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Torino Film Festival 2000La paura nel 2000

Nel 1973 ero troppo giovane per poter vedere "L'esorcista" al cinema. La mia prima ed unica esperienza con questo film, il cui titolo, insieme a poche altre pellicole (i.e. "La notte dei morti viventi" di George Romero) viene alla mente di chiunque quando si parla di Horror con la "H" maiuscola, è avvenuta nel 1982, quando avevo 14 anni, e con un gruppo di amici si organizzavano serate a base di videocassette horror, bibite, dolciumi, scherzacci vari nei confronti di chi si mostrava più pauroso degli altri.Tipico degli adoledcenti: da questo punto di vista Craven, tanto per rimanere in tema, non ha inventato nulla.

Non ho più avuto occasione negli anni a venire di rivedere questo film, ma era talmente impresso nella mia memoria che sinceramente fatico, alla luce di una versione che leggo avere 12 minuti in più rispetto all'originale, a capire cosa c'è di diverso e di nuovo, a parte la fin troppo pubblicizzata scena di Regan-ragno, troppo vista in trailer vari per poterne godere appieno in sala. Così, almeno per quanto mi riguarda, la mia attenzione si è presto concentrata su particolari che a 14 anni non potevano interessarmi, come la sofferta e profonda parabola umano-teologica compiuta da padre Karras, un uomo che ha rinunciato per la vocazione religiosa agli agi che una vita da brillante professionista specializzato in psichiatria gli avrebbe garantito, e che ora a distanza di anni, con una madre morente ed impossibilitata a ricevere le cure necessarie perché non benestante, questa vocazione vede vacillare. Padre Merrin viene dunque a salvare non solo una bambina posseduta dal demonio, ma anche un uomo che ha perso la luce e - insieme ad essa - sé stesso. In un genere come l'horror, che perlopiù si avvale di personaggi schematici e macchiettistici perché l'interesse dello spettatore non deve essere tanto focalizzato sulla loro psicologia quanto su come, quando e in quale orribile modo moriranno, un film come "L'esorcista", che rivela ancora distanza di quasi trent'anni una attenzione non secondaria ai personaggi e che è capace di rivelare particolari diversi a seconda dell'età in cui si assiste alla proiezione, merita di diritto un posto d'onore nel genere horror in particolare e nella storia del cinema in generale. E poi, lasciatevelo dire, una copia così ripulita, rimasterizzata in un audio multicanale che rivela presto, dalle prime inquadrature, non avere troppo da invidiare a pellicole molto più recenti, è un godimento non indifferente.

Pitch BlackTrent'anni dopo e poche ore dopo, il 18º Festival di Torino ci presenta "Pitch Black", di David Twohy. Che sono passati quasi trent'anni si vede, dato il dispiego massiccio di effetti speciali. Ma l'intelligenza di chi ha concepito questo progetto non si è accontentata di ricorrere effetti speciali, per quanto potenti (tutta la prima mezz'ora del film, con l'astronave che precipita, e' da cardiopalma) ed è andata a pescare nelle paure più antiche dell'uomo, o meglio nella madre di tutte le paure: il buio. Quante volte ci siamo rifiutati, persino da adulti, di scendere QUELLE scale perché la luce era in fondo ad esse? Quante volte, prima di pigiare un interruttore, o subito dopo aver aperto gli occhi nel nostro letto in piena notte, ci siamo scoperti, quasi vergognandocene, a temere di essere ghermiti da qualche orribile creatura che approfittava dell'oscurità per impadronirsi di noi? Quanti di noi, diciamocelo, da bambini si rifiutavano di andare a dormire se mamma (o papà) non lasciava accesa una lucina finché non ci addormentavamo?
I protagonisti di "Pitch Black", un gruppo singolarmente eterogeneo dove trovano spazio anche un cacciatore di taglie post moderno ed un pluriomicida, si trovano costretti a fronteggiare le creature mostruose di un pianeta che, contro ogni logica biologica, pullula di vita al calar delle tenebre. Un pianeta dove il sole non tramonta mai, essendo illuminato da tre astri. Ma naturalmente i nostri amici si trovano a transitarvi mentre sta per compiersi un'eclissi... Quello che forse fa davvero paura del buio è che non si riesce a dar forma a nulla: qualsiasi cosa, anche la più mostruosa, diventa più sopportabile quando è in piena luce, quando le sue fattezze non sono affidate solo alla nostra fantasia che, naturalmente, è sempre pronta a regalarci particolari i più raccapriccianti possibili. "Pitch Black" gioca con la paura e diverte. Forse non inventa nulla (la trama è abbastanza dichiaratamente ripresa da "La cosa da un altro mondo" e vi si possono ritrovare diverse citazioni dai capisaldi del genere), ma come prodotto mainstream si rivela estremamente intelligente e ben fatto proprio perché, a differenza di tanto cinema di genere di oggi, non ha paura (è il caso di dirlo) di affidare il suo successo a qualcosa che è più vecchio del mondo stesso.

Federica Arnolfo