L'eccezione femminile

 

CineDonna  

   

 

1. Testimoni diacroniche/sincroniche

Donne ebree e palestinesi di Canaan

 

2. Mundo españofono

Dal Suramerica a la España y regreso

 

3. La Cina dell'interno in espansione fuori dalla tradizione 

 

La compressione degli interni e gli spazi di vita conquistati

   

4. La scuola al cinema 

 

Quando il cinema non va allo spettatore in età scolare...

   
 

Il lamento di Didone...

... o l'angoscia esistenziale di soggetti esclusi (ancora per poco).
Festival Internazionale Cinema delle Donne di Torino

 

Il tratto più appariscente del festival al femminile inventato dalle donne della Mo-Viola torinese è quello di presentare innanzitutto le persone che producono cinema muliebre, far scaturire dal rapporto con loro un cortocircuito che coinvolge il prodotto in quanto mezzo per esprimere i vari mondi percepiti da una sensibilità che si vuole alternativa a quella maschile. L'assunto, e la scommessa, è quello di individuare questa eccezione culturale. La conseguenza è quella che si privilegiano pellicole attente a dimensioni personali immerse in situazioni che fanno da cornice, piuttosto che viceversa. E forse per questo il film giudicato migliore è quello che si occupa del movimento femminista, cercando di farne un'analisi innanzitutto culturale e con quella obliquità tipica del linguaggio metaforico

Figlie della terra di Canaan - Nella Condorelli

E lo fanno percorrendo strade diverse: l'attenzione per le donne palestinesi è una costante che l'anno scorso aveva fatto scoprire Alia Arasoughly e Mai Masri che si ripropone quest'anno con una regista siciliana (Nella Condorelli), appassionata testimone della cultura mediorientale che rende omaggio a Figlie della terra di Canaan senza distinzione di campo, piuttosto cercando elementi in comune di persone sottoposte alla visione maschile di un mondo con parametri diversi da quelli regolati da costituzioni e stati.

A cui fanno cornice adesso i molti contributi del nordeuropa virati su registri diversi, ma tutti con un fulcro centrato sul disagio di vivere che può provenire da ricerca di un'identità, solitudini, meschine eredità che si rivelano unico appiglio per recuperare il passato, l'adolescenza, raro momento di spensieratezza piccolo borghese, fino alle paure indotte splendidamente analizzate e esorcizzate (sarà che le donne hanno subito così tanti esorcismi che sono esperte in materia); mentre i contributi spagnofoni si inseriscono nel programma trovando nella rimeditazione del passato -non solo personale - l'anello che unisce i due immaginari (quello europeo, infarcito di sospensioni della vita in una palude ancora più statica se vista dal punto di vista di donne immerse nella "sicurezza" dell'occidente resa vacua dai rapporti azzerati, e quello sudamericano, ancora ferito dalle operazioni condor), in particolare il film uscito vincitore per la giuria ufficiale che ha voluto sottolineare un originale modo di fare il punto sul risultato di decenni di femminismo. Conferma dell'ottimo momento creativo della cinematografia iberica che nelle sale ha distribuito I lunedì al sole e Lucìa y el sexo, mentre ha inaugurato il Festival a tematica omosessuale di Torino Los novios búlgaros del visionario Eloy de la Iglesia.

Non è da meno il contributo del nordamerica che attraverso Il lamento di Didone individua un fato da seguire, ma con consapevolezza. Recuperando un passato di provincia sepolto, i primi passi nel canto nel calore di una cucina ritrovata nel ricordo, uno stupro del branco impossibile da dimenticare, ma che riemerge negli incontri a vent'anni di distanza e un evento dirompente che fa da pietra angolare di due esistenze parallele a confronto in Perfect Pie. Con la ormai consueta presenza dell'attrice adulta che assiste dall'interno dell'inquadratura alla sua ricostruzione di quell'infanzia e di quella amicizia antica, che nasconde ancora analisi irrisolte, intrecci nelle due esistenze e omertà che solo ricostruendosi l'esistenza e solo dopo si possono ripercorrere. Uscire dall'inespresso: recupero della memoria negata dalla provincia nordamericana, per affrontare le conseguenze di scelte passate.

Molto interessante la sezione (sud)africana, cinematografia che si conferma originale nell'uso dell'immagine documentaristica, questa volta al servizio del racconto di corpi desideranti, che lentamente - ma con determinazione - si aprono alla propria sessualità (Doing it!). E che ha fatto da preludio al festival del cinema africano di Milano, dove si sono sovrapposti i temi visitati qui: donne ribelli all'oppressione maschile in Senegal (Madame Brouette di Moussa Sene Absa), ragazze insegnanti alle prese con l'integralismo assassino del Fis in Algeria (Rachida, Yamina Bachir-Chouikh), ragazze ormai francesi che sentono l'urgenza di fare chiarezza sulla propria radice nel deserto maghrebino e scoprono la verità sulla effettiva madre-zia folle in un'odissea documentaria (Bent Keltoum, di Mehdi Charef, già visto al Torino film festival), ragazze tunisine vendute in città per servire in case borghesi, che hanno un alter ego in bambine con lo stesso retaggio, duplicato una volta di più in bambole d'argilla (Poupées d'argile, di Nouria Bouzid).

riflettere nello specchio

In un festival del cinema torinese non possono mancare le pellicole provenienti dall'estremo oriente. La loro presenza non è mai peregrina: in questo caso non si tratta di Pechino, ma di Shanghai... stesse strade intasate e ricche di movimento - spesso a noi incomprensibile e caotico -, ma sono gli interni soffocati dall'obiettivo a 50 mm a risultare più significativi in una storia di indipendenza femminile, rivendicata e perseguita, dove l'appartamento piccolissimo e fatiscente da riattare diventa opportunità di affrancamento con vista sullo skyline della città in un afflato di speranza per il futuro.
Una realtà distante, eppure sempre asiatica, è quella coreana che conferma nella sezione documentari (Family Project: House of a Father) come la difficoltà sia riuscire a inventare una rete di relazioni all'interno della famiglia. Ma gli umori del cinema coreano sono molteplici, come denuncia la rassegna curata dal museo del cinema, dove l'evento più ricorrente è la punizione, il rimanere con la testa infitta in terra per imposizione di qualcuno assunto come autorità.

Una bella scommessa mal pubblicizzata era quella inaugurata quest'anno con il programma dedicato alle scuole. Le scelte delle pellicole forse poco incisive nel panorama deprimente della cinematografia rivolta all'infanzia, ma il deserto di ragazzini che ha accompagnato le proiezioni pomeridiane rivolte a genitori accompagnati dai ragazzini denuncia la difficoltà di arrivare a un consumo del prodotto cinema diverso e più esteso.

Interessante il corto premiato (Verrouillage Central di Geneviève Mersch), che centuplica la fiaba del principe ranocchio (qui tartaruga), offrendo una serie di stereotipi maschili immediatamente noiosi per la single che poi finisce con l'innamorarsi del vicino, avendo la casa invasa da cloni creati dalla sua ricerca, imperniata sulla parolina magica che rende innocuo l'incantesimo. Ma realmente geniale è un film di Ellen Lande (The Human Race), norvegese, che concentra in una corsa di 2 minuti la miglior spiegazione di quello che ci hanno fatto dall'11 settembre in avanti: il progresso del sentimento di paura scatenato da un'incomprensione: un cane comincia a correre dietro a una bici, nel buio si avverte solo la concitazione e tutti vengono presi dal panico e cominciano a correre sentendosi braccati. una delle migliori rappresentazioni della paura data da un montaggio che velocizza i già rapidissimi movimenti degli attori, travolgendo tutto anche la percezione e la capacità di razionalizzare.
Nota decisamente negativa sono invece le lungaggini, i ritardi, le approssimazioni (il quadro non regolato per minuti o il mascherino a volte sbagliato), ma soprattutto l'enorme spazio lasciato alle autorità, ai committenti che in cambio di 4 soldi (incredibile la pochezza dei fondi elargiti a confronto della prosopopea adottata per pubblicizzarli; il colmo è il nuovo premio del comune, il cui plafond è detratto dal contributo stanziato gli anni scorsi per la manifestazione) pretendono una passerella insopportabilmente lunga: due ore di smancerie del solito Giampiero Leo (regione) o gli sproloqui di Sergio Chiamparino (sindaco) con o senza Paola Pozzi (assessore), fanno preferire una settimana con i talebani a Guantanamo piuttosto che sorbirsi una noia senza motivo come quella. Non parliamo poi della ignobile gazzarra tra proiezionista e pubblico che avrebbe probabilmente preferito vedere il film che era iniziato e che aveva anche premiato.

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1999