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Cinema e Arte del Metissage - Torino 26 ottobre/10 novembre 2005

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Marie-line di Mehdi Charef. (2000); dur.:100'

La convertita del Fronte nazionale

Lascia un po' esterefatti che lo stesso autore di La fille de Keltoum. solo due anni prima avesse realizzato un film all'opposto di quello della bella gazelle" beur alla ricerca delle sue radici: una donna francese, ruvida e sgraziata del Fronte nazionale... Però, a ripensarci, in effetti anche lei si ritrova spiazzata, alla fine troverà le sue radici altrove rispetto a dove e come anche lo spettatore si aspetta: lontano dai razzisti, ma anche dai rifugi più o meno solitari.

Dunque sembra a una rilettura che La Figlia di Keltoum potrebbe essere l'altra faccia della medaglia: anche le francesi si trovano a fare i conti con una realtà che non si aspettano, diversa. Eppure da questa proiezione si esce con l'impressione che sia pericoloso dipingere un personaggio così preminente, tanto forte e con certezze così apodittiche: in fondo è una appartenente a schieramenti di destra che evolve senza però mutare espressione (non solo come attrice); affronta la vita, non certo facile, sempre con lo stesso piglio militante, che appare pericoloso farne un'eroina positiva, come indubbiamente scaturisce nei suoi moti solidali, che in realtà sono pulsioni estemporanee e non certo frutto di reale simpatia o solidarietà con le immigrate di varie nazionalità che si trova a governare nel lavoro notturno presso un ipermercato, dove il suo ruolo di "capo" (anche "caporale") le è stato assegnato proprio dalal appartenenza politica allo stesso schieramento dell'ignobile capo, che pretende da lei prestazioni sessuali, ch e- una volta negate in un sussulto di amor proprio - vengono elargite daun'altr adisperata della squadra subito promossa.

Ecco: sembra rischioso assegnare un ruolo positivo a questa figura contradditoria, certo reale e umana: ad esempio, la sua infatuazione per un cantante che è espressione del più vieto conservatorismo revanchiste appaiono incisive, ma allo stesso tempo lasciano aleggiare una sorta di ambigua sgradevolezza, come una patina di squallido isolamento, che sicuramente serve per preparare la sequenza finale con la conversione ai canti etnici lasciati dalal cassetta delal ragazza nostalgica delal sua Algeria a cui chiede di poter tornare a Marlee Matlin, sordomuta (simbolico atteggiamento insensibile degli sbirri?) poliziotta che visita ripetutamente il posto di lavoro alla caccia di svariati clandestini invariabilmente sottrattia l plot del film, comprimari, mezze figure stereotipate che servono solo alla emancipazione di Marie-line.

Belle sono le sequenze (un po' retoriche) in cui le donne sono gruppo... e lo sono proprio in quanto donne e uguali: l'esplosione di ilarità al racconto tragico dell'albanese che ha lasciato il amrito pesante e grasso incaace di scavalcare il reticolato alal frontiera italiana. Avrebbe potuto esser euna sequenza terribile, fatta di racconti strapalacrime e invece genialmente si risolve in una liberatoria risata collettiva. L'altro momento originale e godibile, nonostante l'impianto vagamente televisivo, è quello del parto in ascensore di notte, dove però nuovamente emerge il suo piglio autorevole, da capa. Una capa buona, un po' paternalista... anzi maternalista. Forse proprio questo è il rischio che si sente incombente.

Le vicende che fanno da contorno servono soltanto a stiracchiare l'intreccio; ciò che è essenziale è il rapporto tra queste janitor post-Loach, nella ripetizione dei gesti quotidiani notturni, nel loro vivere lo spazio notturno del supermarket: un universo da cui sembra non poter uscire, visto che anche di giorno viene frequentato per compere e che l'unico svago è quello di salvare almeno i bambini dal sistema terribile di estradizione che colpisce gli adulti, neri, maghrebini, slavi...

Aspetto originale è la variegatezza del meticciato: sono presentate un po' tutte le possibili provenineze... purtroppo ha voluto inserire troppe situazioni, infarcire il plot di innumerevoli diverse situazioni che possono occorrere frequentando queste marginalità e questo va a detrimneto della plausibilità di unasituazione che si vuole probabilmente sia anche una sorta di documentario... e invece diventa una descrizione di una evoluzione - forse compiuta - dal più vieto rifiuto razzista alla compassionevole (e poco rivendicativa: non la immaginaiamo richiedere anche le rose, mentre si decide ad aiutare le compagne più sfortunate) condivisione.

adriano boano