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Festival del cinema africano - Milano, 2003
Piccole, grandi donne resistono

Lo sguardo altro al femminile

Il trittico, premiato al Festival del cinema Africano dalla giuria ufficiale dei lungometraggi, pone sotto i riflettori la condizione femminile nel e del Continente. Quella di piccole e grandi donne traviate dalla modernità urbana.

E non solo attraverso lo sguardo di donne come quello dell'algerina Yamina Bachir Chouikh che ha vinto il Festival con RACHIDA (vedi Screen no war), opera prima che celebra la determinazione ed il coraggio di un'eroina.

Ma anche attraverso le meditazioni di uomini, incapaci di prendere posizioni autentiche ed originali, fra le opposte tentazioni dell'integralismo e della globalizzazione.

Riflessioni maschili sulla condizionie femminile portate in maniera diversa sul grande schermo da Mendhi Charef ne Bent Keltoum (vedi Screen no war), premio del pubblico, dall'applauditissimo tunisino Nouri Bouzid ne Poupees d'argile, secondo premio ufficiale, e da un'ironico e tagliente Moussa Sene Absa ne Madame Brouette, lungometraggio senegalese che si è aggiudicato il terzo premio.

Se, infatti, Rachida e Bent Keltoum affondano lo sguardo nell'annoso problema del terrorismo algerino attraverso due figure femminili che resistono ad ingiustizie ed insensatezze con la quotidianità costruttiva, Poupees d'argile denuncia una realtà ancora drammaticamente presente nel mondo, con un'eccellente regia e l'intensa interpretazione dell'attrice Hend Sabri. Madame Brouette, invece, canta la gioia di vivere delle donne malgrado le difficoltà che incontrano. Gridi di libertà di piccole, grandi donne, che si ergono tra figure maschili confuse, perse, incapaci di superare i dictat sociali.

Bouzid, salendo sul palco ha esordito affermando di sentirsi iracheno: "Non riesco a parlare del film, astraendolo da tutto ciò che sta succedendo. Mi domando se davanti ad un fatto così non sia meglio spegnere la cinepresa, visto che non serve a niente fare cinema." E nel suo delicatissimo film denuncia il commercio di bambine, che resistono al loro destino, accettandolo e rimettendo in discussione la propria vita in maniera creativa. Ma denuncia anche la figura maschile, incarnata dal "trafficante di bimbe d'argilla", attanagliato dai sensi di colpa, confuso "proprio come il popolo arabo", costretto ad arrendersi alla perdità d'identità, dominato dalla ragiulia, il senso d'onore virile, che impedisce ad un uomo di ammettere davanti agli altri di avere problemi.

I personaggi femminili, la bimba Fedhah ed il suo corrispettivo adulto Rebah, appaiono più liberi, forti, istintivi, ribelli. Omrane, il protagonista maschile che smercia carne giovane, è carico di blocchi ed ostacoli, che non capisce e riconosce per primo, annegandoli nell'alcool "Gli integralisti rappresentano un contropotere importante - dichiara Bouzid - C'è una ripresa importante di questo spirito, alimentato anche dalla televisione... Noi in Tunisia siamo costretti ad accettare le costrizioni della società saudita, anche se vanno contro la legge tunisina (la poligamia, ad esempio). La società avanza in maniera lenta e incosciente verso l'integralismo e nessuno si rende conto di questo." Poupees d'argile è proprio una triangolazione di vite difficili da incatenare, femminili e maschili, che ritorna nell'espressione massima di libertà, la canzone a cui Fedhah (che cerca conforto modellando bambole d'argilla) e Rebah si affidano quando tutto sembra essere perduto, reciso. Danzare e cantare per resistere e volare altrove è il loro grido di speranza: "figlia del vento e dell'aria senza documento ed identità, le vostre lacrime si sono prosciugate..." Parole che riecheggiano attraverso tutta la pellicola. Refrain di una resistenza femminile che percorrono una vita intera da quando le ingenue bimbe vengono vendute dai genitori al trafficante di anime e corpi al momento in cui su un ralenty struggente, ma ricco di speranza, Fedhah, si allontana sola su una strada libera, abbandonando sulla panoramica dall'alto lo sguardo dello spettatore.

Moussa Sene Absa nel suo Madame Brouette, invece, lancia una denuncia di innovativo femminismo senegalese. Con una tagliente ironia, che colpisce proprio l'incomunicabilità di due mondi distanti: femminile e maschile. La protagonista raccoglie tutte quelle donne che subiscono violenze psicologiche e fisiche da uomini che pensano di poterle ripudiare e riprendere a piacere. Per piacere. E proprio da questi oggetti del piacere, si alza il grido di libertà finale pronunciato dalla fiera ed indipendente Mati: "Sono libera, proprio come una pernice. Nessuna gabbia riuscirà a rinchiudermi." Anche Moussa Sene Absa, commentando la sua pellicola, riflette sulle immagini che il piccolo schermo sta diffondendo in questi giorni difficili, di repressione ed ingiustizia: "Ho fatto un film che voleva riconciliare l'uomo e la donna. Ma oggi penso che sia necessario riconciliare l'uomo con la natura. Ho visto cose terribili, mentre voi guardavate il mio film. Vorrei che voi aveste un pensiero non per il mio film, ma per chi è sotto le bombe. Perché l'arte serve anche a ciò: noi abbiamo diritto alla pace."

E la fendente ironia con cui Absa ha pervaso il suo Madame Brouette resta l'unica arma lecita ed obbligata, da imbracciare al posto delle armi. Quelle che la protagonista usa per identificare la sua libertà. Quelle che la follia imperialista sbandiera per legittimare un'occupazione colonialista, sotto i falsi colori di un'ipotetica democrazia. Uomini e popoli, che dal piccolo al grande schermo si stanno ballottando un futuro ancora una volta ricco di ismi: sessismi, razzismi, nazionalismi, integralismi... Ingiustizie perpretrate per non ammettere di essere tutti ostacolati a riconciliarci con il nostro prossimo, quello che ci consente di esistere e di identificarci. Uomini o donne, che invece di riaffermare un diritto alla pace ed all'amore, accendono l'odio per il nemico. Da inventare anche quando non c'è. La parola alla donna, piccola o grande che sia, il Festival l'ha dato forse anche per questo: per ricordare quanto l'universo femminile, represso e diasagiato ancora oggi nel mondo arabo ed africano, porti avanti sempre la propria resistenza, nell'inseguimento di un'identità e libertà, racchiuso in una canzone, in una danza, in un gesto d'amore. Anche nello sguardo altro.

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