RESFEST — Digital Film Festival

 

«Venghino venghino, siore e siori, al grande circo del Resfest: venite ad ammirare tutte le sue incredibili attrazioni e i suoi artisti geniali e pazzi!!»

Per la prima volta in Italia, ha fatto tappa nel capoluogo torinese il festival itinerante del cinema digitale: un’occasione ghiotta che ha richiamato un pubblico onnivoro, amante dei videoclip e degli spot che ha avuto la possibilità di partecipare a incontri, workshop e party (tra cui quello delle nuove stelle dell’etichetta culto Warp, i Jackson and his computer band, tenutosi all’HMA). Erano presenti le opere dei figli della sacra trinità del video Cunningham, Jonze e Gondry.

Io ho assistito al modulo serale di domenica 30 che si è aperto con uno dei pochi lungometraggi presenti nella rassegna, Ginga: the Soul of Brasilian Football. Partendo dall’assunto che tutti i brasiliani sono bravi a giocare a calcio (e gli italiani mafiosi, e i francesi snob, e gli americani coglioni...), i tre registi girano dei corti legati ai desideri e ai sogni di ragazzi di diversa estrazione sociale, dal medio borghese a quello che vive nella favelas (la maggior parte) che si può riassumere in un’unica frase: «voglio giocare a calcio in una squadra professionistica».

Se vi state chiedendo dove sta la novità, visto che il 90 per cento degli adolescenti del globo mediamente poveri cerca il riscatto sociale attraverso lo sport più pagato, cioè il calcio, vi dirò subito che la novità non c’è. Ci sono immagini di volti che raccontano un disagio e una miseria quotidiana, ci sono gambe che danzano muovendosi intorno a un pallone come se stessero ballando la samba (ed è qui che viene in parte spiegato il significato di ginga cioè quel particolare modo di muoversi che, importato dagli schiavi africani, è stato assorbito dal modo di ballare, giocare e combattere nella capoeira dai brasiliani), c’è un montaggio senza tregua che ti costringe alla massima attenzione. Bello, anche se un po’ troppo furbetto: sembra uno spot della Nike e indovinate un po’ chi è uno degli sponsor del festival? Bene, bravi, 7+!!

Ha poi fatto seguito la sezione «Videos that rock», con una vasta gamma di clip inventivi e slegati dal con/testo che dovevano illustrare. Fra i migliori:

 

The Sun: Romantic Death. Alex Nam attinge a piene mani dal sito beautifulagony.com e crea un montaggio di volti travolti dall’orgasmo.

The Willowz: I Wonder. Michel Gondry trasforma un barbone in un geniale ingegnere aeronautico che frequenta il jet-set.

 

Soulwax: E-talking. Una notte in un club in cui viene sovraimpresso il dizionario delle droghe.

I video di Lcd Soundsystem in cui il fontman Tim Murphy si diverte a riprendere e stravolgere l’equalizzazione creata da Gondry per il video dei Daft Punk Around the world ridicolizzandolo nella sua Daft Punk is playing at my house (sopra: sembrano gli Oompa Loompa di Tim Burton) e il piccolo capolavoro di Tribulations in cui entra e esce da proiezioni super8 e teatri di posa.




Terza e ultima parte dedicata ai cortometraggi: Shorts One.

 

Jane Lloyd per la regia di Happy (ideatore di tutti i video di Adam Freeland) è semplicemente fulminante: due minuti per raccontare the rise and fall della protagonista con il solo ausilio del nome. Jane Lloyd sul braccialetto del neonato; Jane Lloyd sulla torta di compleanno; Jane Lloyd sull’attestato di laurea; Jane Lloyd sulla patente; Jane Lloyd sulla foto segnaletica; Jane Lloyd sulla porta del camerino…

La vie d’un chien di John Harden omaggia la costruzione fotoromanzata usata da Chris Marker per il suo La Jetée, per raccontare la storia di un virus che trasforma gli uomini in cani e li riporta a una libertà sensuale ormai dimenticata.

What Goes Up Must Come Down di Adam Smith, regista dei video di The Street e presente a Torino, crea un videoclip in cui tutti i personaggi che entrano in un taxi cantano la storia della loro notte e il taxista, su una base grime, gli risponde che «Ciò che va su, deve poi tornare giù».

Winner take Steve. Assolutamente surreale: l’unica soluzione per due ragazzi che si chiamano Steve è battersi in una gara di corsa in cui il vincitore potrà riappropriarsi della propria identità. «Sì, io sono Steve». Il regista Jared Hess è un giovane da tenere d’occhio: il suo lungometraggio ora nelle sale è quella summa di slackers e perdenti che corrisponde al nome di Napoleon Dynamite.

 

Rehearsal del francese Malaprade è una sfida alla forza di gravità nel girare una scena: prima con gatto, poi senza!

In attesa del prossimo passaggio del circo Resfest,

saluti a tutti

Fulvio Faggiani