Festival Internazionale Cinema Giovani

Rumori
Bollettini, circolari, circolazione di voci e sospiri dentro e fuori sala

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14/11/97 (
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23/11/97
Impellente si fa una domanda: Il patentino da collaboratore del Festival è rilasciato a vita? Se così non fosse, segnaliamo che il pubblico più affezionato comincia a dare segni di insofferenza, anzi ad avere conati di vomito di fronte al cinema indipendente americano. I motivi rasentano la schizofrenia: da un lato non si capisce bene quale indipendenza possano vantare i prodotti nascosti dietro al fittizio paravento dell'aggettivo che li accomuna, dall'altro ormai alle prime sequenze del film ognuno sa cosa lo aspetta, riuscendo ad incasellarlo in una delle tre, quattro maniere del cinema indipendente e dunque così ciascuno dà una definizione (o meglio si crea mentalmente un paradigma negativo) di tale categoria di cinema, contribuendo suo malgrado a perpetuarla.

Può trattarsi del giovanilismo violento e scurrile, che finisce in tragedia dopo aver iniziato con ammazzamenti (es.Grevesend); ridursi allo scarno nocument (altro insopportabile neologismo) di stampo sociale sulla falsariga di un anacronistico cinema-verité (es. Waco: per quanto l'operazione possa essere apprezzabile negli intenti di denuncia, il piglio sembra troppo ancorato a stilemi anni '70); o peggio ancora fingere di essere imparziale spettatore, e perciò rimanere senza mordente, su temi degni soltanto dello scherno più feroce e non di un impegno militante, che non è più tale nel momento in cui si attarda a presentare invasati e santi con stigmate in modo semi-serio (Touch). Non ne possiamo più di certo cinema politically correct spacciato come fondamentale da chi è da troppo tempo trasferito negli USA per cogliere quale sensibilità si può sviluppare al di fuori del colonialismo americano, che ha trovato il momento di più fastidiosa e irritante vetta nel rozzo (ed è l'unico pregio del film) western televisivo e reazionario ("Theodore Roosevelt fu il miglior presidente degli States") di Milius. La rassegna Americana può darsi sia una merce di scambio con i Festival gemelli (Salonicco, Locarno,...), ma non avrebbe lo stesso ritorno economico una passerella di cinema estremo orientale (Imamura quando mai lo vedremo)? In fondo il Festival non dovrebbe nascere per pilotare il gusto, e non viceversa per farsi orientare dalle richieste commerciali ? E se è per dare visibilità a film che non avremmo giammai potuto vedere, perché non Araki, che la stessa D'Agnolo esalta dalle pagine de il Manifesto o il Lynch censurato o Le Grand Bleu; perché non trasformare l'occasione per una sezione di nome e di fatto Censurata, dove troverebbero ospitalità tutte le pellicole soffocate dalla monopolistica distribuzione e con comprovato marchio apolide?

Senza contare che sembrava una congiura: allo sproposito di film "indipendenti" americani, dalla cui banalità emerge soltanto il geniale Sayles - che non a caso è il più apolide dei cineasti presentati e nel suo film dimostra una sensibilità realmente indios -, si affiancavano 42 ore di Robert Kramer, come uno scandalizzato collega metalmeccanico ha avuto la pazienza di calcolare. Una proposta che ha causato crisi di letargia spiegabilissime: alcuni si sono potuti rimuovere dai sedili solo a Festival concluso e guidando su Corso San Maurizio pensavano di essere ancora sulla Route N°1. Non è possibile diversificare un po' di più le proposte e renderle un po' meno punitive?

Infatti il tratto caratteristico della rassegna è quello di essere frequentata da allegroni con l'ossessione per il suicidio, il sadismo complice, l'insensibilità della guerra,... tanto che l'affollamento della retrospettiva sul cinema messicano si spiega con le grandi risate e i pianti liberatori di scanzonati film surreali e melodrammi strappalacrime, eppure davvero catartici. Un'impresa encomiabile che i collaboratori non-fissi Nuria Vidal e Andrea Martini hanno presentato con competenza e senso dello spettacolo, approfondendola con la perla rappresentata dai mirabili film di Ripstein, colpevolmente scoperto dai nostri esperti soltanto dopo Profundo Carmesì (a proposito: chi è stato il lungimirante distributore europeo?).

Dello stesso livello, seppure colpevolmente ridotto ad una serata senza repliche (un evento da riproporre anche al di fuori dei dieci giorni di kermesse), è l'omaggio a Giulio Questi. Dimenticato, censurato, ribelle e incontrollabile, nonostante l'età. Ha potuto esprimere poche parole e non si è previsto (colpevolmente) alcun contraddittorio con il pubblico; comunque ce ne fossero più spesso di queste iniziative!!

L'organizzazione, sempre rinforzata dagli amici degli amici, è a tratti verticistica, spesso marasmatica, quasi mai efficace. Ma ciò che indigna massimamente i più antichi frequentatori è la profusione di accrediti elargiti ai personaggi meno coinvolti dalla settima arte e che, per colmo di sfregio verso i cinefili meno inmanicati, non usano che minimamente il loro privilegio, impegnati come sono nelle loro più remunerative professioni.

Dunque ci sono alcune proposte. Dimostrare il maggior legame con la città, emulando la massima autorità cittadina: gli anziani aziendalisti di mamma Fiat sono riuniti in un'associazione che fa del paternalismo e della fedeltà una bandiera, questo squallido esempio di subordinazione fino alla tomba chiamato UGAF (Unione Gruppo Anziani Fiat) potrebbe ispirare la formazione di una Unione Gruppo Anziani Festival, formata da coloro che hanno sempre dovuto pagarsi l'abbonamento, non hanno mai ottenuto un privilegio, ma come quei lavoratori codardi sono perduti senza il contatto con la Fiat, nonostante siano stati bastonati per quarant'anni dall'Azienda, così i nostri eroi continuano a onorare l'Ente Festival con la loro presenza colta e preparata e possiedono ormai indelebile sulla loro pelle il marchio delle sedie del Massimo. Vogliamo prevedere un abbonamento in premio per il venticinquennale da distribuire a tutti coloro che potranno dimostrare di non aver perso neanche un'edizione durante una festa a cui parteciperanno i soliti politici di regime, i loro corrispondenti all'interno della gerarchia del Festival e i collaboratori d'Oltreoceano, ormai onorari?

Adriano Boano