14/11/97
Rumori di assestamento, scosse... terremoto!
Cinemah e
Falso Movimento sono arrivate
al Festival. Sgomitando e offrendo l'altra guancia (collaudata
tattica che spiazza inevitabilmente chi si oppone al passaggio),
abbiamo ottenuto ciò che volevamo. Con la nostra doppiezza
abbiamo convinto il Direttore in persona a
testimoniare di fronte alla security (che richiedeva un
intervento formale) a favore dell'assegnazione di uno spazio, anzi
due, forse più: durante il giorno, il grosso della
multiredazione si sposterà silenziosa e guardinga tra una sala
e l'altra, con presenze, speriamo non troppo sporadiche, in sala
stampa, per redigere questi bollettini, per coordinare il lavoro dei
redattori, per incontrare chi chiede di noi (non è difficile
superare la security dell'Ufficio Stampa - vedi la tattica
sopra enunciata); con l'arrivo dell'oscurità, verremo allo
scoperto, appena nascosti dal divisorio che cela la sala incontri del
PalaFestival (dimenticavamo... è sempre in questa
tensostruttura che si trova l'Ufficio Stampa, ma attenzione,
perché alle 19 si chiude e chi s'è visto s'è
visto, compreso chi deve lavorare o chi deve ritirare un pass),
praticamente di fronte al banco della Lindau e del progetto
Media.
La presenza di un redattore dotato di PC in questa postazione
sarà il più possibile continua, ma non si pretenda che
noi immoliamo un martire perennemente lontano dai film e (ancor
peggio) incollato a un monitor 9"! Se ci volete e non ci trovate,
lasciate un segno del vostro passaggio, un messaggio alla
security, un biglietto al banco Lindau, ... mandatecelo a
dire, insomma, oppure perseverate e avviate la caccia all'inviato,
fissando il pass di tutti quelli che incontrate; a volte, così
nascono anche amicizie importanti...
Dopo avervi fornito le coordinate, passiamo ai veri e propri rumori incontrati e uditi al nostro arrivo. Preferendo evitare la rituale e ripetitiva cerimonia di apertura per non scrivere e farvi leggere le stesse cose dell'anno scorso, siamo arrivati un poco dopo le 21, solo per trovare una scena consueta e di cui chiunque sia mai stato al Festival è stato testimone: andando per ordine, la coda, la ressa, la rabbia di chi non è riuscito a entrare, con aggiunta di beffa per chi l'ingresso l'aveva già pagato. Francamente, abbiamo assistito tante volte a questa scena (e stentiamo anche ad individuare una soluzione al problema, che non sia un inflessibile contapersone all'ingresso), che ci stupiamo forse maggiormente della rabbia altrui che non della situazione stessa.
Ed eccoci dunque a redigere queste note, avendo sfuggito una
spiacevole attesa che rischiava di diventare logorante, attendendo da
eventuali colleghi infiltratisi nella sala o da più
abbordabili repliche nei prossimi giorni, un commento sull'atteso
film della prima: The Full Monty di Peter Cattaneo (i
commenti all'uscita paiono unanimemente - troppo? - positivi).
Altre note e ricordi arriveranno comunque, poiché le altre
sale (il cinema Massimo ne ha tre e il Festival ne ha aggiunte altre
negli ultimi anni, in genere riservate a sezioni particolari, come il
concorso lungometraggi o Spazio Italia) erano più accessibili.
Ecco in arrivo, per esempio, impressioni su
The edge di Robert Kramer.
Intanto spendiamo due parole sull'editoriale
con cui il direttore del Festival, Alberto Barbera presenta la
manifestazione sulle pagine torinesi di Repubblica: l'assunto di
fondo, condivisibile, è l'importanza che hanno i festival per
diffondere e permettere in alcuni casi la distribuzione di film che
altrimenti sarebbero inve(n)dibili (i casi recenti citati sono
Hana Bi e
Il sapore della ciliegia - a cui aggiungiamo
volentieri Il dolce domani). Abbastanza vero: queste
pagine sono una testimonianza di fede in manifestazioni di
questo tipo, anche se vorremmo che si facesse di più
perché i festival, oltre che la funzione di volano per la
visione ed eventualmente il mercato, esercitassero con più
convinzione (anche organizzativa) quella di spazio aperto
cinematografico, occasione di visione per tutto il pubblico; in
questo senso, va detto, Cinema Giovani presenta
limiti come tutti ma è forse tra le
iniziative più attente ed attive nel panorama
italiano.
Il punto seguente del ragionamento di Barbera, forse una frase
buttata lì, ma sulla quale vale la pena soffermarsi, è
quello che più ci trova dubbiosi: Barbera nota che sia la
televisione (per motivi di auditel), sia i cineclub (per motivi di
sopravvivenza economica) hanno rinunciato a "educare" il pubblico
cinematografico.
Educare?
Già una nota rivista d'ispirazione liberal-democratica ha
pomposamente annunciato in copertina la prossima rivincita degli
"apocalittici", ma che si ritorni ai precetti di Bernabei ci sembra
francamente eccessivo. Se l'occhio cinematografico andasse "educato",
allora dove la metteremmo la violenza percettiva di TUTTI i festival,
dalla parte dei buoni o dei cattivi? L'occhio va, secondo noi,
forzato, sviato, esercitato al discrimine e in certi (pochissimi)
casi è lecito addirittura raggirarlo.
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