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Torino Film Festival 1999Torino Film Festival - 1999
Retrospettiva John Carpenter
Assault on precinct 13 (1976)

La battaglia di Los Angeles 

"Un marxista non può considerare la lingua una sovrastruttura al di sopra di una base"
(Iosif Visarionovic Dzuvasvili detto Stalin)

America 1976. La cronaca di un massacro dalle parti di West L.A.

Assault on precinct 13 esce in clima di Blaxploitation, e come scriverà Enrico Ghezzi qualche anno dopo, vale come una dichiarazione d’intenti: "Per Carpenter, come mai prima di lui nella storia del cinema, esiste solo il cinema. Solo altro cinema e altra pellicola vi si intersecano dentro"(1). Di questa aderenza del cinema al cinema renderemo conto più avanti; per ora, diciamo che Assault è un film classicamente concepito che paga il tributo alla modernità con un’offerta di immagini violente, addirittura brutali. E’ bene introdurre in breve gli elementi che derivano dalla scena black-oriented; il capostipite dei film "neri e arrabbiati", Sweetheart di Melvin Van Peebles, è del 1971, così come il più celebre Shaft, di Gordon Parks Sr. Ora, Van Peebles e Parks Sr. sono registi di colore, e si rivolgono inizialmente ad un pubblico di afroamericani: ma in un secondo tempo, il successo commerciale di queste pellicole include un’audience più vasta, sino a che lavorano nella Blaxploitation registi bianchi. Il terzo Shaft, nel 1976, è diretto infatti da John Guillermin. Assault recepisce quanto di più autentico ha offerto questo popolarissimo filone; tanto per cominciare, la canzone sui titoli di testa (You can’t fight it, scritta dallo stesso Carpenter) richiama i fortunatissimi hit di Isaac Hayes (Shaft) e Curtis Mayfield (Superfly). A scorrere poi la lista degli attori presenti in Assault, si trovano ulteriori conferme: Austin Stoker (il tenente Bishop) ha affiancato l’icona Pam Grier in Sheba baby, mentre Tony Burton (Wells) ha interpretato numerose pellicole di genere come The black godfather(2).

L’impianto narrativo di Assault, peraltro, ha più di qualche assonanza coi film del Ghetto: non è infrequente nel cinema americano del periodo il riferimento esplicito alla violenza urbana, alle azioni efferate delle bande. Naturalmente Carpenter depura il racconto da tutte le componenti di genere (quelle, per così dire, più "folcloristiche") che ne appesantirebbero la struttura essenziale.

Non pochi analisti hanno attestato la predilezione di Carpenter per un regime di scrittura classico. Quando si fa riferimento alla classicità di Assault si deve pensare in primo luogo ai due caratteri oppositivi in azione: Ethan Bishop, l’Eroe, retto, responsabile e rassicurante; "Napoleone" Wilson, l’Antieroe, pericoloso criminale. Questa coppia ripropone esattamente i ruoli dell’official hero e dell’outlaw hero, in uso nel cinema hollywoodiano soprattutto negli anni Trenta e Quaranta. Il genere western, in particolare, ha impiegato largamente questi caratteri, come si può vedere in centinaia di film, da Stagecoach fino a Rio bravo, ed ancora in quasi tutta l’opera di Nicholas Ray. La coppia in questione è una figura che contiene un’opposizione dialettica centrale nella cultura americana: l’official hero è il custode dei valori tradizionali, ed esprime "la fede americana nell’azione collettiva"(3), prova ne sia la sua appartenenza alle istituzioni (è sempre un uomo in divisa). L’outlaw hero è l’espressione di una prospettiva ideologica differente, incarna gli ideali di libertà ed autodeterminazione del popolo americano, e pure una certa sua insofferenza verso le regole, le procedure, le gerarchie.

E’ sufficiente analizzare le prime apparizioni nel film dei due personaggi, per riconoscerne i rispettivi Ruoli. Un camera-car sull’auto di Ethan Bishop riprende il tenente, fresco di nomina, tutto intento nel prendere ordini via radio da un superiore.

Vediamo invece Wilson: uno zoom ce ne restituisce il volto di carcerato, anzi di più, di condannato a morte. La divisa del detenuto e quella del poliziotto si fronteggiano in un’opposizione simbolica del tipo outlaw/official. Wilson si presenta con una battuta cinematograficamente esemplare:

- Hai da fumare?

Nella sua cella ci sono il direttore del carcere e un ufficiale di polizia che lo condurrà al patibolo. E’ a quest’ultimo che gli si rivolge:

- Voglio che tu sappia una cosa, Wilson. Non mi diverto affatto a portare qualcuno verso la morte. Ma se tu tenti qualcosa, qualsiasi cosa, due guardie armate hanno l’ordine di spararti immediatamente.
- T’ho chiesto se hai da fumare.
- Hai capito, Wilson?
- Non rompermi i coglioni, le conosco le regole.

Wilson conosce le regole, ed evidentemente ha deciso di infrangerle: ma questo non ne fa un individuo privo di moralità, come si scopre nel prosieguo. Wilson è Billy The Kid, è il solitario, spaccone, avventuriero della Frontiera. Bishop, naturalmente, è lo Sceriffo. E’ curioso notare, in questo senso, che nella scena esterno-carcere, quando il direttore e Wilson sono uno di fronte all’altro, il gioco delle inquadrature rimanda allo schema del "duello", con la macchina da presa ad altezza gamba ed il campo suddiviso tra i metaforici pistoleri.

Un altro elemento distintivo di ciò che possiamo chiamare persistenza del classico è rintracciabile al livello dello Spazio Cinematografico. John Carpenter opta costantemente per una soluzione di Spazio Statico Mobile: una soluzione nella quale l’attore compiere la maggior parte degli spostamenti all’interno del quadro, e che implica in linea di massima un punto di vista fisso. Questo spazio è tipico del cinema delle origini. Un esempio particolarmente interessante è costituito dalla scena in cui il tenente Bishop fa la conoscenza del capitano del Distretto 13: questi è seduto alla scrivania di uno squallido ufficio, e si alza per lasciare la stanza. La macchina da presa segue in panoramica il suo percorso, per bloccarsi in corrispondenza di un asse lungo il quale si dispongono: porta (alle spalle della MDP), capitano (nella parte destra del quadro, mentre si muove verso la MDP), Bishop (nella parte sinistra del quadro), finestra (sul fondo). La profondità di campo, sottolineata dalla disposizione degli attori e degli oggetti, è il tratto distintivo di questa inquadratura, cui succede immediatamente un Primo Piano di Bishop (4) (ancora nella parte sinistra del quadro, di profilo): mentre recita i brandelli di un monologo interiore, egli si volta mostrando la nuca, per poi girare il capo nell’altro verso, e tornare a mostrare il profilo (il sinistro, questa volta), nella parte destra del quadro; l’inquadratura è fissa, l’attore esegue i movimenti necessari.

Per quanto concerne il regime di montaggio, per Assault è accettabile la definizione di Decoupage, che molti analisti estendono all’intera opera di due cineasti americani spesso (a torto o a ragione) apparentati: Carpenter e Cronenberg (5). Sebbene la messa in serie non sia esente da procedimenti tipicamente moderni come lo Scavalcamento di Campo, essa insiste sui legami transitivi tra i piani, e predilige il tipo sintagmatico della Scena: due scelte che ci sentiamo di assegnare alla tradizione del cinema classico.

 

Un discorso a parte merita lo sguardo soggettivo in Assault, preludio allo sviluppo prodigioso del tema che avrà luogo in Halloween.

Cominciamo col considerare l’inquadratura che segue il breve prologo di sangue: una panoramica in campo lunghissimo da sinistra a destra, di carattere descrittivo, che riprende il ghetto losangelino, basse case bianche, nastri di asfalto nella desolazione di un mattino di luce sporca (6). Nell’inquadratura successiva scopriamo una banda intenta in un rito vagamente voodoo, a base di vene incise col coltello: hanno intenzione di vendicare i compagni massacrati nel prologo. Più avanti nel film, mentre seguiamo in montaggio alternato i percorsi di Bishop e Wilson, che fatalmente conducono al Tredicesimo Distretto, vi è un nuovo segmento narrativo: un uomo con la figlia piccola, in automobile, alla ricerca della figlia maggiore. Un camera-car (7) li riprende nel dialogo, quindi con uno stacco forte si passa ad una nuova panoramica in campo lunghissimo, molto simile a quella descrittiva vista in apertura. Quest’inquadratura è un’oggettiva che cela una soggettiva: infatti al termine del movimento di macchina scopriamo un membro della banda che segue con lo sguardo il tragitto dell’automobile. Quindi la macchina da presa lo segue senza stacchi mentre è in attesa degli altri componenti, e ancora quando questi lo raggiungono, per poi staccare in prossimità dell’auto su cui stanno per salire. E’ un piano-sequenza breve, ma particolarmente denso, ed orientato ad un preciso scopo: l’alternanza di sguardo oggettivo e soggettivo in forma complessa. Badate bene: la prima parte del piano in questione è la soggettiva di un personaggio secondario, senza nome, e non offre apparentemente allo spettatore alcun vantaggio cognitivo; risulta però saldamente legata al film nella misura in cui introduce la sensazione di "accerchiamento", di "assedio", che trova riscontro nella diegesi. Ha, in conclusione, un valore metonimico, in relazione a significante e significato: completa una "frase" detta in partenza, riflette sui modi dello sguardo, ha funzione di allarme per lo spettatore che segue il racconto e che capisce, improvvisamente, il pericolo che sovrasta gli "innocenti".

Prendiamo ora in esame la sequenza dell’ingresso di Ethan Bishop al Distretto 13, e vediamo come l’uso del raccordo di sguardo faccia da linea-guida in un sintagma di tipo classico. La prima inquadratura è del tenente, in Mezza Figura, quindi si ha un’alternanza di Soggetto vedente/Cosa vista (i dintorni dell’edificio): ora, ricordando la splendida analisi di Raymond Bellour (8) a proposito di The birds, possiamo stabilire un interessante parallelo tra la costruzione di Carpenter e quella hitchcockiana. Nella sequenza in questione Melanie Daniels attraversa il lago in motoscafo per raggiungere Mitch Brenner: la figura dominante è proprio l’alternanza binaria Vedente/Visto. Secondo Bellour si tratterebbe di una dissimulazione dell’Autore, il quale "si priva della sua visione a favore del personaggio". Stabilito ciò, non resta che interpretare ogni infrazione al codice in atto come una manifestazione dell’Autore, cosa che all’analista francese riesce egregiamente. Per tornare al nostro film, possiamo chiamare "infrazione" al codice dell’alternanza binaria la panoramica verticale (dall’alto verso il basso) dell’edificio del Distretto, che segue un piano oggettivo: anche qui Carpenter mescola astutamente le carte, in quanto la panoramica "descrittiva" si giustappone al piano precedente, nel quale Bishop esce dal quadro da sinistra, guardando l’edificio. Ora, questa panoramica finge di essere una Soggettiva del personaggio, mentre è un’Oggettiva: la macchina da presa infatti a scende a rivelare l’ingresso dell’ufficiale di polizia nell’edificio (9). Anche qui, è il Film Maker a fare e a disfare le regole (10): e la massa dell’edificio (con tutta la simbologia del Potere che gli si può annettere) d’un tratto incombe sull’uomo, atteso ad una prova durissima. Ciò che colpisce, ancora una volta, è quest’assoluta aderenza forma-funzione, questa capacità di uscire e di entrare dal linguaggio che fanno di John Carpenter un cineasta da ammirare.

Sempre nell’ambito di una ricognizione (parzialissima) delle caratteristiche classiche di Assault, non sfuggirà la perfezione circolare, autoconclusiva, della sequenza del gelataio. Trattasi, dal punto di vista contenutistico dell’episodio più violento. Qui, come in nessun altro momento del film, la violenza ha un che di freddo, conciso, e insieme immotivato. La geometria degli sguardi è al primo posto: il gelataio che segue l’auto della banda armata, che avverte il pericolo, è una fonte di paura, è il riferimento principale (in quanto gli altri due attanti, padre e bambina, sono per diverse ragioni inconsapevoli). Suspense = attesa di una morte : su questa equazione Carpenter costruisce un’articolazione di piani attentissima (abbiamo addirittura tre versioni differenti di "quadro nel quadro"!) (11). La sequenza, dalla prima inquadratura del furgone dei gelati fino all’ultima, va considerata anche dal punto di vista della colonna audio (12), che compie un lavoro di significazione a più livelli: l’arrivo del furgone è segnalato dal suono diegetico del jingle (suono in), che a livello del racconto avverte la bambina della presenza del gelataio; a questo si sovrappone un altro suono-avvertimento, che vale per lo spettatore, ed è il tema della colonna musicale (suono over) che introduce l’arrivo degli aggressori; ad entrambi si mescolano i rumori diegetici delle persone e dell’auto. Questo "pezzo di bravura" contiene varie sottolineature di tipo metalinguistico; per tutte valga il dialogo bambina/gelataio:

-Scusi, posso avere un gelato?
-E’ tardi, levati dai piedi.
-Ma la musica suona ancora…

"La musica suona ancora" si propone come chiave di lettura immediata di quanto sta accadendo, ed è un procedimento assolutamente hitchcockiano; si attivano infatti quei meccanismi di identificazione al personaggio che il Maestro inglese studiava così cinicamente: "certo che la musica sta suonando, bambina, ma tu non puoi sentire l’altra musica, quella che ci informa del sopraggiungere dei Cattivi!" — questo direbbe probabilmente Sir Alfred Hitchcock (13).

Il rapporto che il metatesto intrattiene con lo spettatore è ancora interno rispetto al linguaggio. Un’analisi esaustiva del film dovrebbe comprendere un aspetto comparativo, ed includere riferimenti a Rio Bravo e Night of the living dead, capolavori cui Carpenter si ispira per diretta ammissione (14). Ciò non toglie che possiamo dare per acquisite certe letture metatestuali, e derivarne le conseguenze più giuste.

Il film di Carpenter si compone di materia cinematografica, facendo a pezzi il referente; l’atto della visione non introduce altri elementi che non siano di linguaggio (e l’effetto di corpus o effetto-genere è solo uno dei casi presenti). Prendiamo un romanzo postmoderno, forma che ha raggiunto la più ampia consapevolezza dei dispositivi metalinguistici: in Underworld di Don DeLillo, un uomo di nome Nick conduce la moglie Marian in volo sul deserto americano, a bordo di un pallone aerostatico, per godere della strabiliante visione di un’opera di Land-Art. Duecentotrenta aerei da guerra dipinti, qualunque cosa questo significhi.

Marian disse: - Non potrò più guardare un quadro nello stesso modo.
- E io non potrò più guardare un aereo.
- O un aereo - convenne Marian.

A noi pare chiaro che, dopo aver visto Assault on Precinct 13 di John Carpenter, nessun film poliziesco potrà essere guardato nella stessa maniera - oppure, per dirla con Nick, nessun poliziotto.

Note:
1 - Enrico Ghezzi, “Carpenter, paura in città” ne Il Patalogo n° 2, 1980 (indietro)
2 - Per chiudere il cerchio, e a costo di risultare pedanti, ci sarebbe da dire che la videocassetta americana di Assault on Precinct 13 contiene in copertina una “presentazione” di Quentin Tarantino, che afferma “E’ uno dei miei film preferiti”. Da un noto fan della Blaxploitation (evoca Pam Grier in Reservoir dogs, le affida un parte di rilievo in Jackie Brown), una conferma indiretta alla nostra tesi. (indietro)
3 - Casetti - di Chio, Analisi del film (Bompiani, 1990) (indietro)
4 - Si tratta di un raccordo in asse, figura di raccordo del linguaggio classico. (indietro)
5 - vedi in Filmcritica n°498 gli interventi di Massimo Causo e Guseppe Gariazzo su eXistenZ nonché il pezzo di Lorenzo Esposito, dal titolo “Tecnorga(ni)smi”, in cui si dice: “Cronenberg è oggi, insieme a Carpenter, uno dei pochi registi per cui si può ancora parlare di Decoupage classico”. (indietro)
6 - E’ il teatro, fra l’altro, della non troppo posteriore “saga di Lloyd Hopkins”, firmata dal giallista James Ellroy. (indietro)
7 - E’ interessante notare in che modo Carpenter disponga i camera-car. Nella sequenza iniziale col tenente Bishop, l’inquadratura è laterale, fissa, dal momento che l’uomo è solo. In questa sequenza con padre e figlia, l’inquadratura è frontale, dal parabrezza: il dialogo costante fra i due renderebbe problematica una soluzione analoga alla precedente (per i sensi di moto), con campo e controcampo. E’ il tipo di ripresa adottato da J.L. Godard in Pierrot le fou. (indietro)
8 - Raymond Bellour, Les Oiseaux: analyse d’une sequence, in “Cahiers du cinema”, n°216 (1969) (indietro)
9 - C’è da dire, poi, che Bishop rientra nel quadro da destra, il che complica le cose: ricordate che ha parcheggiato l’auto a sinistra dell’edificio…il fatto che il personaggio, “durante” la panoramica, venga spostato innaturalmente, è proprio la dimostrazione di questa (ri)presa di posizione da parte dell’Autore. (indietro)
10 - Un’altra sequenza simile: il padre che ha tentato di vendicare l’uccisione della figlia cerca rifugio al Distretto 13 (è questo l’episodio che innesca l’assedio). La prima parte della fuga segue lo schema classico Inseguitori/Inseguito. Quando raggiunge l’edificio, l’uomo in fuga si ferma a controllare gli Inseguitori (sintagma alternante Vedente/Visto), quindi entra per mettersi in salvo: l’ultima inquadratura della serie, però, riprende gli Inseguitori in Campo Lunghissimo; eppure l’uomo che li guardava non c’è più. A guardarli c’è rimasto John Carpenter. (indietro)
11 - La bambina che chiede il gelato “incorniciata” dallo sportello del furgone; lo specchietto retrovisore nella soggettiva del gelataio; la visione “laterale” del gelataio dal finestrino. (indietro)
12 - Quel che segue invera un altro giudizio ghezziano sul cinema di Carpenter: “Autore anche sempre delle musiche, Carpenter costruisce un cinema da camera inteso come variazione musicale di temi, colori, linee, volti, emozioni” (indietro)
13 - Funziona allo stesso modo, se vogliamo, anche il “ritorno” della bambina al furgone: la reazione emotiva dello spettatore raggiunge il massimo dell’intensità; d’altra parte siamo di fronte alla gratuità della morte. (indietro)
14 - Se qui non sono stati presi in esame, è per una ragione molto opportunistica: abbiamo ritenuto di dover portare un contributo alla letteratura critica su Carpenter che non sia già interpretazione di interpretazioni, che non sia il luogo comune (esatto ma abusato) del remake hawksiano o del richiamo al film di Romero. (indietro)

Luca Bandirali

 

 

 

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