Il codice d'onore č l'unico aspetto in comune tra la cultura del nero e gli scalcinati mafiosi, vecchi perditempo impazziti nella loro obsolescenza

Ironia esilarante nella disposizione frontale delle tre figure incartapecorite dei mafiosi e antirazzismo militante si coniugano in una sequenza perfetta per atmosfera che s’inizia con la convocazione di Louie, incaricato di eliminare il suo killer-samurai che aveva salvato da un delirante nazi armato; pure questa sequenza prelude alla sua composizione eroica nella parentesi apparentemente gratuita (ed invece summa didascalica antirazzista e ragione non ultima del film) dell'incontro con i due rednecks paranazisti che uccidono gli orsi, non a caso bruni, perché "ne sono rimasti pochi", allucinante giustificazione enunciata paradossalmente facendosi scudo con il fatto che quella americana non è un'antica cultura: giustappunto il contrario dei riferimenti antichi di Hagakure, contrapposti all'inconsistenza pressapochista della (assenza di) cultura orgogliosamente sbandierata dagli statunitensi.
Lo sguardo sulla comunità italo-americana è impietoso quanto quello di Spike Lee, però talvolta emerge il côté sentimentale, proprio nella struggente figura di Louie, zombie (il pallore cadaverico, evidente nell'immagine qui sotto, che lo contraddistingue accentua il suo carattere di sopravvissuto, testimonianza di un'epoca finita) in bilico tra la famiglia in declino – di cui è consapevole – e l’amicizia derivante dal rispetto: una situazione classica, esattamente come è classica, ma privata del solito glamour, la ricostruzione della scenografia che incornicia i tre boss, statici, caricature di se stessi, in procinto di ordinare l’omicidio schierati frontalmente alla cinepresa in soggettiva. In questo caso si evidenziano piuttosto gli aspetti ridicoli, sfociando però in un momento di esilarante antirazzismo, laddove spregiativamente i mafiosi dicono che i soprannomi invalsi tra i neri ricordano gli appellativi delle tribù pellirosse, salvo poi concludersi (uscendo in strada e quindi chiudendo l’episodio con questo didattico – come l'intero impianto del film, non fosse per la voce off che enncia aforismi – effetto che rimane ancora più impresso perché conclusivo) con una contraddittoria serie di nomi italiani corredati di soprannomi.

S'evidenzia la distanza tra l'ancora attuale galleria di aforismi nipponici e i mafiosi relegati nel passato dei cartoons dell'epoca gangster