Basta un chicco di cacao... e la fabbrica va su!
LA FABBRICA DI CIOCCOLATO
regia di Tim Burton, Usa, 2005
Il
piacere derivante dalla lavorazione e dalla conseguente degustazione dei
chicchi di cacao aveva già alimentato la fantasia dello scrittore inglese
Roald Dahl, a cui spetta il merito di aver concepito sulla carta la figura
di Willy Wonka, protagonista del suo libro, ora genio surreale nelle vesti
di Johnny Depp, grazie alla reinvenzione visiva curata da quel folletto dell'immaginario
che da sempre incarna Tim Burton, regista attento a coccolare stravaganti
pulsioni oniriche infantili, mescolando astutamente tenera cortesia,
eleganza, crudeltà e sogno nel divertimento di chi sa di poter contare su
numerosi occhi attenti a lasciarsi cullare dall'illusione che altri mondi
sono possibili, a condizione di mettere tra parentesi certezze indiscusse,
verità scientifiche o soltanto prese di posizioni pseudo-adulte, per
rivendicare la dolcezza dell'essere al mondo in qualità di bambini,
seppur consapevoli del proprio destino, con il diritto di rivendicarlo di
fronte a chi tenta di morderlo ingiustamente, magari perché da sempre "diseducato"
al gusto per la meraviglia, ingrediente essenziale per trasformare amarezze
in tavolette di prelibato cioccolato vitale.
La realtà produttiva che abita il regno della fabbrica, ermeticamente
descritta in tutte le sue fasi di lavorazione in quest'iniziale sinfonia
visiva, viene spezzata da un gesto inconsueto: una mano, guantata di viola,
infila lestamente un biglietto dorato all'interno di cinque tavolette e
allora la fiaba può dar inizio al suo corso, facendo allontanare la
macchina da presa dal grigio cancello dell'industria, per concentrare nel
suo campo visivo la misera abitazione di Charlie Bucket, una casetta
sbilenca situata alla periferia della città, le cui dimensioni esterne
lasciano immaginare come sia difficile e scomodo viverci all'interno. Le
direttive visive dell'inquadratura sostituiscono la verticalità dell'industria
futurista con le diagonali oblique della tradizione espressionista, come se
si transitasse da un quadro di Boccioni alle scenografie del Dottor Caligari.
La voce off interviene a spiegare chi possa mai abitare quella stramba
casupola, ma le immagini hanno il sopravvento nell'illustrare i personaggi
della famiglia Bucket, a partire dall'unico oggetto che campeggia nella
stanza: un enorme letto occupato da quattro anziani, i nonni paterni e
materni di Charlie, troppo anziani per lasciare il talamo e così impegnati
- da un capo all'altro del letto - a trascorrere il tempo, chiacchierando
amenamente con il nipote, mentre la madre (Helena Bonham Carter, la compagna
del regista non poteva mancare!) è intenta ad affettare il solito cavolo,
che servirà a nutrire il loro stomaco, sia a pranzo che a cena.
Il padre,
il signor Bucket, è l'unica persona della famiglia a lavorare presso una
fabbrica di dentifrici: addetto ad avvitare tappi sopra a tubetti non è mai
in grado di guadagnare abbastanza, però sottrae all'azienda alcuni pezzi
usciti male e quindi inservibili, per regalarli al figlio che li riutilizza
allo scopo di creare un plastico, che, pur ricalcando le fattezze della
fabbrica, sembra comporre uno scenario degno delle fiabe delle Mille e
una notte, non foss'altro per il nitore lunare che contraddistingue l'edificio,
mentre la figurina che lo dirige è un degno abitante dell'immaginario di
Tim Burton, un bianco e fragile scheletrino di tappi del tutto simile al
protagonista di Nightmare Before Christmas (che già faceva il verso
alle movenze di Johnny Depp, musa ispiratrice del regista, che qui lo dirige per
la quarta volta) o alle plastiline in movimento nel film d'animazione, La sposa cadavere,
presentato all'ultima Biennale di Venezia.
È nonno Joe - ex lavoratore della fabbrica, trovatosi poi disoccupato
perché Wonka a un certo punto decise di licenziare tutti a causa della
presenza di spie, infiltrate per rubargli le ricette segrete allo scopo di
rivenderle alla concorrenza - a raccontare stavolta al nipote e al pubblico
la storia di quello strano personaggio, «sorprendente, fantastico e
straordinario»: un vero mago del cioccolato e al contempo uno scienziato
pazzo, capace di edificare la più grande industria dolciaria della zona. E
mentre la narrazione procede a illustrare le molteplici invenzioni partorite
dalla mente geniale del padrone, il nonnetto diventa man mano arzillo e
vivace, come se la stanchezza derivante dall'età scemasse di colpo al
ricordo del sapore di quelle prelibatezze. In flash back si assiste
addirittura al suo assaggio in diretta di un ovetto, offertogli da Wonka in
persona, che entra in scena per la prima volta, seppur nascosto dietro una
vetrina colorata: s'intravede solo l'incerta sagoma del viso, una
silhouette che contribuisce a rendere ancora più interessante la sua
assenza, alimentandone l'aura di mistero. Un primo piano di nonno Joe
immortala la sua smorfia di piacere, mentre sugge delicatamente l'ovetto,
che dischiude una sorpresa solo a scioglimento avvenuto: al posto dell'uovo,
appeso alla sua lingua, è rimasto un simpatico e dolce uccellino di colore
rosa!
Se fin qui il film pareva quasi girato in bianco e nero o in dominanti
monocromatiche (le gamme di grigio per l'esterno della fabbrica, le
sfumature calde pastello per l'interno della casupola), con la comparsa
seminascosta di Willy si assiste a un tripudio di colori accesi, vivaci come
nella pop-art.
La geniale trovata crea immediatamente e ovunque una frenetica caccia alle
tavolette fortunate: supermercati presi d'assalto, bazar letteralmente
svuotati e pasticcerie assediate dalla folla devono fronteggiare il delirio
consumistico, indotto dal desiderio di poter diventare "uno dei cinque"
premiato dalla sorte: un eroe della pubblicità, un beniamino da emulare
nella rincorsa a chi compra di più, per guadagnare una visita nel paradiso
del cioccolato, senza sapere se si tratti in verità di un inferno
castigamatti, perché è sufficiente titillare l'immaginazione con l'idea
di poter disporre di scorte di dolciumi per tutta la vita. Dahl scrisse il
libro nel 1964, anticipando scenari futuri sia dal punto di vista della
disoccupazione conseguente alla totale automazione della forza lavoro (alla
catena di montaggio il signor Bucket verrà infatti sostituito da un robot,
ma sarà alla fine reintegrato in fabbrica con la qualifica di riparatore
della macchina medesima che gli aveva scippato il posto), sia prefigurando
le derive consumistiche, generate dal benessure e dal moderno stile di vita
veicolato dalla televisione. Il grottesco quartetto
ancora non sa che Willy Wonka troverà la maniera di punirli (senza
sopprimerli ovviamente), portando al parossismo le qualità vantate da
ognuno, che, in base alla legge del contrappasso, finiranno per trasformarsi
in altrettante spade di Damocle: il ghiotto Gloop naufragato, a causa della
sua ingordigia, in un fiume di denso cioccolato fondente verrà risucchiato
attraverso una tubatura e spedito nel reparto delle praline; Violetta
troverà il modo di esibirsi masticando "una gomma da pranzo" che la
farà gonfiare all'impazzata, riducendola a un mirtillo di colore blu; la
capricciosa Veruca verrà assalita da centinaia di scoiattoli addestrati a
estrarre i gherigli delle noci per essere gettata nell'immondizia e la
stessa sorte colpirà il padre, proprietario di una fabbrica addetta alla
confezione di noccioline americane, reo non solo di aver viziato la figlia
oltre misura, ma anche d'aver costretto le sue operaie a scartare migliaia
di tavolette alla ricerca del biglietto d'oro, sottoponendole a un
turnover incessante e massacrante; persino Mike Tivù troverà la sua pena
nel girone del telecioccolato, spezzettato in milioni di piccolissimi
frammenti invisibili viaggerà attraverso l'etere per essere ricomposto
sullo schermo, seppure in versione ridotta e rimpicciolita: la sua
teletrasmissione lo catapulterà sul set del film di Kubrick, 2001: Odissea nello spazio (la
citazione è di Burton, non poteva esserci nel libro perché il film non era
ancora uscito), collocandolo accanto al monolite che le scimmie guardavano
già con stupore, perché l'esperimento precedente l'aveva sostituito
con una tavoletta di cioccolatoÉ Wonka!
E il povero Charlie che fine ha fatto? Dopo l'amara delusione che gli ha
rovinato il compleanno, senza privarlo del piacere di dividere la tavoletta
con il resto della famiglia riunita per festeggiarlo, egli tenta ancora la
sorte grazie al gruzzolo segreto di nonno Joe, che una sera lo chiama
furtivamente per fargli scivolare in mano l'unica monetina d'argento da
sei pence, contenuta in un decrepito borsellino di pelle. L'anziano
lo invita a procurarsi un'altra confezione Wonka, per cercare di
acchiappare l'ultimo biglietto mancante: insieme la scartano con le dita
che tremano per l'emozione, ma anche stavolta l'involucro non farà
sfavillare sotto i loro occhi l'agognata carta dorata, nonostante questo
entrambi si rendono conto che l'intera faccenda ha anche un lato comico e
finiscono per scambiarsi un ennesimo sguardo di complicità.
Il regista si concede altresì il piacere di posticipare ancora un po' l'ingresso
di Wonka, per deliziare gli spettatori con un teatrino delle meraviglie,
fatto di marionette animate che cantano le virtù del loro padrone fino a
uno scoppio improvviso (ma non imprevisto) di fuochi artificiali, che,
generando un cortocircuito, finiscono per bruciare i bambolotti, provocando
così il brusco arresto di quel buffo spettacolo, di cui viene messo in luce
anche il lato oscuro e inquietante, facendo riferimento a svariati film dell'orrore
ambientati nei luna park.
La sequenza risulterà prolettica per comprendere
il significato della visita donata da Wonka ai bambini, perché dietro ogni
sua trovata e invenzione stupefacente si nasconde in realtà anche l'altra
faccia del sogno, fatta di incubi grotteschi e paure ataviche, le stesse
sperimentate da Willy durante l'infanzia, perché anche lui è stato un
bambino e probabilmente continua ad esserlo, perpetuando l'ingenuità e
anche il desiderio di ribellarsi ai divieti degli adulti. In questa scelta,
che scalfisce la figura a tutto tondo di Wonka per sottolinearne anche
manchevolezze e debolezze, il regista diverge dallo scrittore: decide
infatti di inventarsi una storia pregressa (visitata solo in flash back, una
cifra stilistica a lui cara), che gli servirà nel finale per dare una
lezione di vita anche a Willy stesso, riconciliandolo freudianamente con il
padre dentista (il severo e truce Christopher Lee), reo a sua volta di aver
sempre impedito al figlio di assaporare la dolcezza insita nei cioccolatini
e quindi il piacere di gustare le bellezze della vita, intrappolandogli la
bocca con un apparecchio odontoiatrico simile a un terribile strumento di
tortura. Johnny Depp incarna alla perfezione l'alternarsi dei
comportamenti di questo complesso personaggio: senza soluzione di
continuità passa dal sorriso al ghigno sardonico, fondendo eleganza a
malvagità, cortesia a follia, genio a sregolatezza. Appare tenero il suo
incespicare balbuziente di fronte all'impossibilità di pronunciare la
parola "parenti", come la sbadataggine che lo apparenta agli attori
delle gag del cinema muto, quando inciampa contro le pareti trasparenti del
suo ascensore di cristallo multidirezionale e senza fili, ruzzolando
comicamente a terra. L'immaginazione ingegnosa di Burton dà il meglio nei siparetti musicali inscenati dagli Oompa-Loompa, nanetti dalla buffa capigliatura, che Wonka ha direttamente importato dalla giungla di Loompalandia. Poiché si nutrono esclusivamente di chicchi di cacao, ormai scomparsi dalla loro foresta, hanno accettato di convertirsi in operai della fabbrica di cioccolato, prestandosi a fare anche da cavie negli esperimenti stravaganti del loro padrone. Agli Oompa-Loompa, dispettosi e inclini allo scherzo, viene affidato il compito di commentare le disavventure che, a turno, porteranno all'eliminazione dei quattro ragazzi - odiosi, prepotenti e voraci - dalla competizione: i loro coretti, analizzando l'accaduto in maniera ironica, hanno il pregio di raccontare la morale della favola in modo originale. Alle canzonette in rima, simili a buffe filastrocche (i cui testi è possibile consultare nel libro), il film aggiunge una coreografia vivace, ispirata al musical e anche a certa cultura televisiva già mediata dai lazzi del primo John Landis (Ridere per ridere): accurata la scelta dei costumi dei minuscoli folletti, le cui tute variano di colore (rosso, blu, nero, giallo e bianco) a seconda degli ambienti in cui si trovano e in consonanza con la punizione che stanno infliggendo al malcapitato. Il bravissimo Deep Roy, che dà corpo e viso a tutti gli Oompa-Loompa (femmine comprese) in quanto clonato innumerevoli volte sullo schermo, nella versione italiana ha la fortuna di essere doppiato da Arnoldo Foà, che assegna alla sua voce un timbro profondo e argentino, rendendolo sorprendentemente adatto a recitare la parte dell'io narrante.
Se nel libro l'intento del concorso ideato da Wonka era quello di trovare
l'erede giusto per continuare i sogni di un cioccolatiere («Mi serve un
ragazzo buono, intelligente e affettuoso a cui posso rivelare tutti i miei
preziosi segreti per la fabbricazione di dolciumi mentre sono ancora vivo»),
nel film tale desiderio si accentua, indirizzando la ricerca nel campo di
sentimenti più nobili e determinati, come il rispetto per la propria
condizione, l'affetto nei confronti della comunità familiare, sommati
alla curiosità, al piacere per la novità, all'assenza di avidità e
competizione. paola tarino |