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Ritorno alla questione del DOCUMENTARISMO #5
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"Consapevolezza individuale dell'autoritarismo franchista a trent'anni della morte del caudillo. Coincidenze tra nazioni europee che hanno subito e inventato il fascismo"



(«Entre el dictador i jo: il personale è antifascista»)

2 dicembre 2005, un vecchio operaio in pensione mi racconta dell'officina 30 di Mirafiori negli anni Cinquanta, delle persecuzioni aziendali... scendiamo dall'ascensore e mi parla per un'ora. Un aspetto della sua narrazione mi suggestiona in modo particolare (punctum avrebbe detto Barthes): è un ricordo d'infanzia (sua) che si insinua tra le parole e riemerge anche nei giorni precedenti (miei) e continua a riproporsi. Aveva sei anni nel 1936 e suo padre lo portò con sé in sezione, perché la sordità gli imponeva di avvalersi di orecchie giovani che gli ripetessero quanto gli veniva detto con precisione: il padre di questo vecchio compagno aveva deciso di andare in Spagna. Si sente rispondere che se fosse stato così facile farsi inquadrare nelle milizie repubblicane, loro non sarebbero stati lì a dargli retta. E lui torna a casa con il bambino che ora ha quasi ottant'anni... e mantiene quella memoria vivace e quel sogno... se solo si fosse vinto.



26 novembre 2005, Occhieppo Inferiore (Biella); assisto alla presentazione di Impararono a osare (a cura di Italo Poma, Seb27, Torino 2005), raccolta di interventi di storici sulla figura di Anello Poma, che nel dvd allegato per 110 minuti narra se stesso. Partigiano, operaio, sindacalista... ma fondamentalmente nel suo racconto - accattivante nonostante la fissità della ripresa, grazie al grande carisma del protagonista - risalta la sua partecipazione alla Guerra di Spagna. Quella è stata la svolta della sua vita. Il suo compagno di lotte nelle brigate Garibaldi del biellese, l'ultraottuagenario Massimo "Argante" Bocchio, comincia l'appassionato intervento, per introdurre il suo approccio ad Anello, a partire dall'aura che ammantava i vecchi combattenti di Spagna e quanto il mito di quei combattenti aveva inciso sull'immaginario di loro, giovani che "impararono a osare" - osare di ribellarsi al fascismo, all'abitudine alle certezze fasciste, al modo di pensare e vivere dell'italietta del ventennio.
Da capo: se si fosse vinto, ma in più qui si è vinto, un decennio dopo, perché i comandanti erano quelli che avevano imparato dalle sconfitte precedenti, in particolare quella iberica.


21 novembre 2005, cinema Baretti, Torino; si proietta Entre el dictador i jo nell'ambito di una bella rassegna di documentari (documè, imperdibile). Ma questa è un'operazione ancora diversa, che ha inizio da una domanda posta a giovani registi spagnoli nati dopo il 1975, quindi che non hanno subito il franchismo. Non direttamente, intendo.
La domanda era: "Quando è stata la prima volta che avete sentito parlare di Franco?"
Se ne ricava un desolante panorama di rimozione, diversa da quella che ha consentito ai fascisti italiani di tornare scopertamente al potere (semmai lo hanno lasciato); una situazione ben fotografata dalla pagina 4 dedicata da "il manifesto" il 20 novembre 2005 e affidata a Alfonso Botti e Maurizio Matteuzzi.


20 novembre 2005, nell'occhiello i dati di un sondaggio tra indifferenza e rifiuto verso il franchismo a trent'anni di distanza. 63 per cento dà una valutazione "negativa" del franchismo; 55,5 per cento dà una valutazione "indifferente" del franchismo; 7,6 per cento dà una valutazione "nostalgica" del franchismo; 29,8 per cento rifiuta il franchismo. Ma l'ultimo è il dato che interessa anche noi: per il 72 per cento il franchismo ha ancora influenza sulla società spagnola. Ci interessa per capire le immagini raccolte dai sei cineasti interpellati dalla Generalitat de Catalunya, ma anche per capire quanto permane nelle società che hanno patito esperienze totalitarie o autoritarie (interessante la distinzione operata da Alfonso Botti): i germi non debellati del tutto che possono dare forma a Storace o Calderoli, a Borghezio o Sacconi... anche a distanza di sessant'anni.
Loach ha commosso tutti in Tierra y libertad con la sequenza del funerale del nonno, Anello Poma si è fatto inumare avvolto in quella bandiera repubblicana della guerra civile, dimostrando quale era l'episodio principale della sua vita. La frattura sta nel fatto che quando ci si rende conto di cosa sia "fascismo" - e si riconosce qualsiasi forma da lui assunta (ad esempio i "contatti" di Pisanu e dei suoi puffi con manganello) -, si finisce prima o poi con il chiedersi cosa sarebbe successo se in Spagna si fosse debellato sul nascere l'autoritarismo del caudillo iberico, vincendo quella guerra civile, che tanta aura romantica portava con sé; invece, se non si sono sviluppati gli anticorpi a causa della generazione a cui si appartiene, allora il risveglio è brusco, ma ancora gli occhi non riescono a mettere a fuoco: i sei ragazzi si guardano attorno alla ricerca di punti di riferimento, ma nessun dato è illuminante, sembra che il rimosso abbia creato pallide ombre, dove la consapevolezza fatica a emergere... Una prassi comune è quella di aggrapparsi a un'immagine, che rappresenta la memoria, da cui partire, poi manca ancora tutto il film mentale che può scaturire da quella prima Ur-memo-eidos e volta per volta questa può rifarsi a un ricordo lontano affidato a vecchi super8, oppure alla cabina dello yacht di Franco, o a luoghi topici come la Valle de los Caidos - improvvisamente trasfigurata nella sua marcescente realtà (simile al nostro Vittoriale) - fino a visitare i quartieri costruiti durante la dittatura, ma nella attualità; dunque gli approcci vanno da immagini del passato o del monumento da interpretare correttamente al di fuori della retorica del regime, fino alla attualità passando attraverso arnesi del franchismo ancora presenti e da storicizzare seppellendoli, per sottrarre alla parte più nostalgica della popolazione la storia come loro vorrebbero che fosse raccontata.

Se, come scrive Botti, "il franchismo non fu un regime di mobilitazione di massa come il fascismo italiano, il regime hitleriano e l'Urss ai tempi di Stalin. Ma il tasso di mobilitaione delle masse non è l'unico terreno di verifica del totalitarismo", quella cartina di tornasole può essere offerta dal perdurare di quella zona grigia - che tanto sgomentò Primo Levi - anche oltre l'esistenza del totalitarismo: proprio quello traspare da tutti i sei cortometraggi riuniti in El dictador i jo: l'adesione si tocca nel motel, quando si riducono gli anni a un intervallo che serve per disinnescare l'orrore con il tempo, ma anche nei piccoli favori fatti ai figli che lavorano in banca, come nei pellegrinaggi nei luoghi di culto, che non appaiono tali, ma poi il messaggio rassicurante per la famiglia (insieme a Dio e patria) è quello che filtra nelle giovani menti. Prosegue Botti: "La dittatura di Franco non offrì la cornice idonea alla nascita e sviluppo di una religione politica (altro sintomo totalitario). Ma forse non ne ebbe bisogno, visti i servizi che gli rendeva la religione tradizionale": infatti nessuno dei registi ha parlato dell'aspetto più evidente, la morsa in cui la chiesa cattolica spagnola pretende di tenere il paese, proprio perché non la percepisce ancora come ingerenza insopportabile per uno stato laico (proprio come l'Italia che sopporta don Camillo Ruini senza ribellarsi): non abbiamo ancora sviluppato, come società, gli anticorpi contro la gerarchia ecclesiale; né noi, che ci ritroviamo a ospitare il bubbone sul nostro territorio, né il ventre molle degli spagnoli - quelle migliaia di ferventi antizapatero - a cui Franco, passando da autoritario a totalitario, pretese di "inculcare in tutti il cattolicesimo come orizzonte primo e ultimo della propria esistenza" (Botti).
Ma il capitolo che davvero colpisce maggiormente, ed è bene o male trattato invece da tutti, è quello che vede i ragazzi impegnati a ricostruire il rimosso: un'operazione in corso anche da noi, ma che stride con i ricordi nitidi dei protagonisti ancora sopravvissuti al tempo: i Pansa spagnoli si chiamano Pío Moa e César Vidal. Per tutti è improvvisa la percezione di quanta ipocrisia e reticenza alligni tra i loro stessi genitori, che non si rendevano realmente conto di cosa rappresentasse il regime e di quali forme, innanzitutto di creazione del consenso (appunto la visita alla Valle de los Caidos), tanto che è ancora un feticcio ambito l'alloggiamento nella cabina dello yacht del dittatore trasportato su una collina, come un Fitzcarraldo meno epico e più squallidamente commerciale. Si sperimenta nei documentari la distanza del tempo rispetto alle rimeditazioni a caldo del neorealismo italiano, con la difficoltà a ricostruire; contemporaneamente si sperimenta anche il raddoppio della durata del regime: in quarant'anni le generazioni interamente coinvolte sono più di una e questo ha impedito una continuità con la memoria precedente; allo stesso tempo i trent'anni di distanza sono al contrario la metà dei nostri sessanta dall'eliminazione delle figure più compromesse con il fascismo dal governo italiano. Per la concomitanza di questi due aspetti nei film dei ragazzi si nota la mancanza di riferimenti, sia storici, sia di metodo linguistico per recuperare dati, materiali, interpretazioni; in compenso non manca quella voglia di colmare un'amnesia a partire dal personale, tanto che ci sono molti inserti di filmini familiari, segno che il problema è inverso a quello dell'antifascismo italiano, dove tutti hanno avuto almeno uno zio partigiano e fiero di raccontarsi, si sono profusi aneddoti fino a riuscire nell'intento di eliminare l'interesse, soffocato nella retorica. La difficoltà pr gli spagnoli è la scomparsa di ogni traccia, sistematica e perpetrata per sessant'anni, in modo che non rimane che un filo, come un'inchiesta disperata senza tracce del delitto perpetrato: non si sa quali opzioni ci sono per ricostruire fatti, eventi, prassi di lotta, anticorpi da opporre al totalitarismo per carenza di dati, mentre forse per la situazione italiana si deve cercare di interpretare la profusione di dati e discriminare tra le memorie, mentre stanno scomparendo gli ultimi testimoni oculari e i protagonisti.

Ribaltato rispetto all'Italia (ma l'effetto per le parti in causa è uguale) è il fatto che là si è adottata l'Amnistia per i vincitori e l'amnesia per i vinti, qui il contrario.

20 novembre 1975: "Españoles, Franco ha muerto"

Quando fra qualche decennio, meno oscurantistico del nostro tempo, si guarderà a questi atroci anni di depauperamento intellettuale e civile, s'inorridirà assistendo a quali livelli di violenza, autoritarismo e prevaricazione saranno scoperchiati nella loro efferratezza... ma questo pertiene in particolare a un altro documentario della stessa rassegna ("Documè", un appuntamento di ogni lunedì sera al cinema Baretti di Torino): Falluja 2004 di Doi.

Equipe


Produzione: Estudi Playtime

Produzione Esecutiva: Marta Andreu
Direzione di produzione : Tània Balló
Capo di produzione: Núria Campabadal
Assistente di produzione: Marco Iglesias
Coordinazione di Montaggio: Arnau Quiles
Coordinazione del Suono: Amanda Villavieja
Posproduzione del suono: Àlex Vilches
Distribuzione e comunicazione: Eva Vila y Marta Grau
Design: Pedro Huertas

INFORMAZIONE TECNICA

Anno di produzione: 2005
Nazionalità: Spagnola
Data di emissione: 20 di Novembre 2005
Durata: 60 min.
Durata di ogni parte: 9 min.
Formato finale: Betacam digital
V.O. catalano e spagnolo


INFORMAZIONI SU OGNI SINGOLA OPERA

Juan Antonio Barrero (1980, Sevilla)
"Di quanto tempo c’è bisogno per smantellare per sempre la stanza di un dittatore?"

Da molti anni, lo yacht di Franco è stato trascinato da un’ uomo d'affari per 30 km sulla terra ferma, per metterlo sulla cima di una montagna e convertirlo in un hotel di lusso. Dalla vecchia baracca del dittatore, si può fare la conoscenza della grande caverna di Atapuerca, là dove sono stati scoperti i resti dell’ hominide più antico d’ Europa.

Equipe:

Produzione:Eva Vila
Cineoperatore:Daniel Sosa
Fonico:Amanda Villavieja
Montaggio: Martín Zamora

Luogo di riprese: Burgos


Raúl Cuevas (1978, l 'Hospitalet de Llobregat)
"La memoria di un franchista e di un povero della Spagna e di una vita rude, dura e grigia come il cemento"

Questo cortometraggio è supportato dalla necessità di conoscere altre zone vicine che, come Bellvitge, il posto in cui sono nato, sono state costruite durante gli anni sessanta, nello periodo della dittatura. Un viaggio attraverso le differenti città dormitorio della Spagna.

Equipe:
Produzione: Tània Balló
Cineoperatore: Óscar M. Chamorro
Fonico:Filippo Restelli
Montaggio: Núria Esquerra

Luogo di riprese:l'Hospitalet, Bilbao, Madrid i Sevilla


Guillem López (1975, Barcellona)

"un viaggio personale attraverso i ricordi vissuti e dimenticati, alla ricerca di un ritratto del dittatore"


Chi è Franco? Franco è uno sconosciuto... una faccia... un'ombra... un'immagine con cui provo ad interferire, ma che si nasconde sepolto fra gli spazi di alcune delle mie memorie più personali. La ricerca di questi spazi è uno sguardo verso la sua ombra.

Equipe:

Produzione: Tània Balló
Cineoperatore: Carles Mestres
Fonico: Filippo Restelli
Montaggio: Guillem López

Luoghi di riprese: Sant Antoni de Calonge, Puig-reig


Mònica Rovira (1978, les Masies de Voltregà)

"l'ombra prende la forma. Come venendo fuori dalla polvere, il fantasma compare. Comincia ad inseguirmi, io sogno di lui; mi agita e mi commove. Ora a me, io, che quando sono nata lui non era più là!”

Ritorno alla radice arrotollata. Paesaggio fisico ed umano della mia infanzia ed adolescenza. Una ricerca che influenza la vita di ogni giornio. Un viaggio che persegue il passato dall'oggi (a volte dimenticato, altre volte sconosciuto o fatto tacere). Domande. Risposte?


Equipe:
Produzione: Tània Balló
Cineoperatore: Aitor Echevarría
Fonico: Amanda Villavieja
Montaggio: Sergi Díez

Luogo di riprese: Vic, Sant Hipòlit de Voltregà, Collsuspina.

Sandra Ruesga (1975, Madrid)

"Nella Valle de los Caídos ho scoperto che ho ereditato una storia falsificata imposta dai silenzi"

La prima volta che sono diventato realmente cosciente su chi era Franco, io avevo 23 anni. Ero nel Valle de los Caídos, un posto dove ero stato molte volte prima, senza mai pormi qualche domanda. Trenta anni dopo la morte del dittadore, la sua tomba ancora rimane, soprattutto, un luogo turistico.

Equipe:

Produzione: Tània Balló
Cineoperatore: Diego Dussuel
Fonico: Amanda Villavieja, Marcos Salso
Montaggio: Núria Campabadal

Luogo di riprese: Madrid


Elia Urquiza (1979, Pamplona)

"Sarebbe più drammatico essere nipote di eroi, anche meglio esserlo di cattivi, ma io discendo dai caratteri secondari"

Loro non erano nè franchisti, nè anti-franchisti. Il loro rapporto con Franco non è traumatico, perché Franco, semplicemente, non esiste. Quaranta anni dormiti sulla sedia di una piattaforma, come la maggioranza. La mia nonna, vedova di militari franchista. Sempre comunicandosi a distanza, come se da un telefono lontanissimo.


Equipe:

Produzione: Núria Campabadal
Cineoperatore: José Luis Pulido
Fonico: Àlex Vilches
Montaggio: Martín Sappia

Luogo di riprese: Santander


I REGISTI

Juan A. Barrero (Sevilla, 1980)
Specializzato in Direzione Artistica nel “Centre of Cultural and Comunication Studies” ed in Direzione degli attori allo “European Drama Major”. Diplomato in Direzione Cinematografica presso la “Brighton film School”. Nel 2003 ha realizzato il cortometraggio “1939” selezionato in numerose mostre e festivals. Ha participato come assistente alla regia al documentario “Diario argentino” di Guadalupe Pérez.

Raúl Cuevas (L’Hospitalet, 1978)
Ha diretto nel 2001 il suo primo documentario “Familia nombrosa”. Nel 2004 realizza “Bell Viatge”, un ritratto del quartiere dove è nato (Bellvitge, L’Hospitalet) ed il cortometraggio “Las cosas de la vida son así y no le des más vueltas a la bicicleta”. Nel 2005 realizza per il programma Taller Doc di TVC il documentario “Cinc estrelles” e partecipa ai lungometraggi “El Cielo Gira” di Mercedes Álvarez e “Tierra Negra” di Ricardo Iscar.

Guillem López (Barcelona, 1975)
Nel 1998 realizza “Al Margen”, documentario che è stato selezionato in numerosi festivals: Docs Barcelona, EDN (European Documentary Network), 10th Balticum Film and TV Festival. Durante il 2000 lavora come regista di prodotti promozionali e di programmi televisivi per diversi canali tematici di Mediapark (Canal Natura, Canalstar, Canal Cinematk) e Barça TV.


Mónica Rovira (Les Masies de Voltregà, 1978)
Dirige il suo primero cortometraggio cinematografico: “El secreto de mamá” con una borsa di studio presso la FAMU, la Scuola di Cinematografia di Praga. Nel 2003 realizza “Dulce amargo” come progetto finale di corso ottenendo un riconoscimento di distinzione. Ha colaborato nel progeto collettivo “Panorama” e nel nuovo progetto di Marc Recha.

Sandra Ruesga. (Madrid, 1975)
Ha lavorato come assistente alla regia in numerosi cortometraggi e programmi televisivi. Nel 2003 realizza il cortometraggio di cinema documentario “Caricaturas” per la IORTV e co-dirige il lungometraggio di cinema documentario “200 km”.

Elia Urquiza (Pamplona, 1980)
Collabora in numerosi media e festivals come giornalista, coordinatrice e design. Nel 2004 realizza i documentari “De Carmen a Carmen” per la BTV e la UAB e “Spraysion”, i cui diritti sono condivisi con TVE.

LA CASA DI PRODUZIONE

Produzione ESecutiva: Marta Andreu (Barcelona, 1975)
Realizza numerosi documentari fra i quali:
“La Memoria” (premio Fad mello documentario 1997), “Primera mirada” (2000),
“La Pedra Seca” (2001), “Europa/DDH”(2002).
Collabora alla realizzazione di “Buenaventura Durruti, anarquista” di Jean-Louis Commolli ed di “En Construcción” di José Luís Guerín. Coordina il Master en “Documental de Creación” della Universitat Pompeu Fabra, ed ha coordinato anche la Retrospettiva sul Documentario Spagnolo per il festival di “Cinema du Réel” 2005. Nel2004 crea, insieme ad Arnau Quiles, la casa di produzione “Estudi Playtime”.

Coordinazione e Direzione di Produzione: Tània Balló ( Barcelona, 1977).
Ha lavorato come capo di produzione nel lungometraggio “Aguaviva” di Ariadna Pujol ed in “El Cordobés. La España de los milagros” di Albert Solé, fra gli altri. Nel 2003 co-dirige il lungometraggio di cinema documentario “ 200Km”.

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adriano boano
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