Home Page

| News |

Reporter | Links | Chi siamo | Contatti

Reporter

Torino Film Festival 1999Torino Film Festival - 1999
Retrospettiva John Carpenter
Fog (1980)

Per approfondire i meccanismi del cinema carpenteriano appare utile riprendere le categorie aristoteliche della tragedia: unità di luogo, tempo ed azione. Carpenter lavora sull'organizzazione di queste componenti, spingendole al parossismo della forma "chiusa", "circolare", amplificando così le modalità espressive di claustrofobia ed angoscia, senza ricorrere drasticamente allo splatter o a sequenze di violenza esibita, non necessaria. L'azione presenta, come suggerisce Gariazzo[1], il carattere dell'ubiquità in "una concentrazione del luogo narrativo... unità di luogo infinitiva", e si basa sulla funzione catalizzante del montaggio alternato. Tale simultaneità d'azione consente a Carpenter di rappresentare il tempo presente della storia, da prolungate dilatazioni (fin dai lunghissimi titoli di testa) strutturate su lente panoramiche ad accelerazioni improvvise marcate dall'irrompere del suono, puntuale indicatore dei momenti climax della messa in scena.
Lo svolgersi degli eventi è preceduto e attraversato dalla forma racconto. La forma racconto reiterata è fondamentale per produrre il tempo e lo spazio filmici, circoscriverli in una sorta di formula sempre uguale a sé stessa e che può ripetersi all'infinito, che stilisticamente si identifica in un'ambigua moltiplicazione del soggetto enunciativo, lo sguardo di Carpenter dietro la mdp.
L'effetto del racconto è legato alla fascinazione esercitata dal narratore sugli ascoltatori-spettatori, introducendoli al piacere della dimensione fantastica. Come suggerisce Bettetini
[2] a proposito di racconti di suspense: "il narratore non vuole produrre nell'ascoltatore un atteggiamento di distesa contemplazione del mondo raccontato, ma lo vuole coinvolgere emotivamente come se il mondo del racconto entrasse in quello dell'allocutore, o, meglio, come se l'allocutore entrasse proiettivamente in quel mondo". All'inizio del film lo spettatore si trova nella stessa condizione: acconsentire al progetto del narratore, consenso da cui scaturisce "il piacere, gratuito e disancorato, da ogni principio di realtà". Spettatore ridotto a un ruolo vuoto, a una pura capacità visiva che è invitato e costretto a identificarsi con il soggetto narratore. Disposizione psicologica suggerita dalla citazione iniziale di Edgar Allan Poe: "tutto ciò che vediamo e crediamo vero non è altro che un sogno dentro un sogno?". Si esclude nettamente ogni ipotesi di realtà, e si entra nelle innumerevoli scatole cinesi, i racconti del film. La possibilità onirica è evocata dalla stessa Wayne nell'epilogo: "ma se tutto questo non è stato solo un incubo...".
I racconti fondamentali sono quattro, ma potrebbero essere molti di più: quello del vecchio pescatore sulla spiaggia; il diario scoperto da padre Malone; il resoconto radiofonico di Stevie Wayne; il racconto di Nik ad Elizabeth.
Nel primo racconto la nave di lebbrosi "Elizabeth Dane" è spinta al naufragio, se ne precisa la data, il giorno, il ventuno aprile, perfino l'ora, cinque minuti alla mezzanotte. Nella prima immagine del film vediamo un orologio (icona che riappare durante il film altre volte che si riferisce egualmente al tempo diegetico e al tempo rappresentato) che segna cinque minuti alla mezzanotte. L'evento spaventoso che sta per esser narrato è già circoscritto, con l'apparizione dell'orologio che annuncia chiaramente un discorso sul tempo, enunciato nei pochi minuti iniziali, quasi una sorta di piccolo film che anticipa, riassumendone atmosfera (le scelte cromatiche di tutto il film) e successione d'eventi (reiterazione del modello: evento legato allo svolgersi di un tempo chiuso, le ventiquattr'ore scandite dalla trasmissione radio), la storia seguente di Antonio Bay, e, si chiude con un bellissimo movimento della mdp verso l'alto sopra la testa del vecchio Machen.
È indicativo che i quattro racconti citati siano sostanzialmente uguali l'uno all'altro. Infatti, la narrazione del vecchio pescatore Machen - nome che peraltro richiama lo scrittore inglese omonimo, famoso per i suoi racconti del soprannaturale - è l'anticipazione, come già detto, di ciò che accadrà alla piccola cittadina. D'altra parte, anche il diario ritrovato da padre Malone, contiene lo stesso resoconto. E la storia narrata da Nik esordisce, a proposito dell'inspiegabile fine dell'equipaggio del Seagrass, con le parole "questo è già successo". Il peschereccio Seagrass, sebbene non sia affondato, mostra chiaramente i segni di una lunga immersione in mare e perfino il cadavere ritrovato è apparentemente annegato da molti giorni invece che da poche ore. Questa molteplice "presenza" dello stesso racconto dentro il testo non fa che rafforzare, grazie a una dilatazione temporale, l'ineluttabilità di un evento, il ritorno dei lebbrosi per la vendetta, "sei persone dovranno morire", che assume la tipologia di processo naturale (naturale come la nebbia), meccanismo di forze oscure la cui azione deve esplicarsi comunque, e, in tale processo si perde ogni ipotesi di logica e razionalità. Come dire che lo spettatore, di fronte a tale potenza dell'Evento, soggiace completamente, abbandonandosi alla sensazione ipnotica, la luce pulsante della nebbia, dimenticandosi completamente i riscontri di verosimiglianza riguardo personaggi ed azione.
Non è neanche casuale che le altre due forme racconto, siano legate ai due personaggi, padre Malone e Stevie Wayne, dei quali Gariazzo
[3] sottolinea la contrapposizione operata da Carpenter già nella seconda sequenza in cui il regista stesso compare nel ruolo del sacrestano Bennett, dove le prime immagini della chiesa sono accompagnate dalla voce radiofonica di Stevie. I personaggi Stevie e Malone corrispondono ad atteggiamenti opposti. Da una parte la soggezione rassegnata del prete al destino: "tanto è inutile nasconderci, ci troveranno ugualmente, siamo maledetti". Un destino che si fonda sull'assunto dell'eredità del Male, il peccato "originale", secondo la tradizione cattolica, è trasmesso da padre in figlio. Padre Malone è figlio della Colpa, è il diretto discendente del nonno assassino, che ha nascosto i suoi peccati in un muro, e su Malone si compirà dunque la vendetta. Ma non solo, perché "Antonio Bay è un paese maledetto e i suoi abitanti non hanno scampo". Dall'altra parte Stevie è un elemento di alterità rispetto all'assunto della colpa da espiare. Stevie è la purezza, la reazione ostinata e coraggiosa alle forze del male, è anche la testimone parlante di un evento ineluttabile, incarna la forma racconto, la cronaca radiofonica dell'assalto dei morti viventi. Dall'alto della sua postazione radiofonica continuerà a collegarsi direttamente con le vittime assalite dalla nebbia, cercando di sottrarle al pericolo, ma inutilmente.
I fantasmi di Blake sono innanzi tutto dei vendicatori, in fondo vogliono solo sei morti, eppure iniettano il virus del morto vivente, tipico aspetto degli zombies, le cui vittime si trasformano in altri zombies, tipologia cara al vampirismo. Tanto è vero che uno dei tre pescatori, assassinato dai fantasmi, giace sul lettino dopo l'autopsia, apparentemente morto, poi improvvisamente si rianima, per unirsi all'orda di vendicatori. La nebbia, fenomeno visibile, materializzazione del male che deve vendicarsi, non riguarda soltanto la popolazione di Antonio Bay, ma il genere umano intero, e Stevie conclude la sua parte, proprio nella sede della radio, rivolgendosi a tutti, supera quindi il limite verosimile di propagazione delle onde radiofoniche, avvertendo sulla pericolosità della nebbia e l'incitamento, per tutti, a stare in guardia in futuro: "dalla nebbia è uscito qualcosa che ha cercato di distruggerci... da questo momento nessuno andando a letto sarà sicuro di svegliarsi vivo, scrutate l'oscurità, la nebbia è in agguato". Un evento particolare diventa così universale, segno chiaro per tutti che quello che è accaduto agli abitanti di Antonio Bay può accadere agli abitanti di qualsiasi cittadina, perché tutti nascondono segreti, scheletri nell'armadio, e prima o poi verranno fuori, come il diario di Blake e i suoi fantasmi.

Luogo. Antonio Bay è lo spazio circoscritto, delimitato, dal quale è impossibile sfuggire. In questo caso l'assedio, tanto esplicito in "Assault on precinct 13", non dipende da una forma del luogo, ma potremmo dire dallo spazio tempo. La maledizione si compierà in quel preciso luogo, Antonio Bay, e in quel preciso tempo, cinque minuti alla mezzanotte del ventuno aprile, a distanza precisa di cento anni dalla fondazione della cittadina. Antonio Bay è la dimensione spazio temporale in cui si verificherà l'evento. Questa modalità rappresentativa trasmette la sensazione di impossibilità a sfuggire, perché i personaggi sono già dentro la gabbia spazio temporale, si può dunque sfuggire da un luogo, ma non da uno spaziotempo in cui è inclusa l'esistenza dei personaggi coinvolti e già condannati. E padre Malone stesso, sembra consapevole dell'impossibilità di sfuggire, di organizzare una reazione al suo incontrovertibile destino di morte. Il perché Blake, "perché solo cinque Blake, perché io no?", ed i suoi lo hanno lasciato vivo diventa così impensabile, una possibilità impossibile. Non è possibile, tanto più che i fantasmi ribadiscono il conteggio facendo apparire il numero tre, ed, infatti, i conti presto torneranno, nel finale, concepito, suggerisce Enrico Ghezzi
[4], "come gratuita esibizione di virtù cinematografica: una decapitazione che taglia la testa al toro della verosimiglianza, uno scherzo perfettamente ammissibile, che risponde subito alla domanda che ogni spettatore attento stava già formulando in cuor suo o nella sua testa".
Per analizzare i rapporti col luogo è bene soffermarsi sui movimenti della mdp. Più che un'esplorazione, Carpenter tende ossessivamente a fissare le coordinate dei luoghi filmabili, isolandoli dagli altri luoghi con stacchi decisi, dagli spazi che verosimilmente separano ed uniscono questi luoghi. Spazi che Carpenter filma sottolineandone la vacuità, spazi vuoti in cui si materializzano i fenomeni misteriosi, la frantumazione dei vetri, lo scattare improvviso dei clacson delle auto, e perfino un distributore di benzina che si aziona da solo rovesciando sul selciato litri di carburante.

nero assoluto. L'oscurità della notte avvolge luoghi e personaggi. Elisabeth e Nick, che si muovono in auto sono circondati dall'oscurità, e il mare ripreso dal faro è oscuro, illuminato soltanto da un fascio di luce lunare. È dal nulla, dal vuoto, da quello stesso spazio invisibile che origina la nebbia, che è anche luce che sortisce improvvisamente dal buio. È la prima dissolvenza in nero che chiude la prima parte, ambientata di notte e dal nero in assolvenza il film continua con la scena di giorno, ancora un'apparizione, la luce porta sempre con sé un elemento-presagio, ed, infatti, il bambino Andy ritrova il relitto di legno, l'iscrizione della Elizabeth Dane.

Bianco/Nero, Luce/Oscurità. È in questa ambigua associazione che il protagonista atmosferico, la nebbia, si produce come evento perturbante. L'oscurità veicola la luce, attraverso il bianco della nebbia. Bianco e luce sono un cortocircuito della percezione che coglie contemporaneamente i due opposti cromatici. Avvolti nell'oscurità delle immagini, la luce non si configura come possibilità di illuminazione. La luminosità ossimoricamente diventa sinonimo di oscuro, di sconosciuto, ciò che vediamo, infatti, non è quello che sembra (come nella citazione da Poe). La nebbia, nella sua luminescenza, che si oppone, si diffonde nell'oscurità è un processo già ripetuto nel passaggio narrativo dal nero della notte al bianco del giorno e poi di nuovo la notte. Dalla luce proviene l'oscurità spaventosa delle ombre nere, così l'apparizione della nebbia è un fenomeno ancora più terrificante, giacché la sua luce porterà ineluttabilmente soltanto tenebre.


 



[1] Giuseppe Gariazzo, in John Carpenter. La visione oltre l'orrore, Roma, Stefano Sorbini Editore, 1995, p. 54

[2] Gianfranco Bettetini, Tempo del senso, Milano, Bompiani, 1994, p.124 e ss.

[3] Giuseppe Gariazzo, in op. cit., p. 58

[4] Enrico Ghezzi, Paura e desiderio, Milano, Bompiani, 1995, p. 132-3

Andrea Caramanna

 

 

 

| Reporter | Links | Contatti |
| Free Cinemah | NearDark | HyperDark | Lavori In Corso |
| Gli Spostati | VideoSofia | CineForum | GiàCarta | ClipArt |
| Chapeau | Ponti | Godard Tracker |
| Home Page |