Mostra del Cinema di Venezia 2003
Diario:
"Non esistono diritti d'autore,
solo doveri."
(Jean-Luc Godard)
"8 agli accreditati che con civiltà,
con rabbia educata, protestano contro la disorganizzazione
intollerabile della Mostra. Fanno file di ore e restano
fuori dalle sale. Hanno pagato l'accredito e hanno buttato
i soldi in laguna." (da Film Daily del 2 settembre).
Chi scrive, come già premesso, mancava dalla Mostra
del cinema di Venezia dal 1999. Purtroppo spiace constatare
che a livello organizzativo le cose non sono affatto migliorate.
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Quanto sopra si riferisce ai cosiddetti "accrediti
cinema", ai quali è destinata una unica sala (il PalaBNL)
dove ha accesso (con priorità) anche il pubblico pagante.
Forse si vendono troppi biglietti, forse si distribuiscono troppi
accrediti (che comunque non sono regalati, costando 40 euro), fatto
sta gli accreditati cinema finiscono per riversarsi (o almeno provarci)
sulle proiezioni destinate alla stampa. E quando vengono proiettati
film molto attesi la ressa diventa inevitabile. Se poi vi si aggiunge
che l'italica inciviltà fa sì che una sola persona
si arroghi il diritto di occupare una intera fila per gli amici/parenti/colleghi/amanti
che forse entreranno successivamente, si ha un quadro minimo
della situazione.
The Dreamers di Bernardo Bertolucci rientrava tra i film
più attesi, e in tal senso si è fatto onore: file
chilometriche, resse agli ingressi, difficoltà a trovare
un posto libero (non da persone sedute si badi bene, ma da zainetti
sciarpette giacchini etc usati appunto per occupare il posto per
altri), il tutto in una proiezione che doveva essere una anteprima
riservata alla stampa. Ma veniamo al film, in fondo siam qui per
questo...
The Dreamers, visioni a confronto
The Dreamers è
ambientato a Parigi nel maggio del 1968, alla vigilia degli
scontri di piazza. I protagonisti sono tre giovani che frequentano
attivamente la Cinemathèque, due gemelli parigini, Isabel
e Theo, e uno studente americano, Matthew. Sgombriamo subito
il campo da un equivoco, che sembra essersi impossessato di
tutti gli spettatori della Mostra: il film non parla del '68.
La collocazione spazio-temporale è utile al regista per
ricreare un'epoca e forse guardarvi con nostalgia, ma di politico
in questo film, che è una storia di crescita, evoluzione,
conoscenza, scoperta, passaggio dall'adolescenza all'età
adulta c'è davvero ben poco. Isabel e Theo fanno amicizia
con il giovane americano e lo ospitano a casa loro, vuota di
genitori partiti per le vacanze. I ragazzi non escono praticamente
mai di casa e passano il tempo a "conoscersi" in modo
via via sempre più intimo e morboso. Giocano tra di loro,
usando come referente il cinema, citando capisaldi sicuramente
noti a noi addetti ai lavori ma per lo più sconosciuti
al grande pubblico di oggi. La Cinematheque del resto, spiega
il regista stesso, non era solo un posto dove vedere film, ma
un vero luogo di aggregazione culturale, di riconoscimento.
L'utopia politica è stata quindi, in primo luogo, utopia
cinematografica nella Parigi di quegli anni. Del resto cosa
può stimolare l'immaginazione più del racconto
per immagini?
Giocano tra loro, si conoscono e crescono. Lo spazio chiuso
della casa ospita quindi una rivoluzione, per i tre protagonisti
del film, ben più importante di quella che si prepara
nelle piazze. Quando nel finale del film i tre ragazzi usciranno
in strada e si uniranno agli altri studenti per manifestare
ormai la loro personale rivoluzione è stata completata,
sono tre adulti in grando di operare scelte mature.
Si è accusato questo film di essere troppo "estetizzante"
come gran parte del cinema di Bertolucci. Mi sembra vero il
contrario, e cioè che il regista abbia voluto operare
per "sottrazione": abbia cioè scelto non tanto
di ricreare ciò che era tipico degli anni '60 quanto
di togliere dalla scena ciò che è tipico dei giorni
nostri. The Dreamers è un'opera completa e riuscita,
sicuramente una delle più convincenti di questa Mostra
per molti versi abbastanza mediocre.
(Federica Arnolfo) |
La dimensione perversa,
voyeur unita ad una sensibilità estetica scenografica
è la caratteristica principale del cinema di Bertolucci.
Con The Dreamers dimostra la sua appassionata coerenza a queste
tematiche del desiderio. Ed il desiderio è anche il nodo
fondamentale della politica "rivoluzionaria" del '68.
Se queste sono le premesse per raggiungere l'obiettivo di una
salda osmosi tra gli elementi suddetti, il film fallisce una
connessione vitale tra i vari sentimenti. Il voyeurismo sembra
più che altro quello della mdp, o meglio di chi guarda
dietro e controlla i suoi burattini attori compiacendosi attraverso
immagini più o meno dirette e su un piano schiettamente
pittorico dei corpi statuari (vedi innanzitutto le inquadrature
dei corpi nudi mentre dormono illuminati da luci caravaggesche).
Il racconto borghese che dovrebbe servire per innescare le dialettiche
tra generazioni si eclissa dopo la prima cena tra genitori e
figli. I genitori si allontanano per un mese da casa e non si
vedono più tranne che in una breve visita in cui scappano
dalla casa rivoluzionata (più che altro semplice disordine)
lasciando un congruo assegno ai figli (ma può essere
questa una concreta posizione politica?).
Nella discussione a cena la frase più significativa è
tratta dalle poesie del padre per cui una poesia è come
una petizione (tormentone: chi scrive - romanzi versi - partecipa
alle lotte civili? O deve scendere in piazza a manifestare?).
La gran parte del film si snoda all'interno della grande casa
borghese, tra le piroette masturbatorie dei due gemelli, che
dovrebbero, in qualche modo "crescere", ma non si
evince alcuna profondità psicologica dagli incontri e
dalle pratiche tiepidamente perverse dei due gemelli. Bertolucci
sembra ossessionato anche dalla preoccupazione di non superare
mai certi limiti, di non eccedere. Perché Isabelle non
lecca lo sperma spruzzato sulla parete dal fratello Theo? L'erotismo
soft ha una sua eleganza, ma rischia di comunicare un senso
di falsità molto fastidioso. Lo dico perché nel
press book si parla di "giochi mentali sempre più
estremi", mentre più concretamente potrebbero appellarsi
seghe per borghesi annoiati e repressi.
Naturalmente non ce l'ho con Bertolucci perché è
capace di mettere in scena anche questo e di farlo luccicare
come oro.
Chapeau! Però non si può parlare di cinefilia,
di Henri Langlois come paladini della rivoluzione culturale
e poi filmare solo alcuni scontri nelle strade quasi di sfuggita
o nel finale tra comunisti e cariche di Polizia. Come un compitino...
(Andrea Caramanna) |
Forse la sezione che più sta deludendo è
quella che invece, di solito, regala le cose migliori, e cioè
la Settimana internazionale della critica. Spesso da questa sezione
saltano fuori veri e propri gioiellini, ma quest'anno sembrano dominare
i pastrocchi senza arte né parte, come Variété
française, o i film appena sufficienti come l'argentino
Ana y los otros e il coreano Na-Bi. Fa eccezione l'indiano
Matrubhoomi, che pur non essendo un film eccezionale sembra
avere, finalmente, qualcosa da dire.
Alla base del film, ambientato in una zona abbastanza arretrata
dell'India contemporanea, c'è l'idea che un intero villaggio
sia costretto a subire le conseguenze delle scelte scellerate della
generazione precedente, che eliminava le figlie femmine alla nascita.
I giovani di oggi si trovano quindi senza alcuna possibilità
di contrarre matrimonio perché, letteralmente, non ci sono
donne in età da marito. La svolta si ha quando un religioso
assoldato da una delle famiglie più ricche del villaggio
proprio allo scopo di trovare delle ragazze nel circondario scopre
un uomo che è riuscito a salvare la figlia Kalki da morte
sicura appena nata. Sposata a forza ai cinque figli maschi di questa
famiglia e costretta a subire, oltre ai cinque fratelli, anche i
pruriti del suocero, Kalki diviene presto la vittima sacrificale
del villaggio, in un crescendo di violenza e brutalità che
non potrà che concludersi in modo tragico (ma non del tutto,
il film lascia aperto un barlume di speranza). Matrubhoomi (titolo
internazione "A nation without women") è certamente
un'opera immatura e grezza, ma capace di mescolare con una certa
abilità il tragico al grottesco, l'amarezza alla speranza.
Molto brava l'attrice protagonista, che giustamente viene applaudita
calorosamente alla fine del film.
continua...
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