Wedekind ha detto che Lulu non è un vero personaggio, ma un'incarnazione della sessualità primigenia |
Difficoltà nell'apertura delle scatole: il consueto impedimento ad ottenere senza sforzo le indicazioni per innescare i fenomeni particolari degli intrecci di Auster. Che è anche la difficoltà dell'autore a scoprire l'intreccio, nascosto tra parole babeliche che sortiscono dalla scatola coi ritagli in ebraico, russo, cinese, arabo, kanji, un mormorio contenuto nella pietra o tra le pieghe delle note che escono dal CD a cui Celia deve applicarsi per aprirlo e dal quale quasi per magia esce l'artefice stesso di quelle musiche, un autore dapprima accolto, quindi considerato spiacevole ed indesiderabile e solo dopo amato senza remore di un desiderio esclusivo. E solo mettendo insieme molti tasselli si riuscirà a raccogliere la storia. Quella stessa che Wedekind non ha capito. E che Auster continua a narrare attraverso il labirinto di La Musica del Caso, la città dannata di Il paese delle ultime cose da cui non si riesce ad uscire, il mondo letterario parallelo in cui finisce con il consumare la propria esistenza il protagonista di Leviatano. In tutti questi casi esiste sempre un personaggio di riferimento che segue regole personali con cui il protagonista si confronta e tramite quel rapporto didascalico trova uno spiraglio attraverso il quale far progredire l'intreccio. |
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Auster ha sempre l'urgenza di demandare ad altri al di fuori dell'autore l'interpretazione giusta di un plot (un esempio calzante è La Stanza chiusa, contenuto in La Trilogia di N.Y.) e la battuta su Wedekind è un condensato del suo rapporto con la scrittura, ottimo ponte per inserire la figura di Dafoe, lungi dall'avere connotazioni metafisiche che non si addicono a Auster: egli è leggibile come l'espressione cinematografica dei personaggi che costellano l'opera dello scrittore Auster, durante la quale il destino prende forma, manifestando la sua imprescindibilità all'eroe dei romanzi che poi non può sottrarsi alla pulsione che lo spinge a prendere certe decisioni, le quali finiscono sempre per incastonarsi alla perfezione nel puzzle inventato dall'autore (e già la sceneggiatura di Smoke procedeva in questo modo: per successivi spostamenti dei tasselli che finivano con il restituire uno o più sensi all'intero meccanismo), un mosaico la cui labilità è il punto di forza, perché richiede al fruitore di completarlo e quindi mette in gioco il lettore, che coinvolto finisce per credere alla ricostruzione che egli stesso ha fatto, o meglio che crede di aver fatto sotto la guida dello scrittore. Proprio ciò che fa Dafoe con Keitel. |