Straordinaria, a tale proposito, la scena in cui Grace osserva da lontano l´esecuzione dell´amato re che si consuma in piazza Luigi XV: la donna contempla la decapitazione dalla residenza di campagna di Meudon, alla periferia di Parigi, con l´aiuto di un cannocchiale; scruta assieme alla fedele domestica lo spettacolo della Storia da una sorta di belvedere da cui noi, senza l´ausilio dello strumento ottico, vediamo distendersi immobile e silenziosa la capitale francese. |
Questione di punti di vista e di sguardi, di distanze e di proporzioni. Nel paese dei giganti di Brobdignag Gulliver, preso nelle mani da una balia, osserva con ripugnanza lo spettacolo nauseante di una mammella che a quella distanza e con quelle proporzioni gli appare cosparsa di macchie, pustole e nei. D´altro canto osserva Swift che "le nostre signore inglesi ci sembrano così attraenti solo perché noi e loro siamo della stessa dimensione, e i difetti della pelle non si possono vedere se non con una lente di ingrandimento".
| Grace non fa più parte della Storia (se mai vi ha fatto realmente parte al chiuso delle corti e dei boudoir), si trova ora alla periferia di ciò che accade, non ha alcuna possibilità di intervento. La Storia è un fuori campo assoluto, più assoluto che mai, e proprio per questo si trasforma nel luogo dell´Altrove, della minaccia e della morte. Il cannocchiale fornisce soltanto l´illusione di un´immagine reale, l´illusione di essere presenti pur essendo lontani dal ´teatro´ (per usare l´espressione, eufemistica e reticente, con cui in questi giorni si designa l´epicentro del conflitto e delle azioni, l´hic et nunc invisibile e irraccontabile della guerra). L´effetto messo in scena da Rohmer sembra quasi una metafora della visione televisiva: la televisione ci offre l´illusione di essere presenti sul campo, di partecipare effettivamente ad eventi di cui siamo invece soltanto spettatori e testimoni muti e non attendibili e di cui osserviamo soltanto uno spettro parziale e dunque necessariamente distorto. |
Il punto di vista su cui lavora Rohmer è pertanto quello, parziale e singolare, della nobildonna scozzese Grace Elliot e del suo "Journal of my life during French Revolution": testimone e spettatrice di eventi ora troppo lontani e astratti per poterne apprezzare la portata e l´importanza, ora troppo ravvicinati per non scorgerne l´orrore e la meschinità. Il racconto, il récit vero e proprio, nasce dalle reazioni della donna a ciò che accade attorno a lei ed è questa singolarità percettiva e sensitiva a fare del film di Rohmer un film necessariamente ambiguo, quasi indifeso, che si espone a fraintendimenti ed equivoci, ma che proprio per questo si pone come l´ennesimo racconto morale. Non è possibile continuare a confondere i piani dell´enunciazione e i livelli del discorso, appiattire il soggetto dell´enunciazione sul soggetto dell´enunciato, annullare le differenze tra il dire e il detto, attribuire al regista francese il punto di vista dell´anglaise e il suo ´realismo´: quest´ultimo è piuttosto l´oggetto su cui si esercita l´occhio di Rohmer. |