Dopo la catastrofecinema e la società argentina
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...ritroviamo la società argentina che lentamente riemerge individuando possibili orizzonti di riferimento per uscire dalla palude, cioè dalla piscina della Cienaga. Quello che risulta interessante è che ognuno rintraccia una possibile via d'uscita riannodando la tradizione dei propri lavori precedenti... solo che stavolta si vede che è avvenuto un episodio che ha reso impossibile ragionare secondo i criteri precedenti; questo episodio è il tracollo di un sistema, la fine della società di stampo capitalistico, la sua mancata sostituzione con altro, mentre è in corso un tentativo di passaggio indolore verso qualcos'altro... Il problema è che non si sa cosa sia e per adesso si accetta una conduzione attenta a non fare ulteriori danni.
Tutto ciò si ripercuote sulle scelte filmiche: quelle che abbiamo preso in considerazione sono caratterizzate da una ricerca paradossalmente simile: cnosiderare le molteplici componenti della società argentina e inquadrare gli elementi di fondo recuperabili per un progetto futuro.
Gli effetti sono diversissimi, a volte opposti, ma il punto di partenza comune è quello che cerca all'interno delle espressioni argentine più tipiche un elemento a cui aggrapparsi per inventare una nuova base su cui costruire una comunità, "un mondo meno peggiore", come sintetizza - in originale - Agresti. Questo può essere dislocato, come sempre per chi si rifa alla tradizione libertaria, nel sud del paese e cerca di ricostruire la koiné di etnie e di provenienze che hanno fatto l'Argentina; oppure andare a rifugiarsi nella violenza della natura del nordest, nelle province di Corrientes, dove i grandi fiumi regolano i rapporti tra gli esseri viventi di Los muertos; o ancora perdersi nei riti del commercio e della famiglia ebraica porteña di El abrazo partido, sottolineando così la congerie di appartenenze che costituiscono il tessuto nazionale cercando in esse proprio la radice (l'ossessione del padre nel film), o infine ritessere le ossessioni della borghesia del nordovest di Lucrecia Martel.
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La Niña santa rivisita le ossessioni del film precedente, puntualizzandone i simbolismi: la piscina come luogo di purificazione in cui però si trovano anche tutti i vizi... e pure tutte le complicità e i possibili percorsi di crescita; persino la costruzione faticosa e la ridondanza delle situazioni di tutto il simposio medico sembrano ricalcare l'incertezza e la difficoltà di trovare una via d'uscita a quella che appare sotto forma di morbosa molestia, eppure possiede una forma di fascino equiparato al rapimento mistico in un eccesso di simbolismo che zavorra ulteriormente il film... Ma non è un caso che la sequenza finale trovi una sorta di liberazione, lasciando in sospeso l'evoluzione della annunciata rivelazione della colpa e contemporaneamente il lavacro finale sembra liberare da inibizioni e soffocanti attrazioni: è solo la prima soluzione volta a dare un segno di possibile speranza.
L'aspetto salvifico percorre tutto il film, ma se in una prima istanza assume connotazioni solo morbose, quella vocazione dagli spiccati contorni confessionali trascolora nella salvezza della trasgressione di un bagno finale delle due ragazzine protagoniste nella piscina finalmente vuota (l'ambiguità si coglie meglio rilevando quante volte i volti delle due ragazzine sono inquadrati in luce solo per metà e qunate volte il rapimento mistico ha le stesse espressioni del trasporto sessuale: in fondo i commenti delle due sulla vita della "catechista" sono distratti dalla vocazione per il commento alle implicazioni sessuali dei baci della catechista stessa); spostando i limiti, se non arriva a eliminare i paletti della educazione, comunque li sposta... e in questo trova quella speranza di catarsi, di liberazione dal perbenismo che scatta nella occhiata che coglie il gesto del medico e agisce in modo da aderire ai suoi "toccamenti", ai suoi piaceri, alle sue palpate morbose fino a innamorarsi di quel "tocco", di quella mano che indugia sul gluteo, come se l'autrice avesse la percezione che la società argentina è permeata da una sensazione di lenta impercettibile indicibile processo di purificazione.
Meno salvifico, ma improntato alla stessa speranza è l'ultimo film di Agresti, una ricerca di un padre come è El Abrazo partido, ma in questo caso il padre è ritrovato fisicamente fin dall'inizio del film, solo che va conquistato nuovamente dopo i traumi degli ultimi trent'anni di Storia argentina. non solo, egli svolge un lavoro carico di significati reconditi come il panettiere, mestiere evocativo del rapporto primario con la vita, con la sopravvivenza, con la vita sana e normale, l'alimento e la negazione della fame. Il bello dei film di Agresti è che improvvisamente inserisce un elemento per cui la pellicola che sembra raccontare su un livello trasparente si rivela ben più complesso e allusivo gradualmente introducendo personaggi che si presentano vieppiù come caratteri, stereotipi utili per compendiare laggiù, nel profondo sur - come già in L'ultimo cinema del mondo -, la molteplicità di storie argentine è meno surreale del film di quattro anni fa, ma riprende non solo nel titolo italiano (l'orrido Tutto il bene del mondo) la stessa ricostruzione di una comunità metaforica intenta a ricostruire una convivenza possibile. La novità è che il percorso è meno esasperato e più attuabile: il fornaio che ha rischiato di essere annoverato nel computo dei desaparecidos era un idealista che vagheggiava un mondo migliore e quello che alla fine si arrende a tentare di costruire è "un mondo meno peggiore" come recita il titolo, ma anche una delle battute chiave, che fanno da chiave di volta: una speranza anche per il militare vergognoso di esserlo stato per quello che ha fatto il Proceso militar e che ha reso disadattato anche il figlio (in una storia parallela e contraria a quella del panettiere: lui abbandonato dalla moglie perché militare e dirimpettaio del fornaio, autorelegato al di là di quel muro di cinta dietro al quale di fronte alla perturbanza dell'arrivo della ex moglie con la bellissima figlia - Julieta Caridnali - cerca riparo e protezione per un sistema precario di autoconservazione in uno stato di sospensione). |
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La stessa attenzione maniacale sembra applicarsi alla perlustrazione dei volti nel film di Burmann. L'abrazo partido è di nuovo quello di un padre mitizzato, che è presente solo nei racconti e che forsenemmeno di sfuggita si vede nel finale, tanta è l'ambigua rapidità con cui viene introdotto nella vita del giovane. In questo caso lo spaesamento è dato dall'ambientazione in un grande magazzino bonaerense, claustrofobico e percorso da incancreniti rapporti tra vicini, caratterizzati per l'appartenenza a comunità, in questo caso la tradizione ebraica viene analizzata con una macchina da presa sempre alle spalle del protagonista in un pedinamento che lo rende vittima della sua appartenenza, quanto lo è la testimonianza epistolare della pellicola di Agresti, quando l'emozione di Julieta Cardinali alla scoperta che la vecchia lettera d'amore che sta leggendo è quella di una ebrea sfuggta alla Shoa. Ecco, come la lettera d'amore si rivela lettera di sconforto, così il film improntato dapprima alle vicende amorose diventa un'opera di denuncia sociale, di descrizione del quotidiano e di scelte coraggiose. Allo stesos modo proprio nei rapporti dietro il separé con la bella vicina di negozio si comincia a cogliere il disagio del ragazzo bisognoso di trovare le proprie radici, che non siano quelle mitizzate dai ricordi altrui (della madre o dell'amante di lei o del barista del centro che evocano sempre lo stesso episodio racontato inmodi diversi ogni volta). |
Nell'epilogo torniamo al nord, stavolta a nordest dove i grandi fiumi formano un dedalo di canali inondando le terre della poco ospitale provincia di Corrientes: Los Muertos di Lisandro Alonso ribadisce la struttura con l'uscita da un penitenziario: di nuovo un movimento iniziale che spinge a fare i conti con una realtà diversa in cui cercare di orizzontarsi; e di nuovo c'è un rivolgersi alle radici, in questo caso ancora più marcato e segnato dalla graduale perdita dei connotati esterni alla natura dei grandi fiumi: la cultura si esprime sempre più nei termini imposti dall'ambiente e dismette i panni "civili" del carcere e delle sue abitudini di lavoro del legno e di rapporti con gli altri. |
L'importante è essere usciti dall'impasse lasciando sul percorso le vestigia delle necessità indotte in un meccanismo di spoliazione fino a mettere a fuoco quei bisogni primari da cui ripartire a ricostruire una società di valori in cui riconoscersi |
Prima Puntata |
Adriano Boano