Mostra del Cinema di Venezia 2003
Diario:
Fare cinema. Come farlo, come muoversi,
come sfidare sé stessi, fino a quali limiti si è
disposti a spingersi. Dopo Epidemic Lars Von Trier torna
a parlare del processo creativo, supervisionando e dirigendo
questa volta il lavoro di un collega, Jorgen Leth.
De Fem Benspaend (Le cinque variazioni) è
la cronaca di una sfida creativa.
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Lars Von Trier prende come spunto un cortometraggio
di Leth, "The Perfect Human", e sfida il collega a rifarlo
per cinque volte... accettando di muoversi secondo le indicazioni,
o meglio gli ostacoli (cinque) posti da Von Trier stesso.
"La sfida/il film che sei tenuto a fare/risolvere si chiama:
The Five Obstruction.
Come punto di partenza vorrei che tu mi mostrassi 12 minuti del
film che hai fatto - L'uomo perfetto. Guarderemo il film assieme
e ne parleremo poi porrò delle limitazioni, comandamenti
o proibizioni, il che significa che devi rifare il film da capo.
Questo lo faremo cinque volte - da qui il titolo. Troverei naturale
se la nostra conversazione divenisse parte del film finale - con
i cinque piccoli film, naturalmente.
Spero che tu sia contento dell'incarico. Forse l'argomento del primo
film deve essere qualcosa su cui siamo d'accordo? Sarà più
divertente se l'argomento mostra il più possibile le differenze
tra il film uno e quello cinque?
Fammi sapere cosa pensi al riguardo." (Lars Von Trier, dal
pressbook del film)
Nei tre anni di produzione del film-cronaca di questa
sfida i due registi si incontrano, per l'appunto, cinque volte.
Dopo ogni incontro a Leth viene chiesto di scrivere un piccolo breve
poema che riassumesse l'incontro.
Gli ostacoli che Von Trier pone volta per volta
sono quanto di più fantasioso sia possibile (l'ultimo poi
è esemplare: Trier chiede a Leth di girare il corto in animazione,
pur odiando lui stesso il cinema di animazione), ma per chi conosce
bene il geniale regista danese sono specchio esemplare della poetica
che da anni permea il suo lavoro: spingere i suoi personaggi (e
in questo caso il collega Leth è un personaggio del film)
fino ai limiti estremi, costringerli ad osare, per vedere e capire
fino a che punto sono disposti ad arrivare, quanto di sé
stessi sono disposti a sacrificare. Il cinema di Lars Von Trier,
cerebrale, freddo, distaccato, verrebbe da dire "brechtiano"
se non fosse che la politica sta evidentemente poco a cuore al nostro,
spacca da sempre pubblico e critica in due. Da una parte chi lo
ama ed è pronto ad accettare (quasi) ogni cosa il suo cervello
riesca a partorire, dall'altra chi lo odia talmente tanto che non
si perde nulla di quello che gira pur di poterlo stroncare con ferocia
. Lui però va avanti quasi incurante di tutto. E' Lars Von
Trier.
Nella sezione "Venezia 60" troviamo il
secondo film italiano della Mostra, Il miracolo di Edoardo
Winspeare. Il "miracolo" di cui si parla nel titolo "dovrebbe"
essere quello operato da un bambino che in seguito ad un incidente
fa uscire dal coma un uomo in ospedale poggiandogli una mano sul
petto. Ma se questo è il "miracolo" che gli sciacalli
vorrebbero vendere al mondo intero (giornali, televisione, i genitori
stessi del bambino), quello che veramente sembra operare il bambino,
con la sua immensa fiducia verso gli altri, è un altro: riavvicinare
una ragazza difficile e scontrosa alla madre e aiutarla a rialzarsi
quando questa la abbandonerà di nuovo. Far accettare ad un
amico la malattia del nonno, portare luce in una casa dove ormai
si era persa la speranza... i veri miracoli, sembra sottendere il
regista, sono quelli fatti di piccole emozioni, di piccoli momenti,
di gioie e serenità contenute. La luce, i colori, la bellezza
della Puglia sembrano essere uno scenario perfetto.

Forse meno di impatto rispetto ai suoi film precedenti,
"Il miracolo" è comunque una bella boccata d'aria
fresca nel nostro cinema. Mi spingo a dire che finora, nella sezione
in concorso, gli italiani sono quelli che han convinto di più...
Nella sezione dei fuori concorso che si tiene come
da tradizione in tarda serata, ci imbattiamo in un film atteso sia
per il cast (Nicole Kidman, Anthony Hopkins, Gary Sinise, Ed Harris)
sia per la regia (quel Robert Benton che tanti anni fa fece discutere
con il tutto sommato sopravvalutato "Kramer contro Kramer"):
The Human Stain. I temi sollevati dal film sono diversi e
in definitiva, forse, più interessanti del film stesso: il
protagonista infatti decide di nascondere le sue origini (è
un nero dalla pelle molto chiara che può quindi molto facilmente
farsi passare per bianco) a tutti pur di poter anche solo tentare
una vita normale. Ma alle soglie della terza età due incontri
molto importanti, uno con un uomo più giovane con il quale
instaura una inaspettata amicizia, uno con una donna che ha la metà
dei suoi anni con cui intreccia una relazione complicata ma stimolante
lo spingono a affrontare il suo passato perché, come lascia
intuire il titolo, questo non passa indenne, lascia delle tracce
con cui prima o poi bisogna pur fare i conti.
Belle le scelte fotografiche e cromatiche, che operano una netta
separazione tra l'America degli anni '40 (colori molto caldi) e
quella dei giorni nostri (o meglio, dei giorni dell'impeachment
del Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton), fredda, distante,
rarefatta. Ottime le prove attoriali. Però come si accennava
più sopra il film non convince del tutto, non "graffia"
quanto potrebbe.
continua...
Federica Arnolfo
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