Ruggine, petrolio e sangue: i collage di Stephen e Timothy Quay
Entriamo in ritardo, sullo schermo un ambiente strano. Si cercano i posti, al buio. Qualcuno sventola una mano per chiamarci, un occhio ai gradini, l'altro allo schermo. Non ci si fa subito un'idea del genere del film, come entrando in ritardo a certe proiezioni: si pensa ancora a qualcosa che sta fuori.
Scale bianche, forse gialle, il film è in bianco e nero. (Rehearsals for Extinct Anatomies di Stephen e Timothy Quay - 1987) Scale viste di lato, poi di fronte, dall'alto. Scritte. Scale scritte. C'è una linea che si forma da sola, senza mani: parte dal basso, sale fino all'ultimo gradino poi scompare, si cancella. Ora è doppia, tripla.
Stanze, una di fianco all'altra, grigie, i muri sembrano di metallo, poi compare una bambola orribile, proprio mentre sistemiamo le giacche sulla poltrona davanti. Sembrerebbe un bambino ma quello che fa fa pensare più ad un adulto, perché affonda un polpastrello in qualcosa di morbido, una specie di grosso brufolo che gli esce dalla testa, compiendo un gesto meccanico e circolare.
La mollezza della protuberanza sulla testa del pupazzo stona fortemente, perché tutto il resto di quello è chiaramente di materiale rigido, forse di legno dipinto, forse di plastica dura, di metallo. La mdp però insiste per molti secondi. Poi lascia che il pupazzo continui in questo suo masturbamento per andare ad inquadrare una stanza attigua, grigio metallo anche quella e anche quella abitata da bambole orribili. '
È un universo chiuso quello dei film dei fratelli Quay, fuori dallo spazio e dal tempo' simile allo spazio tempo onirico: quello di Un Chien Andalou per intenderci
Una palla bianca scende i gradini della scala scritta e arriva in fondo ma poi ricomincia a scendere come non lo avesse mai fatto, si compongono e scompongono le forme. Certe inquadrature ricordano i collage di fotografie e stoffa di Gunta Stolzl degli anni venti eppure i fratelli Quay nascono molto dopo e geograficamente lontano dal Bauhaus (Phildelphia, 1947). Inizialmente disegnatori, poi illustratori di libri dichiarano in un'intervista di trovare belli gli anonimi dipinti ex-voto. 'Sono così primitivi
'.
Ora in primo piano una specie di mummia, la sua testa ha un occhio solo. L'occhio si muove come a guardarsi intorno, fa un po' paura per la sua deformità ostentata, per l'orrore del farsi guardare in tutta la sua violenta bruttezza, perché come noi guarda e forse come noi vede (e si/ci vede in) una realtà deforme, di immagini animate, automi-robot-marionette.
Tra le "cose" (Street of crocodiles- di Stephen e Timothy Quay -1985) una scatola a righe diagonali bianche e nere '
che sembra rubata da Un Chien Andalou', poi un negozio di sartoria dove i manichini sono senza capelli, le orbite vuote. Di nuovo il contrasto di materiali la 'tattilità degli oggetti': un fegato molle incartato dalle manine scheletriche di uno dei manichini.
Frequente è l'uso di espedienti tecnici che rendano l'inquadratura confusa: macro lenti, messa a fuoco di una parte dell'inquadratura, come a voler nascondere qualcosa che c'è ma non appare; spesso presenti animazioni di insetti, perlopiù ragni (si prestano meglio a riprodurre il movimento meccanico, a scatti tipico delle marionette).
Le fonti di ispirazione dei fratelli Quay a loro dire sono artisti avvolti nell'anonimato, tuttavia l'ispirazione maggiore l'hanno avuta da Dalì per la pittura, da Kafka per la letteratura. Simpatizzano con i Surrealisti, non disdegnano gli espressionisti.
Si accendono le luci in sala e ci sembra di aver dormito un sonno profondo, siamo meno stanchi e rimaniamo per un po' in silenzio. Qualcosa ci chiede di rivederli ancora, ma il tempo (il nostro) è finito dobbiamo ritornare a Torino e ci dispiacerà davvero di non poterli vedere tutti i film dei gemelli Quay, sono film che non è facile incontrare.