Barare

Nanni, giurato a Cannes, dichiarò che uno dei peggiori momenti era stata la visione di Funny games di Haneke. Premesso che nella mia città (Ferrara) Storie non è ancora arrivato, non vi sembra che il nostro abbia avvicinato di molto la sua idea di cinema a quella del regista austriaco? Almeno nella volontà di non "barare" con il pubblico....


Ma Funny games, che era il film odiato da Moretti, barava eccome. Né è possibile sostenere che Moretti abbia visto Storie prima di girare La stanza del figlio.


Nei film precedenti se la prendeva sempre con qualche opera per lui fastidiosa (Harry pioggia di sangue non era affatto male e lui invece ficcava su un lettino il povero Silvestri nella parte di se stesso a fare ammenda per averne discettato encomiasticamente). Funny Games rispetto agli altri film di Haneke era forse meno rigoroso, mantenendo quella glacialità che gli deriva dall'essere ideologicamente convinto di quale sia il corretto approccio alla realtà da parte di un uomo che vuole imbrigliarne lo spirito in un'opera d'arte. Questo non perché il regista austriaco sia presuntuoso, ma perché si affida a un apparato filosofico che abbraccia da Pascal a Horkheimer, da Benjamin-Adorno a Wittgenstein per quel che concerne i dubbi sull'effettiva possibilità di rappresentare il mondo. Questo coinvolge il suo rapporto con il pubblico che è la caratteristica essenziale dei suoi repertori, a cui è tornato con Code inconnu. Sono meditazioni esplicitamente filosofiche che nessun autore nostrano si può permettere e non credo che a Moretti interessino, poiché da noi il punto di osservazione è l'ombelico - proprio a partire da Io sono un autarchico, solo che allora l'ombelico del Movimento era comune a tutti sulla base del personale che era politico - e dunque non si pongono problemi di capacità di rapportarsi alla realtà o di far precedere la propria speculazione da confronti con la fenomenologia piuttosto che sviluppare teoreticamente le intuizioni o le situazioni da affabulare.

> Almeno nella volontà di non "barare" con il pubblico....

sottolineo la diminuzione dei birignao tipici del mondo morettiano in quest'ultima opera, cercando di coinvolgere lo spettatore, senza però adottare i giochi linguistici di Haneke; più subdolamente cerca l'immedesimazione, giocando sul fatto che qualche lutto da elaborare, chi più chi meno tutti lo abbiamo esperito.

La differenza è che non ci interpella direttamente nella nostra condizione di pubblico che assiste ad esempio a un'attrice attirata in trappola, come l'austriaco che ci colpisce con lo straniamento derivante dall'essere pubblico e anche parte in causa, voyeur che assiste impotente finché non stacca la comunicazione con il testo che ci imbriglia e ci fa comprendere quanto siamo responsabili per il solo fatto che vogliamo continuare a vedere, Moretti preferisce invece continuare nella mimesis, pur avvicinandosi al pubblico (con il quale del resto aveva sempre intrattenuto vezzi e strizzatine d'occhio).