Expanded Cinemah

Minority Report


Regia: Steven Spielberg
Sceneggiatura: Scott Frank e Jon Cohen da un romanzo di Philip K. Dick
Fotografia: Janusz Kaminski
Effetti speciali: Lori Arnold
Montaggio: Michael Kahn
Direzione artistica: Ramsey Avery, Leslie McDonald e Seth Reed
Scenografie: Anne Kuljian
Costumi: Deborah Lynn Scott
Musica: John Williams
Produttori: Jan de Bont, Bonnie Curtis, Gerald Molen e Walter F. Parkes
cast: Denis Lavant (Galoup)
Michel Subor (Forestier)
Gregoire Colin (Sentain)
Marta Tafesse Kassa (Young Woman)
Richard Courcet, Nicolas Duvauchelle, Adiatou Massidi, Mickael Rakovski, Dan Herzberg, Guiseppe Molino, Gianfranco Poddighe, Marc Veh, Thong Duy Nguyen, Jean-Yves Vivet, Bernardo Montet, Dimitri Tsiapkins, Djamel Zemali, Abdelkader Bouti (The Platoon)
Produttori: Jerome Minet, Patrick Grandperret

cast:
John Anderton - Tom Cruise
Ed Witwer - Colin Farrell
Director Burgess - Max von Sydow
Agatha - Samantha Morris
Jad - Steve Harris
Officer Fletcher - Neal McDonough
Knott - Patrick Kilpatrick
Gideon - Tim Blake Nelson
Lara - Kathryn Morris
Leo Crow - Mike Bender
Anne Lively - Jessica Harper
Rufus Riley - Jason Antoon
Dr. Solomon - Peter Stormare
Greta - Caroline Lagerfelt
Dashiell - Matthew Dickman
Arthur - Michael Dickman
Dr. Iris Hineman - Lois Smith


"La Prevenzione è l'opposto della Democrazia"
Sergio Romano, Prima pagina, radiotre, 7 novembre 2002, ore 7,21

Quasi una parodia grottesca dei disgraziati: uno scalcinato capo-poliziotto, in predicato di essere degradato e accusato di omicidio, si trascina per un centro commerciale, non-luogo per eccellenza, con, abbarbicato a lui, un esserino incomprensibile e di aspetto sgradevole, glabra ragazza con fattezze infantili e il vecchiume addosso, una sorta di J. F. Sebastian al femminile, ma molto più inquietante: a ognuno dei due manca qualcosa per vivere decentemente, sono una specie di gatto e volpe, di cieco e zoppo che si sostengono a vicenda. L'uscita dal centro sarà in qualche modo l'uscita dal tunnel dell'incomprensibilità della situazione, in quella fase di Minority Report in cui tutto si complica, perché il film è più esaustivo ed esplicito del racconto di Dick; ma ne paga lo scotto con un certo appesantimento.
Non appesantiscono, per una volta, le citazioni cinefile, o anche solo le analogie, che sono - almeno quelle che ho individuato io - belle e illustri. Cominciamo, allora, da 2001: come nel film di Kubrick la ricorrenza del gesto estetico - i viaggi della navicella - era sottolineata dai valzer di Strauss, qui il "gesto" di Tom Cruise che compone come un direttore d'orchestra le immagini sullo schermo si accompagna all'Incompiuta di Schubert; poi c'è la vasca di galleggiamento dove stazionano i precog, inquietanti sottoesseri messi a bagnomaria come nel didascalico e finto-psichedelico Stati di allucinazione di Ken Russel; aleggia invece, senza essere una citazione diretta, lo spirito che informa tutto Solaris: dare corpo e materialità ai pensieri e ai ricordi; chiudiamo poi con una citazione esplicita: i ragni che passano al setaccio lo stabile alla ricerca del potenziale assassino disvelano un complesso condominiale dove succede di tutto (dal sesso alle diatribe) come viene vagliato, da James Stewart, il palazzo di Finestra sul cortile. E forse la piscina popolata di bambini porta con sé qualcosa della spiaggia di Jaws.
Ma, detto questo, il film è molto altro. Intanto: che cosa è successo tra la scrittura del racconto e il film. Beh, è successo per esempio che siamo stati invasi dalle biotecnologie, che entrano nelle nostre vite (per qualcuno in tutta concretezza, pensiamo ai trapianti o alla fecondazione assistita) ma anche nel nostro immaginario, come speranza o come spettro inquietante. Non c'era qualcuno che prometteva il congelamento dopo morto, e non assomiglia a questo l'incapsulamento degli assassini fermati in tempo, messi a invecchiare e etichettati come vini d'annata? (un'alternativa: non fanno pensare anche agli embrioni congelati?).
E poi, sempre tra libro e film, passa l'attualità, quella squallida di oggi. La tentazione di leggere un film nella luce degli omicidi "senza spiegazione" che ci scorrono di fronte nella loro inesausta teoria è forte, e io credo che vada evitata; meglio fermarsi ed esitare sulla soglia di un altro tempo, quello tra l'intenzione di uccidere e la realizzazione (o frustrata realizzazione); che cosa passa nella testa di queste persone che, in maniera ineluttabile, sono proiettate ad agire una loro idea, chi sapendolo chi ignorandolo? Siamo sul filo del paradosso: - come potrei uccidere qualcuno che neppure conosco? Già: chi è il mio prossimo? Eppure arriva, greve nel suo straordinario humour nero, la controreplica: - se non lo conosci, come farai a evitarlo?
Non è, questa, tanto una "predestinazione", come la intendevano Lutero e Calvino, ma prima ancora Agostino, perché qui siamo piuttosto in una pre-cognizione: il problema non è tanto liberarsi o meno di un'azione da compiere, sfuggire al suo destino - anche perché non si può: a un certo punto si dice, ed è vero per tutto il film, che sei tu scelto da ciò che sta per avvenire, non il contrario; il problema è: che cosa sono le tracce che si lasciano - e si lasciano non nella materialità terrena, come per esempio orme nella polvere, o il classico mozzicone di sigaretta o, oggi, i tabulati telefonici - nell'aereo interspazio, fittizio e invisibile, che necessita della mediazione di una sottospecie di creatura: un interpretante, potremmo dire. Un'intenzione. Come si rende visibile, come prende corpo - o meglio, come prende immagine - sullo schermo in dotazione all'agenzia precrimine?
Ecco il tratto più inquietante di Minority Report: degli esseri improbabili e sgradevoli che ci sono indispensabili per capire la realtà. Non è disgustoso? siamo abituati a considerarli dei "poveretti", fanno senso, eppure capiscono più di noi. Siamo oltre anche al disagio che suscitava Freaks: la sua genialità stava nel mostrare che anche i disgraziati più disgraziati erano come noi, perché erano capaci di grandi malvagità, e se sono anche cattivi sono davvero umani. Qui sono gli unici in grado di materializzare la volontà altrui. Ecco, detto tutto questo, bisognerebbe anche dire dell'ironia, che c'è e diffusa nel film, a volte speranzosa a volte allarmante: la conclusione con la moglie ritrovata e fotografata con il pancione, fino a poco tempo fa sarebbe stata tacciata di moralismo, di happy end, di americanata e di melassa buonista. Non è più così: l'immagine ctonia della madre, dell'ancestrale riemergere della vita nonostante tutto - quella per esempio che veniva fuori dall'archeologia di Viaggio in Italia - è stata spazzata via dalle mamme assassine, troppo presto individuate come categoria di appartenenza, ma pur sempre spaventevoli, perché tagliano in senso trasversale la società. Sono ricche e povere, agiate e disagiate; ognuna di loro è un universo del tutto solo con se stesso, nessuno vi penetra e nessuno può pensare di capire. Resta l'ineluttabile, la linea direttrice che porta da una premessa - che non è indispensabile esplicitare - a una conclusione inevitabile nel sangue. A meno che qualcuno intervenga prima. Ma anche l'agenzia Precrimine è destinata a fallire, perché la malvagità umana, il senso dell'inganno, la lucidità che aggira e scavalca la macchina prevale ancora una volta. In questo senso, più che per la questione, accennata in maniera obliqua, della predestinazione, il film rivela un'antropologia del tutto protestante: o meglio, un bel pessimismo antropologico, che fa fuori ogni accusa di "buoni sentimenti" imputabile a Spielberg.
Alberto Corsani
Come dimostra Bowling for Columbine, ma anche, su un piano più politico confermano altre sequenze: i tanti motivi di contesa tra i molti sfaccettati prodotti televisivi sui fatti di Genova e sull'omicidio Placanica; il concitato episodio di Gitai per 11' -09''-01; o ancora come il video dell'episodio degli ostaggi nel teatro moscovita, sia quelli inanimati - dopo l'incursione delle teste di cuoio, sia quello girato durante l'incursione dei combattenti ceceni. Come la pletora di queste produzioni impone all'attenzione, l'unico tema che il potere inetto sovraespone per perpeturasi, nascondendo i suoi misfatti, è quello della Sicurezza.
Un tema a livello planetario con la complicità (o è parte di uno stesso piano orchestrato da istituzioni deviate che si perpetuano, riproponendo in tv aerei che entrano nelle Twin Towers ogni giorno?) dei terroristi: la Sicurezza? Pietra angolare che discrimina la destra dalla sinistra, quella residuale che sfugge a questo cul de sac, cerca di non farsi chiudere nell'angolo del dibattito globalizzante della Sicurezza, ma che finisce con il balbettare genericamente i propri temi per mancanza di visibilità e di innovazione della proposta. Quell'ossessione della Sicurezza non può che condurre al concetto prevaricante - comunque - di Prevenzione: guerra preventiva, ma anche sottrazione di libertà personale a favore della blindatura, del controllo, della interferenza poliziesca nella vita individuale. Fino all'immorale ingerenza che presume e previene il delitto non ancora compiuto, un processo all'intenzione con addirittura un brutale ergastolo fatto di totale oblio e costrizione assoluta, comminato senza processo (tanto il delitto non è avvenuto, quindi non ci sono "fatti" da giudicare)
Un incubo, che nega persino il libero arbitrio nella scelta tra bene e male: non esiste più la punizione per una colpa compiuta (anche Dostoevskij è accantonato di slancio), ma si tratta di previsioni e per di più su basi aleatorie, come lo sono tutte le inferenze derivanti da un'analisi eidologica- il principio del sondaggio fatto sistema scientifico, asseondato dalla prova visiva -: perché l'immagine ha in sé una carica di veridicità ingannatrice. Si inferiscono conclusioni sulla base di dati apparentemente inconfutabili, perché patenti sequenze ("L'ho visto, dunque è andata così"), evidenti in sé, che invece nascondono altre verità. Non solo l'immagine senza alcuna esegesi può subire interpretazioni fallaci, ma si possono sfruttare i meccanismi stessi di questa sorta di moviola per costruire il perfetto delitto impunito: l'impiego del supporto mediatico sofisticato può salvare il colpevole, ma un'attenta lettura dell'immagine può smascherarlo, se si possiede il sufficiente distacco dalle immagini (infatti ad Anderton appare tutto chiaro in riva al lago, senza "suggerimenti visivi")
Ed ecco che, contraddittoriamente, Spielberg punta tutto sull'impatto delle immagini prospettate dall'inizio come tali, "trasparenti", evanescenti, saga dell'ultrapiatto: lui stesso adotta il processo di ammaliamento, appannando dietro quella patina di inganno il racconto di Dick; non lascia venire in superficie con evidenza il fatto che quei lampi di emersione di coscienza dei Precog vengono prospettati nel presente non ancora definitivamente storicizzato, ma che appaiono nella sua traduzione come apparentemente "passato" da evitare e punire, ma ormai passato in giudicato, quando invece rappresenta l'inesistente futuro da evitare e che, negando la predestinazione - su cui si basa la condanna -, si finisce con l'evitare relegandolo nell'in-capitato di un oblio che non può nascondere l'incoerenza del futuro di immagini evanescenti che non saranno più realtà, ma la cui realtà ricostruita e ricomposta arbitrariamente attraverso tasselli di puzzle, diventa sostanza su cui fondare un giudizio definitivo e terribile.
La contraddittorietà è ancora più evidente perché il percorso si prospetta come confutazione di una prova di valido funzionamento data all'inizio come irrefutabile, addirittura la prima sequenza è un successo che dimostra la bontà della Prevenzione. Quindi rimane ancora nel finale il dubbio se non fosse la strada giusta quella criminale prassi di intervento al delitto libero di accadere, che paradossalmente sarebbe preferibile non foss'altro perché si deve poter scegliere, persino biblicamente, tra bene e male quale azione si vuole compiere.
Ma tutto il film ripropone sequenze a raffica improntate a instillare il dubbio sull'effettiva esistenza dei referenti di quelle immagini digitalizzate: l'ologramma del figlio, morto eppure ossessivamente riproposto, della moglie, così simile a quella dell'ultima sequenza in carne e ossa (e ventre che comprende pure un clone del figlio ologrammato) da lanciare una inquietante luce su quel ventre che potrebbe contenere qualcosa di artificiale e da suggerire che quel lieto fine giustapposto sia così iperreale e uguale alle illusioni delle macchine da richiedere una lettura improntata al dubbio che anche quello sia parte dell'immaginazione, lasciando spazio agli oggetti che parlano direttamente al cliente, illusioni tangibili allo stesso modo di qualsiasi narrazione si voglia legittimare con le immagini.
Persino la scena del delitto, falsamente costruito e rivelato da un enensimo punto di vista che non è quello di Anderton o della veggente, ma sta a metà tra la vittima (consapevole più del carnefice) e le foto, falsissime e parte essenziale della messinscena, dunque ancora una volta la doppiezza scalfisce le certezze: il dubbio relativo alla sicurezza si fa speculare perplessità sull'eccesso di prevenzione che diventa abuso. Nazzaro su sentieri selvaggi si scaglia contro il film, probabilmente non a torto, per il principio di normalizzazione e accettazione di un punto di vista blandamente adagiato sul trend fascista di quest'epoca, ma l'accusa di adesione a ottiche destrorse mi sembra solo parzialmente verificata, nel senso che quella accusa di specularità vale solo in quanto la stigmatizzazione dell'abuso fatta in questi termini è parente e debitrice dell'adesione alle politiche reazionarie, giustizialiste e forcaiole che percorrono trasversalmente l'opinione pubblica che più si sente in pericolo: sono parto di identici punti di vista a cui si reagisce in modo più o meno isterico. Quella che manca al film è un'immagine che non sia artificiosa e quindi comunque menzognera (e in fin dei conti allineata con il fumo negli occhi emesso dal potere e non basta cambiare l'iride come fa Anderton per capire l'inghippo: probabilmente sono più adatte le orbite vuote del pusher). Persino la natura è frutto di una sofisticazione e l'episodio della serra nella sua irresolutezza è solidale a questa esigenza di manipolazione globale.
Adriano Boano
 Expanded Cinemah