Una considerazione diversa riguardava l'immedesimazione richiesta nei tre film recenti e nascosta tra le pieghe del fatto che non si spiegano i motivi della scelta proprio di quei personaggi per realizzare lo spettacolo delle loro vite, mentre nel caso di Lindsay il "tipo" indefinito lo è di nome, probabilmente di fatto e si esplicita subito il criterio di scelta, che non prevede transfert, perché è un mondo suo personale, non condivisibile come invece risultano i mondi artificiali costruiti secondo stilemi a tal punto precisi nel dettaglio apposta perché siano i più banali possibili e quindi credibili. A questo proposito si introdussero altri titoli degli ultimi anni (The Game, Abre los ojos, Sliding doors, Lola rennt) e questo allargò il campo delle puntualizzazioni sul linguaggio, coinvolgendo l'ipertestualità.
The Truman Show e i suoi epigoni propagandano un'idea di cinema che rifiuta la condizione di postmodernità. Lola rennt non entra nel gioco delle immagini televisive, rinvia ad un discorso sul racconto a struttura labirintica o ad albero; la struttura narrativa di Matrix non può non prescindere dal videogame. Matrix è strutturato né più né meno come Unreal: a livelli progressivi, ogni volta che i nostri entrano nella Matrice sono ad un livello superiore, di conseguenza i combattimenti sono di più e più duri, e l'uscita (ecco, forse questa è l'unica idea simpatica del film, ancorché mutuata dal nostro Nirvana: il buco di programmazione) più difficile da trovare. Poi alla fine hai accumulato un sacco di punti e ti compri le armi... Quello che disturba alcuni nella redazione è tutto l'impianto filosofico-filosofeggiante del tutto fuori luogo in un film, fracassone e mainstream: preferibile un film che vola basso e mira unicamente a divertire come "Lost in space", senza tanta presunzione e arroganza.
Il cotê filosofico si presenta generalmente pressapochistico con vaghe orecchiature nietzschiane negate da soluzioni neo-testamentarie, supina accettazione del mega-recit fondativo della base della grande narrazione occidentale; se si esula dall'analisi metalinguistica rimane una rimescolatura di narrazioni, sistematicamente sedotte da derive metafisiche, indebolite dalla frammentazione e dalla tendenza ad assumere molteplici punti di vista che impediscono una verità unica. A questo concorre una struttura ipertestuale, individuata particolarmente evidente in Matrix per alcuni dei redattori, scatenando il dissidio presso altri partecipanti alla discussione, perché partivano da concezioni diverse di ipertestualità.
Per questi ultimi l'ipertesto è un continuo rimando tra una parte e l'altra del testo in una struttura a rizoma, Matrix invece appare loro semplicemente un testo con un sottotesto che viaggiano paralleli e ogni tanto si intrecciano. Ipertesto è "I racconti del cuscino" o "L'ultima tempesta" (un'altra forma ipertestuale dove gli intrecci sono offerti da crocevia linguistici di discipline diverse che risalgono ad una forma ad elenco), "Lola Corre". Anche Dark City e' un bel patchwork di citazioni: ma la visione di quel mondo in fieri, che si disfa e ri-disfa ogni notte, unita alle presenze inquiete ed inquietanti degli "strangers", è qualcosa che acchiappa.
Lola è un esempio di deleuziani rizomi ipertestuali, quelli più vicini alla forma labirintica ma di nuovo appare in tralice l'esempio Matrix, dove l'ipertestualità dipende dal fatto che si ha sempre presente una piattaforma, non a caso vuota nelle uniche sequenze in cui ci viene mostrata scevra di orpelli decorativi, e su questa s'innesta un ambiente in cui crescono sviluppi diversi come nell'esempio rizomatico dei trasversalisti.