente coerente trasformava quei mondi possibili in mondi accettabili, distinti dal nostro mondo dal soffio (o dall'abisso) di una solida soglia. I1 cinema fantastico contemporaneo, al contrario, costruisce mondi possibili ancora più inconcepibili dei precedenti, ma mentre produce questi mondi indica anche allo Spettatore che questi mondi sono totalmente incomprensibili. I1 racconto non mantiene più la distinzione delle soglie, e l’inconcepibilità dei mondi impossibili contamina il nostro mondo, al di qua della soglia. L'intreccio non sa più spiegare e risolvere le tensioni tra il possibile e la realtà, e di conseguenza si dichiara anche incapace di offrire allo Spettatore un principio di autenticazione del reale, un'opportunità di veridizione: tutto può essere falso, quindi, anche da questa parte della soglia. I1 nuovo cinema americano, dunque, è fantastico non perché descrive la tensione tra i mondi paralleli, ma perché riflette sui modi di rappresentazione di questi mondi, e arriva a mettere in discussione la possibilità stessa della loro rappresentazione, quindi della loro comunicazione. e quindi, in ultimo, della loro stessa esistenza. L’opzione estetica più suggestiva di questo cinema della triplice sparizione risiede nel cosiddetto dyna-movie, espressione di un cinema della velocità esponenziale, della dazna vertiginosa delle immagini polimateriche, frullata in un mix visivo che violenta l’occhio dello spettatore imponendosi sul racconto stesso, affidato a distratti o diabolici sceneggiatori (è casuale che il supervisore dello script di Last Action Hero abbia rivendicato ben novanta volontari errori di continuity nella costruzione della struttura narrativa?). L'esito più alto di questo cinema come pratica esplicita della menzogna (o meglio della verità introvabile), come film che racconta la fiction e al tempo stesso parla della sua imminente decostruzione (per rinascere in un nuovo macrotesto, congerie babelica di mille modalità e strategie tecnologico-narrative di rappresentazione) è forse rappresentato da Natural Born Killer, concepibile in quest'ottica come il miglior film neo-fantastico degli anni Novanta. Ma non esistono solo i dyna movie: molti film amplificano il progetto di disnarrazione intervenendo sulla logica temporale dell'intreccio con ristrutturazioni circolari o spiraliformi. In Terminator 2 un robot proveniente dal futuro (che è il presente, visto che il film inizia da lì) deve ucci?dere nel passato un bambino che è. nato, nel film precedente, dall'unione tra una donna di quel passato presentificato dali'imma,o,iI,$e filmica e un uomo del futuro. Il futuro tuindi Ë il presente, perÚ paradossalmente lo si puÚ modificare da un passato cile non c'Ë più (il nostro, guarda caso). I1 racconto rischia il corto-circuito, ma Cameron non insiste più di tanto e il gioco regge. Altri film riflettono invece sulla propria struttura precaria modellizzando la vittoria di un Personaggio che sta oltre la soglia (cioè fa parte di un mondo possibile inconcepibile). In Shining i fantasmi di Grady e Lloyd liberano Jack Torrance dalla dispensa-freezer. In Mister Hula-Hoop 1' angelofantasma di Hudsucker blocca letteralmente la pellicola e salva Tim Robbins dalla morte. L'intervento imprevisto di questi Personaggi Impossibili (sulla carta sono delle innocue rappresentazioni di secondo grado, cioé frutto di allucinazioni o di stereotipate codificazioni culturali, come nel caso dell'angelo o in quello della fata di Cuore Selvaggio) non fa che aggravare la crisi storica dell'intreccio. In tutti i casi citati il racconto era giunto ad una fase di impasse, e una logica obbediente alle leggi di un mondo possibile concepibile avrebbe imposto la fine del film. Ma il racconto, in questo nuovo cinema, è debole, e può essere tranquillamente risolto dall'interno, dai suoi stessi personaggi, nel modo più irrazionale, riflesso narrativo di una più generale incapacità di razionalizzare il reale. "Quando non si vede più la differenza tra fantasia e realtà", dice Sutter Cane ne 1I seme della follia, "le creature del passato possono cominciare il loro viaggio di ritorno". Allora quei fantasmi non sono altro che dei personaggi vogliosi di rivendicare la loro inconcepibile autonomia di esistenza rispetto all'intreccio. L'atemporalità del fantasma inghiotte la temporalità lineare del racconto, giunta all' impasse, e la trasforma in un precipizio labirintico.

4. Ricostruire le soglie

Carpenter riesce a collocare sul solco di questo cinema del]e "sparizione" i temi ossessivi della sua poetica apocalittica, ma lavora sul tempo in un'accezione ancora diversa: vuole far urtare il tempo del narrato con il tempo del narrante (1' atto della scrittura, e contemporaneamente il tempo, continuamente alluso, del tournage). L'esito finale, molto più radicale e intossicante, ad esempio, della pseudo-circolarità di Pulp Fiction, è lo sgretolamento non tanto dell' intreccio quanto della fabula. Lo spettatore non è assolutamente in grado di ricostruire (nemmeno alla seconda visione) un tempo progressivo-lineare, logico e cronologico, del racconto. I registri temporali si complicano quasi subito: il flash back è il primo segno (ancora classico, anche se, come sostiene Metz, il flash back è già un film nel film, una messa in abisso della rappresentazione). I1 cedimento irreversibile nasce dal viaggio a Hobb's End.. Non è casuale che il viaggio si compia di notte: la notte (almeno da Fuori orario, senza dubbio il miglior film horror degli anni Ottanta) è l'anticamera della follia del tempo. Dopo Hobb's End il racconto non sarà mai più lineare e progressivo. Il momento più audace della manipolazione temporale è raggiunto nel momento in cui Trent apprende di avere consegnato il libro maledetto di Cane due mesi prima. La parallessi narrativa (omissione di informazioni) copre un buco nero nel quale muoiono congiuntamente la credibilità del protagonista (ha provocato un'apocalisse che si è già compiuta da mesi, e nemmeno se lo ricorda...) e la coerenza del racconto. E allora sorge un'ultima domanda: dov'è l'inizio della fabula, quando comincia la storia? Forse quando Trent comincia a indagare su Cane? Ma Trent non è un personaggio di Cane? Allora potrebbe cominciare dal momento in cui Cane scrive il suo libro, ma Cane inizia a scrive il libro e lo conclude sempre all’intenro del suo stesso libro, proprio quel libro che nella prima inquadratura è già cominciato da un bel pezzo. L’Apoclaisse trova la sua sublimazione più persuasiva nel concetto narrativo di Finale, anzi potremmo dire che l’Apocalisse consiste "semplicemente" nell'ultima parola di un libro senza narratore: oltre quell'ultima parola (che noi spettatori non leggiamo) non c'è più nulla (e in fondo di che cosa parla il libro "I1 seme della follia", un libro senza racconto, se non delle avventure di un lettore che si avvicina alla fine di un libro?). La fine dell'atto narrativo e del suo locutore non sono altro che la fine di una civiltà intera, disumanizzata al punto tale da darsi in pasto a storie e ad immagini incontrollabili. Questo crollo del tempo raccontato consente a Carpenter di mettere in scena una concezione spazializzante del tempo, e quindi sincronica. Lo spazio dell'inquadratura (come accadeva nelle stanze dell' Overlook Hotel di Shining) accoglie il passato, il presente, il futuro (sotto la locandina del penultimo romanzo di Cane è già pronta, sin dall'inizio, la locandina del film Il seme della follia: tutto è già accaduto, eppure sta accadendo adesso), Carpenter, maestro delle inquadrature forntali, ampie, lungofocali, può esprimere il meglio delsuo talento di cadreur. Il seme della follia è un film che forse per il aftto di avere una Fie onnivora e ipertrofica (riuscite a ricordare quanti fianli di testi e di metatesti si accumulano nell’ultima sequenza?) è privo di un inizio capce di dare un senso preciso al finale stesso. Non comincia mai, e finisce sempre. La conclusione del film non è un finale aperto (come potrebbe essere quello di Atto di forza, dopo l`esplosione della cupola di vetro: non sapremo mai chi e e chi è stato veramente Quaid), ma è un finale sull'Aperto (proprio, ancora una volta, come la foto di Torrance nell'ultima inquadratura di Shining). La fine non chiarisce nulla, ma indica nuovi enigmi irrisolvibili, e punta lo sguardo verso un vuoto invedibile (tematizzato da Carpenter nell'abisso non filmabile dei mostri dietro la pagina bucata). Dietro questo punto interrogativo c'è una domanda di non poco conto, che si confonde con le origini stesse della narrativa occidentale. La Bibbia non era forse un racconto tramandato da uomini autodefinitisi come personaggi creati abitanti di un mondo creato che avevano avuto la smisurata ambizione di raccontare anche la loro creazione, inglobando dentro il mondo da essi agito la presenza sensibile del loro creatore? Quando abbiamo cominciato a narrare, cioé a creare, abbiamo voluto a tutti costi tematizzare un narratore dal quale dipendere, un'istanza enunciativa pronta a definirci come semplici atti della sua enunciazione. I1 paradosso non risiede ovviamente nell'avere postulato l'esistenza di un Dio ma nell'avere raccontato una storia che nelle intenzioni (in principio.fu il verbo) doveva essere una parola senza locutore. La creazione, al di là di ogni implicazione religiosa, è diventata la resistente metafora di una vertiginosa fuga narrativa alla ricerca del primo livello enunciativo. In fondo la religione ha garantito un compromesso tra il desiderio di concepire narrativamente l'Universo del primo creatore e l'ontologica impossibilità di questa concezione (le cose esistono già, però Adamo, quando le nomina, in un certo senso le fa esistere "ulteriormente"). Trent è un personaggio che ha cercato di concepire il mondo del suo creatore senza il salvataggio estremo del compromesso religioso (a nulla servono quelle croci che si disegna sul viso...). Si è sforzato di trovare il punto di origine della sua rappresentazione, con il fine prioritario di modificare il proprio destino. Ma non ce l'ha fatta, nonè riuscito a uscire (la sua macchina torna sempre al punto di partenza). Ha fallito perchè non sapeva di essere già agito da qualcun altro, non si era reso conto di essere già stato reificato dentro una messa in scena senza artefici. Carpenter è un pessimista, ma è anche un combattente, a suo modo persino un rivoluzionario. Per questi motivi, il gioco metatestuale de 1I seme della follia va forse letto come un'ammonizione estetico-politica contro i cantori post modernisti del declino degli affetti e della perdita del SÈ. Ruggero Eugeni [Invito al cinema di Kubrick, Milano, Mursia, 1995, p. 104] interpreta la fuga del piccolo Danny in Shining come il frutto di una volontà determinata: smascherare la rappresentazione. "Alla fine ", scrive Eugeni, "Danny si salva voltandosi indietro e camminando all'indietro nel labirinto (...): il gesto mimato Ë quello dello spettatore che si volta indietro, scopre ilpunto di origine della rappresentazione e vi si sottrae". I1 senso della sfida sta tutto in quel gesto. Dobbiamo ricercare le fonti della rappresentazione, individuare gli autori della narcosi prodotta dai simulacri, e poi iniziare a ricostruire le soglie. Bisogna ricominciare a viaggiare, nel senso di guardare qualcosa da un punto d'inizio, e bisogna farlo in fretta: i sogni dei sogni, anche quando coincidono con una vita intera, sono brevissimi. E poi, forse, il mondo è ancora pieno di soglie credibili, e tutte le soglie, da sempre, invitano al viaggio.

 

Silvio Alovisio

 

 

 

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